La vera storia dei paninari
Ora che chiude lo storico McDonald’s di Milano dove si ritrovavano negli anni Ottanta quando era Burghy, ma che non c’entra col loro nome
La notizia della chiusura del McDonald’s di piazza San Babila in centro a Milano, precisamente all’angolo tra corso Europa e largo Toscanini, è stata riportata con molta rilevanza dai quotidiani. Il motivo della chiusura è che gli affitti del locale sono diventati troppo alti: è stato fatto sapere che i 35 lavoratori del fast food andranno a lavorare nei McDonald’s di piazza Duomo e di Galleria Ciro Fontana, vicini al ristorante in chiusura.
Ma il motivo per cui se ne sta parlando tanto è che quello di piazza San Babila è stato un locale storico e simbolico per Milano, ma anche in tutta Italia. Venne aperto nel 1981: allora non era McDonald’s ma Burghy, e fu il primo fast food realizzato sul modello americano. Per la prima volta in Italia si mangiavano cheeseburger e si bevevano milkshake. Fu anche il luogo dove, nella prima metà degli anni Ottanta, soprattutto il sabato pomeriggio, si ritrovavano i ragazzi denominati “paninari”. Quel Burghy, divenuto poi McDonald’s, è da allora rimasto associato a quella moda degli anni Ottanta.
I paninari non nacquero in realtà davanti a quel locale di piazza San Babila e non si chiamavano così perché, come è stato spesso detto e scritto, «mangiavano panini». Il gruppo originario si formò in un locale poco distante, fuori dalle vetrine del bar Al Panino di via Agnello, a qualche centinaio di metri da piazza San Babila. Cominciarono a distinguersi per alcuni, ben specifici, capi d’abbigliamento. Furono un fenomeno di costume molto studiato e associato soprattutto al cosiddetto riflusso, cioè al periodo di disimpegno dalla politica militante che aveva contraddistinto gli anni Settanta, ma furono anche altro.
Il locale di piazza San Babila, inaugurato nel 1981, fu il primo Burghy d’Italia, ma poi ne aprirono molti altri: nel 1995, al massimo della sua espansione, la catena, che faceva parte del gruppo alimentare italiano Cremonini, aveva 96 locali in tutta Italia. Da Burghy si mangiavano le cose che poi si sarebbero mangiate, magari con altri nomi, da McDonald’s: il cheeseburger, il kingfish, il big burghy, le patatine, il milkshake al gusto di banana, fragola e cioccolato. Burghy ebbe un grande successo, a Milano e in tutta Italia.
Nel 1986 arrivò in Italia il marchio McDonald’s con un primo locale aperto in piazza Walther von der Vogelweide, a Bolzano. L’anno dopo aprì il locale di piazza di Spagna a Roma, tra molte proteste. Ci fu anche una manifestazione a cui parteciparono per esempio Renzo Arbore e Renato Nicolini, l’assessore che inventò l’Estate Romana, per opporsi alla colonizzazione di Roma da parte della cultura americana. Tra chi protestò più decisamente ci fu anche lo stilista Valentino che aveva un negozio a pochi metri da dove stava aprendo McDonald’s e che temeva, probabilmente a ragione, la puzza di fritto sugli abiti con la sua firma.
McDonald’s aprì altri locali in tutta Italia ma non ebbe successo all’inizio. Il motivo principale era proprio la presenza ovunque dei Burghy. La concorrenza ci fu fino a metà degli anni Novanta quando McDonald’s acquistò Burghy: tutti i ristoranti, progressivamente, cambiarono insegna. Il gruppo Cremonini continuò a rifornire di carne la catena di locali.
Il Burghy di piazza San Babila a Milano, nel frattempo, era diventato un luogo molto conosciuto. Fin dai primi anni Ottanta attirava ragazzi da tutta la città ma anche da fuori. E soprattutto divenne il ritrovo del gruppo che, lasciato il bar Al Panino in via San Paolo, iniziò a darsi appuntamento in quell’angolo di piazza San Babila. All’inizio erano prevalentemente ragazzi che frequentavano scuole private come il San Carlo o il Leone XIII. Quel gruppo però si allargò in fretta, la moda dei paninari coinvolse tutte le scuole di Milano e poi tutta Italia.
I paninari avevano un abbigliamento standard: il bomber, preferibilmente verde (ma andava bene anche nero) con l’interno arancione, o il giubbotto di jeans foderato con il pelo (alcuni, non si sa perché, si facevano attaccare sulla spalla una toppa con la bandiera del Giappone), o ancora il piumino Moncler lucido, il giubbotto di pelle Schott, quello da barca Henri Lloyd. Gli zaini erano sempre Invicta, le scarpe Timberland, quelle basse con il carro armato o quelle alte, chiare, a scarponcino. Le calze erano a rombi, marca Burlington, i jeans Levi’s 501, gli occhiali Ray Ban e le cinture di marca El Charro. Le ragazze avevano tutte, ma proprio tutte, le borse Naj -Oleari: ogni sabato al negozio c’era la fila per acquistarle.
Le pettinature erano gonfie, tipiche degli anni Ottanta. C’era poi un altro elemento che distingueva i paninari: la frequentazione costante dei solarium, che avevano iniziato a diffondersi da poco, e quindi l’abbronzatura forzata tendente all’arancione. Quanto ai mezzi di locomozione, il più diffuso era la Vespa PX Piaggio e, per i più fortunati, la moto Zundapp 125.
Ascoltavano Duran Duran e, un po’ meno, gli Spandau Ballet, gli Wham, gli a-ha, i Frankie Goes to Hollywood. E poi i Righeira, Sandy Marton, Den Harrow, Gazebo. I paninari milanesi avevano anche modi di dire che divennero allora piuttosto comuni. Le ragazze venivano chiamate “squinzie” o “sfitinzie”, il weekend alcuni andavano a “Curma” (per Courmayeur) o a “Santa” (per Santa Margherita), il panino era il “panozzo”, per dire che uno era un figo dicevano “un gallo”, una cosa bella era “troppo giusta”. Tutte espressioni che poi vennero riprese dai film degli anni Ottanta come Vacanze di natale o Yuppies in cui gli attori, Jerry Calà su tutti, parlavano esattamente con quel gergo.
I paninari divennero un vero fenomeno di costume. Nel programma televisivo Drive In un attore comico, Enzo Braschi, impersonava proprio la figura del paninaro. Uscirono fumetti come Il paninaro e New Preppy, ed è del 1985 un libro che ebbe grande successo e che raccontò l’epoca dei paninari milanesi: Sposerò Simon Le Bon, scritto da Clizia Gurrado, da cui l’anno dopo venne tratto un film. Il gruppo inglese dei Pet Shop Boys scrisse anche una canzone che si intitolava “Paninaro”.
Quel fenomeno di costume sviluppatosi attorno al Burghy di piazza San Babila venne descritto come simbolo di disimpegno e voglia di divertirsi dopo la cupezza degli anni Settanta, quelli della Milano degli scontri di piazza, del movimento del Settantasette.
Ma non fu solo questo. La connotazione politica dei gruppi di paninari milanesi era ben chiara. Se gran parte di loro non aveva nessuna opinione politica, il gruppo centrale, quello di riferimento per tutti, era piuttosto di destra, anzi chiaramente fascista. I nomi di alcuni di loro erano ben conosciuti a Milano. Furono alcuni cosiddetti paninari a dare vita al movimento Azione Skinhead, poi disciolto in seguito alla legge Mancino. Paninari erano anche i componenti del gruppo Skins, formazione ultras della curva nord, quella del tifo interista, divenuta famosa tra anni Ottanta e anni Novanta per la capacità di aggregazione e per le azioni violente messe in atto in vari stadi d’Italia. Il leader, soprannominato l’Armiere, morì nel 1993 ma altri di quel gruppo sono ancora protagonisti nella curva nord dello stadio di San Siro.
La domenica pomeriggio quindi per molti paninari milanesi era abitudine trovarsi sulle gradinate (allora si chiamavano ancora “popolari”) della curva Nord allo stadio così come il giorno prima, il sabato pomeriggio, dopo essersi dati appuntamento davanti al Burghy, molti di loro andavano in discoteca, prevalentemente allo Shocking di piazza XXV Aprile o al Linea di piazza San Babila. Non mancavano gli scontri con gruppi di ragazzi che non erano paninari. Dalle parti di via Torino si trovavano i punk, i metallari si davano appuntamento alla fiera di Senigallia e alle colonne di san Lorenzo mentre i ragazzi di sinistra continuavano a trovarsi nei locali attorno all’università Statale e in quelli sui Navigli. I dark o new romantic avevano come punto di riferimento la discoteca Plastic di viale Umbria.
I paninari avevano anche un’altra consuetudine il sabato sera. Furono loro a inaugurare l’abitudine di presentarsi a feste, sempre nel centro di Milano, dove non erano stati invitati, facendo spesso un po’ di danni, a volte anche causando l’intervento della polizia, prima di tornare in piazza San Babila, davanti al Burghy.
Il fenomeno dei paninari si esaurì alla fine degli anni Ottanta e a metà degli anni Novanta tutti i ristoranti Burghy, anche quello storico di piazza San Babila a Milano, divennero McDonald’s.