Trump non sta riuscendo a bloccare le indagini contro di sé
L’ex presidente è coinvolto in una ventina di procedimenti giudiziari, e in questi giorni sono arrivate decisioni che lo mettono in difficoltà
Negli ultimi giorni sono state annunciate alcune decisioni che mettono l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump in seria difficoltà in vari dei procedimenti giudiziari in cui è attualmente indagato o imputato. Trump, che qualche settimana fa ha annunciato la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2024, è attualmente coinvolto in una ventina di procedimenti giudiziari che riguardano vari reati, tra cui violenza sessuale, diffamazione, interferenze elettorali durante le elezioni presidenziali del 2020, vari casi di evasione fiscale e frode (tra cui uno che, pur non riguardandolo direttamente, sta mettendo in grossi guai la Trump Organization, cioè la sua principale azienda).
Inoltre, è in corso una lunga e approfondita indagine sul suo coinvolgimento nell’attacco al Congresso americano del 6 gennaio 2021 e un’ulteriore indagine federale avviata quando si è scoperto che, alla fine della sua presidenza, Trump avrebbe portato a Mar-a-Lago, la sua villa in Florida, numerosi documenti segreti senza mai restituirli alle autorità. Le indagini riguardano il presunto occultamento di documenti riservati, l’ostruzione della giustizia e la presunta violazione dell’Espionage Act, la legge federale che vieta e punisce eventuali reati di spionaggio.
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Il primo sviluppo riguarda proprio l’indagine sui documenti riservati. A inizio agosto, l’FBI (l’agenzia investigativa della polizia federale) aveva perquisito Mar-a-Lago e aveva trovato oltre venti scatoloni contenenti più di 13 mila documenti, tra cui un centinaio classificati come riservati e coperti da vincolo di segretezza, che avrebbero dovuto essere conservati solo in sedi governative.
L’FBI aveva prelevato dalla villa numerosi documenti classificati come “top secret” o come “sensitive compartmented information”, una tra le categorie che indicano informazioni altamente sensibili e riservate. Trump era però riuscito a posticipare il momento in cui il dipartimento di Giustizia avrebbe potuto usare elementi del materiale sequestrato nella propria indagine, chiedendo e ottenendo che i documenti fossero sottoposti alla revisione di una persona di fiducia di entrambe le parti (detta “special master”), che soltanto in un secondo momento avrebbe condiviso le proprie opinioni sul loro contenuto.
La mossa era stata interpretata come un espediente per ostacolare le indagini sui documenti riservati trovati nella sua villa. Trump aveva anche fatto causa al dipartimento di Giustizia, accusandolo di aver avviato l’indagine solo per motivi politici e di voler intralciare la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2024.
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Giovedì una corte d’appello federale ha interrotto la revisione da parte dello special master, ribaltando la decisione della corte inferiore che l’aveva concessa (la cui giudice, Aileen Cannon, era stata nominata da Trump stesso mentre era in carica). Secondo la corte d’appello, «consentire a qualsiasi persona oggetto di un mandato di perquisizione di bloccare le indagini del governo dopo l’esecuzione del mandato o scrivere una norma che permetta solo agli ex presidenti di farlo (…) rappresenterebbe un radicale riordino della nostra giurisprudenza, che limiterebbe il coinvolgimento dei tribunali federali nelle indagini penali. Ed entrambi violerebbero i limiti fondamentali della separazione dei poteri».
Trump ha ancora l’opzione di fare ricorso alla Corte suprema per tentare di rovesciare la decisione. Intanto, grazie alla sentenza, gli investigatori federali possono tornare ad accedere ai documenti non classificati che sono stati recuperati durante la perquisizione di agosto, che secondo il dipartimento di Giustizia potrebbero confermare che Trump abbia fatto un uso improprio del materiale governativo in suo possesso.
Sul Washington Post, Perry Stein e Devlin Barrett sottolineano che si tratta di «una vittoria importante per il dipartimento di Giustizia e una sconfitta legale per Trump, che è andato in tribunale più volte per cercare di impedire al governo di ottenere l’accesso a documenti o informazioni personali. Proprio la scorsa settimana, la Corte suprema ha respinto la richiesta dell’ex presidente di impedire a una commissione del Congresso di ricevere una copia delle sue dichiarazioni dei redditi relative a sei anni, aprendo la strada alla loro consegna ai legislatori».
Fin da quando i Democratici hanno preso il controllo della Camera dei deputati nel 2019, infatti, una commissione cerca di ottenere i documenti fiscali di Trump: in passato, l’ex presidente ha negato che contengano qualsiasi illecito, ma è considerato molto sospetto che fin dal 2016 si sia rifiutato di pubblicare questi documenti quando da decenni i suoi precedessori l’avevano fatto.
Nel 2020, il New York Times aveva anche rivelato che Trump si era impegnato in diverse manovre di elusione fiscale su larga scala: una pratica molto controversa, ma non illegale. Secondo la loro inchiesta, l’allora presidente era riuscito grazie a dei sotterfugi a non pagare per oltre un decennio nessuna imposta federale sul reddito, pur vantandosi ripetutamente delle sue ricchezze e dei suoi successi come uomo d’affari.
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Trump ha intrapreso diverse azioni legali per bloccare la pubblicazione delle sue dichiarazioni dei redditi, e il dipartimento del Tesoro ha potuto consegnare i documenti relativi agli anni fiscali 2015-2020 soltanto ieri. Non è ancora chiaro se la commissione deciderà di renderle pubbliche, o se contengano effettivamente qualcosa di incriminante, ma il tempo per capirlo è molto poco: il 3 gennaio i Repubblicani torneranno ad avere la maggioranza alla Camera, che hanno ottenuto dopo le elezioni di metà mandato di inizio novembre, ed è improbabile che continueranno a investigare i possibili reati fiscali di uno dei loro esponenti di maggior rilievo.