L’inizio del calcio internazionale, 150 anni fa
In uno stadio per il cricket di Glasgow, con una partita senza reti (né traverse rigide) tra Scozia e Inghilterra
di Gabriele Gargantini
Il 30 novembre 1872 all’Hamilton Crescent, uno stadio per il cricket di Glasgow, Scozia e Inghilterra giocarono quella che è ritenuta la prima partita internazionale di calcio. Durò circa un’ora e mezza, c’erano undici giocatori per squadra e almeno un paio di migliaia di spettatori paganti. Finì a reti inviolate – si fa per dire, visto che non c’erano le reti né tantomeno le traverse – ma fu un gran successo e l’inizio di molte cose.
Nella sua forma moderna il calcio nacque nella seconda metà dell’Ottocento in Inghilterra e si differenziò dal rugby partendo da una semplice premessa: fatta eccezione per il portiere, il pallone non si poteva prendere con le mani. All’inizio, però, ci furono molte divergenze su quali dovessero essere tutte le altre regole: diversi gruppi, in diverse città, giocavano infatti ognuno con le sue. Un po’ di ordine iniziò a metterlo nel 1863 la nascita della Football Association — la federazione calcistica inglese — che nel 1872 assegnò il suo primo trofeo per club: la FA Cup, che esiste ancora oggi.
Quando si parla del calcio di quegli anni, uno dei nomi che saltano fuori più spesso è quello di Charles William Alcock: giornalista, editore, dirigente sportivo, giocatore di cricket e calciatore. Nato nel 1842, Alcock fu determinante nella creazione della FA Cup e fondò una squadra di calcio con cui, da capitano, vinse la prima edizione. Segnò anche un gol, che fu però annullato per via di un precedente fallo di mano. Alcock ebbe un ruolo determinante nel diffondere nel calcio il concetto di passaggi e nell’elaborare schemi e approcci per provare a strutturare meglio il gioco e le sue evoluzioni tattiche.
Fu Alcock, da segretario della Football Association, a proporre che si giocassero partite calcistiche tra nazionali. Tra il 1870 e il 1872 se ne giocarono cinque, tutte all’Oval di Kennington, a Londra. La prima partita finì 1-1 e nelle successive quattro ci furono un altro pareggio e tre vittorie degli inglesi. Alcock le giocò tutte da capitano dell’Inghilterra. Nella squadra scozzese giocò, tra gli altri, il parlamentare W. H. Gladstone, figlio di W. E. Gladstone, che nella seconda metà dell’Ottocento passò dodici anni, distribuiti in quattro mandati, come primo ministro del Regno Unito.
Quelle quattro partite non furono però considerate a tutti gli effetti internazionali perché mentre la squadra inglese era di fatto una selezione tra i migliori calciatori inglesi, quella scozzese era fatta perlopiù da scozzesi ai quali — come a W. H. Gladstone — era capitato di trovarsi dalle parti di Londra per altre ragioni. Anche perché non erano in molti, in Scozia, a giocare con le regole della Football Association.
Proprio per far crescere il suo calcio anche in Scozia, la federazione inglese decise quindi di andare a giocarci in trasferta: imponendo le sue regole ma delegando agli scozzesi – al tempo ancora privi di una loro federazione – l’organizzazione della partita, e soprattutto dando loro la possibilità di convocare i più forti calciatori scozzesi.
Gli accordi per la partita furono presi a marzo, dopo una semifinale di FA Cup in cui i Wanderers (la squadra di Alcock) avevano vinto contro il Queen’s Park, la più antica squadra scozzese, che era stata fondata a Glasgow nel 1867 e che in assenza di una federazione scozzese giocava nel frattempo contro le squadre inglesi.
Il 30 novembre 1872 era un sabato e la data fu scelta dagli scozzesi perché era ed è il giorno in cui si celebra Sant’Andrea, il loro patrono. La partita, organizzata per le due del pomeriggio, iniziò con circa venti minuti di ritardo e terminò poco dopo le quattro. L’Hamilton Crescent, lo stadio nel nord di Glasgow che la ospitò, era quello in cui giocava le partite casalinghe il West of Scotland Cricket Club, fondato dieci anni prima.
Nel calcio di allora non c’erano allenatori e non c’erano riserve, e a occuparsi di quelle che oggi chiamiamo convocazioni erano perlopiù i capitani. A scegliere la squadra scozzese fu Robert Gardner, che giocava da portiere nel Queen’s Park e che scelse tutti giocatori del Queen’s Park. C’erano altre squadre, e alcuni giocatori del Queen’s Park giocavano anche per altre squadre (allora si poteva), ma lui preferì andare sul sicuro e, forse, puntare sul fatto che la “nazionale” potesse così avere una maggiore coesione. Non ci sono dubbi, comunque, sul fatto che il Queen’s Park fosse la miglior squadra tra le circa dieci del calcio scozzese. Il Celtic e i Glasgow Rangers, che col tempo sarebbero diventate le più importanti in Scozia, ancora nemmeno esistevano.
Nella rappresentativa inglese – scelta da Alcock, il quale non potè però giocare a causa di un infortunio – c’erano giocatori di nove diverse squadre di club: tra quelli di cui si conosce l’età qualcuno non aveva ancora vent’anni e qualcun altro era già oltre i trenta.
Il grande assente della partita (non si sa per quale motivo) fu senz’altro Arthur Kinnaird, un banchiere, dirigente sportivo e calciatore scozzese che al tempo giocava nei Wanderers e che è spesso ricordato come la prima “stella” nella storia del calcio.
Tutti i calciatori avevano pantaloni lunghi e cappelli in testa. Gli inglesi avevano maglie bianche, gli scozzesi maglie blu scuro, ognuna con gli stemmi dei rispettivi paesi. Ad assistere alla partita c’erano tra le duemila e le cinquemila persone. L’ingresso costava uno scellino per gli uomini ed era invece gratuito per le donne. Il terreno di gioco era pesante, visto che prima aveva piovuto per giorni. Le porte erano senza reti, i pali erano in effetti dei pali e le traverse erano state fatte tirando un nastro. L’arbitro era scozzese.
La Scozia giocò meglio il primo tempo, l’Inghilterra il secondo, dopo il cambio campo: ma forse su questo influì non poco il fatto che il campo fosse come in pendenza, con gli scozzesi che poterono quindi letteralmente iniziare la partita “in discesa”.
Era stato chiamato un fotografo, che però se ne andò prima del calcio di inizio a causa di divergenze sulla sua retribuzione. Le uniche immagini della partita sono quindi delle illustrazioni nelle quali si vedono: i giocatori fumare prima dell’incontro, un dribbling, un’azione con ogni probabilità fallosa (almeno secondo standard attuali), quello che sembra essere un tentato colpo di testa e perfino una audace rovesciata.
Nei giorni successivi alla partita uscirono comunque diversi racconti e resoconti grazie ai quali si sa che la squadra inglese era più fisica e prestante, ma quella scozzese più agile e veloce, molto ben oliata nei suoi meccanismi di gioco. La Scozia propose infatti un gioco che qualcuno oggi definirebbe associativo, in cui si cercavano passaggi e azioni corali, un gioco che avrebbe poi influenzato Alcock e più in generale il futuro del calcio.
L’Inghilterra, al contrario, puntava molto sul dribbling o comunque sugli attacchi individuali con successivo supporto muscolare della squadra, un po’ come succedeva e tuttora succede nel rugby. Nel suo resoconto della partita, il giornale The Scotsman parlò di azioni di attacco inglesi definendole «incursioni nel territorio degli avversari». Charles Clegg, uno degli undici giocatori inglesi, che anni dopo sarebbe diventato presidente della FA, raccontò in seguito di ricordarsi ben poco di quella partita oltre al semplice fatto che nessuno compagno gli passò mai la palla.
È comunque difficile e spesso improprio usare concetti calcistici contemporanei per descrivere un gioco ancora acerbo e in molte sue regole molto diverso da oggi, in cui il fuorigioco c’era ma funzionava in tutt’altro modo e in cui ogni squadra aveva per esempio non meno di sette attaccanti e giusto un paio di difensori o “mezzi difensori”.
Nonostante moduli di gioco parecchio spregiudicati, nessuno riuscì comunque a fare gol. Entrambe le squadre ci arrivarono però molto vicine: la Scozia con un tiro che finì appena sopra il nastro-traversa, l’Inghilterra con un tiro parato da Gardner, che giocò gran parte della partita da portiere ma che per un po’ provo anche a giocare “fuori”.
I giornali scrissero che la partita fu seguitissima e che terminò tra «estatici applausi». Il Guardian dedicò all’evento un trafiletto di un centinaio di parole in cui presentò la squadra inglese come «meno forte del previsto» e la partita come «vigorosamente contesa». Su quella stessa pagina, tuttavia, molto più spazio fu dedicato al resoconto del ventiquattresimo Birmingham Cattle Show, una fiera del bestiame e dell’allevamento.
Nel libro First Elevens, sugli albori del calcio internazionale, Andy Mitchell ha ricostruito che gli incassi furono di poco superiori alle 100 sterline e che le spese di organizzazione, sostenute dal Queen’s Park, furono di circa 70 sterline: in parte servirono a noleggiare il campo, in parte per ospitare gli avversari e offrire loro la cena.
Nel marzo 1873 al The Oval di Londra, l’Inghilterra fece quattro gol e la Scozia, questa volta con Kinnaird, ne fece due. Per anni, da lì in avanti, le due squadre si incontrarono una volta l’anno (spesso in partite vinte dalla Scozia o al massimo pareggiate) e col tempo la sfida si allargò ad altre nazionali del Regno Unito nel Torneo Interbritannico.
Nel 1904 fu fondata la FIFA, l’organizzazione che gestisce il calcio mondiale, a cui la federazione inglese e quella scozzese aderirono nel 1905 e nel 1910. Negli anni Trenta non parteciparono però alle prime tre edizioni dei Mondiali perché, in protesta con la FIFA, ne erano uscite, per tornarci in modo permanente soltanto nel 1946. La Scozia non partecipa ai Mondiali dal 1998 e non ha mai superato la fase a gironi. L’Inghilterra li vinse una sola volta, in casa, nel 1966. Da quel 30 novembre 1872 sono state giocate più di 50mila partite internazionali, maschili e femminili, con più di 150mila gol.
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