Maduro è sempre meno isolato
Il presidente del Venezuela sta sfruttando le conseguenze della guerra in Ucraina e il nuovo clima politico in Sudamerica per riallacciare rapporti interrotti dal 2018
Nell’agosto del 2019 l’amministrazione dell’allora presidente statunitense Donald Trump impose l’embargo totale nei confronti del Venezuela e circa sei mesi dopo il Dipartimento di stato americano offrì una taglia di 15 milioni di dollari per la cattura del presidente venezuelano Nicolás Maduro, accusato di “narcoterrorismo”. Da allora sono passati poco più di tre anni e la situazione è cambiata in maniera significativa, anche per gli insuccessi dell’opposizione di rovesciare il regime di Maduro e per alcuni eventi internazionali, tra cui la guerra in Ucraina, che hanno creato le condizioni per una specie di “riabilitazione internazionale” del Venezuela.
In questi giorni Maduro comincerà dei colloqui in Messico con le opposizioni per definire modalità e tempi delle elezioni presidenziali previste nel 2024, dopo aver ottenuto dagli Stati Uniti del presidente Joe Biden l’eliminazione di alcune sanzioni riguardanti l’industria petrolifera e lo sblocco di fondi venezuelani all’estero per tre miliardi di dollari.
La crisi politica che aveva portato all’imposizione di sanzioni al Venezuela era iniziata con le contestate elezioni presidenziali del 2018, vinte da Maduro, disertate da parte delle opposizioni e considerate illegittime da ONU e Unione Europea (fra gli altri). La contestazione dei risultati aveva spinto il leader delle opposizioni Juan Guaidó ad autoproclamarsi presidente, incarico che gli era stato riconosciuto da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e altri paesi occidentali. Maduro, erede di Hugo Chávez al potere dal 2013, aveva denunciato il “tentato colpo di stato” e attuato una dura repressione delle opposizioni, riuscendo a rimanere al potere grazie all’appoggio dei militari e all’elezione di un’Assemblea nazionale a lui favorevole.
La crisi politica del 2019 era seguita a una più lunga e profonda crisi economica iniziata già nel 2013 e trasformatasi negli anni in una crisi umanitaria.
Nell’ultimo decennio il PIL (prodotto interno lordo) del Venezuela è calato del 70 per cento e 7 milioni di venezuelani, un quarto della popolazione totale, hanno lasciato il paese. Oggi alcune aperture, come la possibilità di commerciare in dollari, hanno parzialmente migliorato le condizioni economiche. L’inflazione, che nel gennaio del 2019 aveva raggiunto il valore teorico di 340.000 per cento su base annua (i prezzi si stima siano cresciuti di 3400 volte, ma è un dato poco significativo), era stata contenuta con l’uso del dollaro, ma ora è al 155 per cento, la più alta in Sudamerica.
Le cose per il Venezuela sono cambiate negli ultimi mesi, da quando cioè Maduro ha ristabilito i rapporti con alcuni paesi prima ostili, soprattutto con gli Stati Uniti. L’amministrazione Biden ha incontrato rappresentanti del governo venezuelano una prima volta dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a marzo, e poi di nuovo a ottobre nell’ambito di una ricerca di fonti alternative di petrolio per far fronte alla crescita dei prezzi dei carburanti.
A ottobre due nipoti della moglie di Maduro (Cilia Flores) incarcerati negli Stati Uniti per narcotraffico sono stati scambiati con sette cittadini americani in prigione in Venezuela. Maduro ha poi partecipato alle riunioni della COP27 in Egitto, dove ha incontrato informalmente il presidente francese Emmanuel Macron, che lo ha chiamato “presidente” (nonostante la Francia ufficialmente non lo riconosca come tale). E ha anche incontrato l’emissario di Biden per il clima, John Kerry, che ha poi detto di essere stato «colto di sorpresa».
I passi più importanti del “disgelo” sono avvenuti nell’ultima settimana: gli Stati Uniti hanno dato l’ok a sbloccare fondi per 3 miliardi di dollari del Venezuela presenti all’estero, con l’obiettivo di destinarli a progetti umanitari (salute, cibo, scuola) e hanno concesso una limitata licenza a Chevron, compagnia petrolifera statunitense, per ricominciare le estrazioni di petrolio in Venezuela. L’operazione non dovrebbe garantire proventi alle compagnie petrolifere statali o al governo venezuelano, ma contribuirà a riattivare alcuni pozzi e quindi ad aumentare la capacità estrattiva del paese, molto limitata in questi anni dall’assenza di investimenti.
La produzione di petrolio venezuelana è al momento stimata in 650.000 barili al giorno, lontanissima dai quasi 3 milioni e mezzo al giorni degli anni Novanta. Si tratta inoltre di “petrolio pesante”, del tipo più costoso da lavorare e più dannoso per l’ambiente, e che viene diluito per essere trasportato, ma il Venezuela possiede il 20 per cento delle risorse globali di greggio (ha le maggiori riserve al mondo) ed è quindi importante in un’ottica di lunga scadenza, nonostante le capacità attuali siano limitate. Anche ENI e la spagnola Repsol da qualche mese hanno ottenuto il via libera per riprendere le importazioni.
Le aperture degli Stati Uniti sono state giustificate ufficialmente con la ripresa dei negoziati tra Maduro e le opposizioni, sospese ad ottobre 2021: sono ricominciate in Messico alla presenza del figlio del presidente, Nicolás Maduro Guerra.
Le prossime elezioni presidenziali dovrebbero tenersi nel 2024, ma Maduro potrebbe avere interesse anche ad anticiparle. Al momento gli aspiranti candidati delle opposizioni sarebbero oltre venti. La popolarità di Juan Guaidó, ex presidente dell’Assemblea nazionale e capo di stato riconosciuto dall’amministrazione Trump, è anche più bassa di quella di Maduro (tasso di approvazione del 16 per cento secondo i sondaggi, contro il 26 del presidente in carica), e non è emerso finora un candidato in grado di unire tutte le opposizioni: il più popolare in questo momento è Manuel Rosales, governatore dello stato di Zulia.
La sua vittoria non sarebbe sicura nemmeno in elezioni totalmente libere, una prospettiva che al momento però appare lontana, nonostante le aperture del dialogo e le promesse degli Stati Uniti di ulteriori eliminazioni delle sanzioni in caso di recupero dei processi democratici.
Maduro potrebbe infine scegliere di indire elezioni presidenziali, a lungo invocate dalle opposizioni, anche per sfruttare il nuovo clima politico in Sudamerica dopo l’elezione di presidenti di sinistra in Colombia e in Brasile, rispettivamente Gustavo Petro e Lula. Petro è stato il primo leader internazionale a essere ricevuto a Caracas, mentre il presidente brasiliano sembra intenzionato a riallacciare i rapporti col Venezuela. Andrés Manuel López Obrador, presidente messicano, sta invece ospitando i colloqui fra il governo di Maduro e le opposizioni.