La fine dei social network per come li conosciamo?
Da spazi per la condivisione della propria vita privata e delle proprie opinioni sembra si stiano trasformando in qualcos'altro
di Viola Stefanello
Per circa un decennio, tra la fine degli anni Duemila e quella degli anni Dieci, Facebook è stato l’emblema di ciò che la maggior parte degli utenti sembravano volere da internet, ovvero uno spazio su cui condividere in modo più o meno sincero e disinteressato pensieri, esperienze ed emozioni con una rete di persone. La maggior parte di loro erano amici e parenti, o almeno conoscenti o amici di conoscenti. Certo, si seguivano anche le pagine di artisti, politici e altri personaggi pubblici, e poteva anche capitare di diventare a propria volta personaggi piuttosto seguiti per le proprie opinioni. Ma la promessa dei social network per molti anni è stata quella di permettere a chiunque di rimanere regolarmente aggiornato anche sulla vita di persone che si sarebbero altrimenti perse di vista, all’interno di enormi piattaforme utilizzate da un numero sempre crescente di persone.
Di recente, però, questa promessa sta perdendo attrattiva sia tra le generazioni più giovani, che non ne hanno mai capito davvero il fascino, sia tra chi è stato su Facebook, Instagram o Twitter fin dall’inizio e ha sempre meno voglia di usarli, se non in modo passivo. Questa tendenza, accompagnata ai licenziamenti di massa nel settore tecnologico e alla sensazione che Twitter potrebbe diventare qualcosa di molto diverso da quando è stato acquistato da Elon Musk, stanno portando vari opinionisti a parlare della fine dell’era dei social network. Almeno per come li conosciamo.
Diverse analisi sottolineano che è in corso da tempo una transizione verso un modo di condurre la propria vita online diverso da quello a cui si era abituati negli anni Dieci. Charlie Warzel, che scrive da anni di cultura di internet, ha recentemente detto che «i social media stanno morendo solo se li definisci come feed pubblici pieni di cose pubblicate dai tuoi amici. Perché quelli, effettivamente, sembrano in via d’estinzione, in parte soppiantati dai feed curati dagli algoritmi» (per feed si intende il flusso di post che appaiono sulla homepage di un social).
E secondo un altro esperto commentatore delle tendenze social, il giornalista Ryan Broderick, i social media modellati su Facebook degli anni Dieci stanno patendo le conseguenze di due tendenze parallele.
La prima è l’ascesa delle piattaforme colme di contenuti generati da creator, che vengono però consumati dalla maggior parte degli utenti in modo passivo, come se fossero Netflix o in televisione. In questa categoria rientrano TikTok, Twitch e YouTube, su cui«scrolli per varie ore, e forse ti viene anche voglia di fare un video o un piccolo progetto, ma saresti molto sorpreso se trovassi un post di tua nonna, a meno che tua nonna non sia fighissima». Questa teoria è sostenuta dai dati: su TikTok, che da tempo si definisce una piattaforma di intrattenimento e non di social network, il 66 per cento degli utenti non crea video, ma si limita a consumarli da spettatore. Su Twitch, si stima che per ogni “streamer” – ovvero gli utenti che usano la piattaforma per fare video in diretta – ci siano 28 spettatori passivi.
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Nel corso dell’ultimo anno TikTok ha raddoppiato i soldi guadagnati attraverso le pubblicità, cosa che ha spinto Meta (l’azienda precedentemente nota come Facebook) a trasformare le proprie principali piattaforme – Instagram e Facebook – per imitarlo un po’: modificando il design e dando maggiore preminenza ai contenuti creati da sconosciuti che però, secondo l’algoritmo, potrebbero piacere all’utente. Molte persone che usano Instagram più o meno dall’inizio, però, hanno reagito molto male a questo tentativo di “tiktokizzazione”.
La seconda tendenza descritta da Broderick, e che secondo lui sta cambiando i social per come si erano strutturati nello scorso decennio, ha spostato quel genere di contenuti più privati e condivisi un tempo con la cerchia di amici verso quello che chiama «il tuo internet locale, composto da chat di gruppo, mega app di messaggistica come WhatsApp e Telegram e piattaforme di contenuti effimeri come Snapchat o le storie di Instagram». All’interno della tendenza può essere fatto rientrare anche BeReal, il social network che una volta al giorno, alla stessa ora che cambia casualmente tutti i giorni, chiede ai suoi utenti di pubblicare quello che stanno facendo in quel momento. E anche Discord, app di comunicazione su cui ci si riunisce principalmente in base ad interessi comuni.
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I motivi di questo cambiamento sono molteplici: hanno influito in parte i tanti scandali legati alla privacy e alla moderazione dei contenuti che hanno coinvolto Facebook a partire dal 2016 e che hanno fatto passare la voglia a molte persone di usare la piattaforma. Ma c’è anche una sensazione di stanchezza e disagio generale nel continuare, dopo anni e anni online, a pubblicare aggiornamenti sulla propria vita privata all’interno di piattaforme che si sono evolute più per diventare delle vetrine per aziende ed influencer che per continuare ad essere abitate da esseri umani qualsiasi.
«Sono sicura di non essere l’unica utente che si è ritrovata a rifuggire dall’abitudine molto pubblica, spesso performativa e persino stancante, di pubblicare regolarmente aggiornamenti su Facebook e Instagram», ha scritto su Wired la giornalista Lauren Goode. E anche creatori di contenuti molto popolari che un tempo avrebbero legato la propria carriera ai grandi social network stanno spostando la propria comunità su servizi in cui è più facile parlare direttamente e con un maggiore senso di privacy con i propri follower, come Discord, Substack, Telegram e Geneva (app per le chat di gruppo che in Italia è poco conosciuta, ma negli Stati Uniti è molto in voga).
«In un certo senso, la chat di gruppo sembra un ritorno all’era felice di Messenger, che una volta era il metodo più diffuso per scherzare con i tuoi amici su internet. Ma nella mia vita, le chat di gruppo – su iMessage, WhatsApp, Slack, Instagram, Twitter, Facebook Messenger o qualsiasi altra app o piattaforma – non sono semplicemente modalità aggiuntive di socializzazione. Sono un vero e proprio sostituto della modalità determinante dell’organizzazione sociale dell’ultimo decennio online: il social network incentrato sulla piattaforma e basato sui feed», ha scritto il critico Max Read sul New York Magazine, «per me, almeno, le chat di gruppo non sono il nuovo Messenger. Sono il nuovo Facebook».