Il primo grosso ritardo del PNRR riguarda gli asili nido
Il ministero è stato costretto a rinviare le scadenze perché molti comuni non hanno ancora presentato i progetti
Il ministero dell’Istruzione ha rinviato le scadenze per la costruzione di nuovi asili nido, uno degli obiettivi più importanti del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza. I quasi 2.500 comuni che ne hanno fatto richiesta potranno affidare i lavori entro il 31 maggio 2023 e non più entro il 31 marzo, come previsto inizialmente nel piano.
La modifica era stata richiesta da ANCI, l’associazione dei comuni italiani, per via dei notevoli ritardi accumulati negli ultimi mesi. Il rinvio di due mesi, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente perché molti comuni non hanno ancora presentato i progetti e soprattutto perché c’è anche una scadenza europea da rispettare: entro il 30 giugno devono essere aperti i cantieri. Per come sono andate le cose finora, sarà molto complicato rimanere nei tempi fissati e si rischia che i soldi del PNRR vadano persi.
In totale il piano ha riservato 4,6 miliardi alla costruzione di nuovi asili nido, per bambine e bambini fino ai 2 anni, e scuole dell’infanzia, chiamate più spesso scuole materne, frequentate da bambini dai tre ai cinque anni. Secondo le previsioni, dovrebbero essere costruiti 1.857 nuovi asili nido e 333 scuole materne. L’obiettivo dichiarato in fase di negoziazione del piano è di garantire complessivamente 264.480 nuovi posti entro la fine del 2025.
Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT, in Italia al 31 dicembre 2020 erano attivi 13.542 servizi per la prima infanzia, quasi 300 in meno rispetto all’anno precedente (-2,1%). I posti complessivi sono 350.670, di cui circa la metà (49%) all’interno di strutture pubbliche. Rispetto all’anno precedente c’è stato un calo di 10.600 posti, il 2,9 per cento in meno.
Il dato più importante riguarda la disponibilità dei posti rispetto al totale dei bambini sotto i tre anni: in Italia è al 27,2%. Significa che negli asili nido italiani ci sono 27,2 posti ogni 100 bambini sotto i tre anni. Negli ultimi anni la percentuale è aumentata, ma non è una buona notizia perché l’aumento è il risultato della scarsa natalità: la percentuale di copertura cioè è salita per via della diminuzione del numero di bambini tra zero e tre anni, e non per via della crescita del numero di asili nido.
Tra le altre cose, la percentuale italiana è ben più bassa della soglia del 33 per cento fissata dall’Unione Europea per «sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro». Questo obiettivo era stato indicato nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona, con la raccomandazione a tutti gli stati di raggiungere il traguardo entro il 2010. A dodici anni dalla scadenza, l’Italia è ancora lontana dal 33 per cento.
Qui la versione interattiva in cui è possibile consultare i dati di ogni comune
I ritardi dei nuovi progetti hanno iniziato ad essere evidenti già nella fase di partecipazione ai bandi: ce ne sono voluti quattro per assegnare tutti i soldi, perché al termine delle prime tre scadenze era stata assegnata soltanto una parte dei fondi a disposizione.
La mancata partecipazione ai bandi è stata evidenziata dall’ufficio parlamentare di bilancio (UPB), che la scorsa settimana ha pubblicato un’analisi piuttosto critica in merito a questo obiettivo. «Nonostante le ingenti risorse destinate alla fascia di età 0-3 anni, lo scenario che si delinea mostra che parte delle debolezze strutturali che caratterizzano l’offerta del servizio potrebbero restare irrisolte», si legge nel report. «Un numero consistente di comuni con offerta assente o marginale non ha, infatti, partecipato ai bandi».
L’UPB ha messo in guardia il governo e i comuni dai ritardi. Secondo le stime fatte sulla base dei tempi di costruzione delle opere pubbliche, infatti, il rinvio deciso dal ministero in accordo con ANCI potrebbe non bastare. I tempi medi per la cosiddetta fase di affidamento, cioè dalla pubblicazione dei bandi all’aggiudicazione dei lavori, variano da 6 mesi e mezzo per le opere da meno di un milione di euro fino a circa 11 mesi per le opere più costose. Inoltre questi tempi sono più lunghi di circa il 40 per cento nelle regioni del Sud, a cui è stata assegnata la metà dei fondi.
Una delle cause principali dei ritardi è dovuta ai comuni, che non hanno abbastanza dipendenti per seguire i progetti nei tempi previsti. Servirebbero più tecnici, architetti, ingegneri e geometri: nonostante i soldi messi a disposizione per assumerli, molti comuni non sono ancora riusciti a pubblicare i bandi. I ritardi, insomma, si aggiungono ad altri ritardi.
Il presidente dell’ANCI, il sindaco di Bari Antonio Decaro, ha detto che i ritardi nella costruzione delle opere pubbliche del PNRR sono dovuti alle procedure troppo complicate. Durante l’assemblea dell’associazione, che si è tenuta la scorsa settimana a Bergamo, Decaro ha spiegato che l’assegnazione dei soldi dipende da un doppio passaggio di autorizzazioni del ministero dell’Economia e delle Finanze, che rischia di allungare i tempi. «Senza i fondi non si possono far partire i bandi, con il risultato che una norma pensata per spingere gli investimenti rischia di creare nuovi ritardi», ha detto Decaro. «Le opere del PNRR previste nei comuni sono tutte realizzabili nei tempi se si semplificano le procedure. Se non si semplifica, diventano tutte irrealizzabili. Si dice che per il PNRR bisogna correre. Vero: ma allora devono correre tutti, altrimenti si lasciano i sindaci con il cerino in mano».
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, si è impegnato a valutare l’opportunità di un rinvio della scadenza per l’avvio dei cantieri, fissata al 30 giugno 2023. Per farlo, però, non basta soltanto una valutazione del governo perché la scadenza è stata fissata dall’Unione Europea. Per ottenere un rinvio, che sembra ormai inevitabile, servirà convincere l’Europa.