Nella moda il sesso vende di nuovo
Anche se è un sesso diverso, dopo la pandemia e dopo le campagne inclusive e il #metoo
di Chiara Lanzavecchia
“Sex sells” (il sesso vende) è una delle espressioni che più si sentono ripetere nel mondo della moda per spiegare i risultati di alcuni stilisti e per giustificare il successo di scelte che abbiano un legame stretto con l’immaginario del sesso. Si tratta però anche di una precisa strategia di marketing. La sensualità e la presenza di corpi nudi (in particolare femminili) sono sempre state largamente utilizzate nella pubblicità e nel marketing in generale, banalmente per attrarre l’occhio dei consumatori. Tra i primi viene spesso ricordata Pearl Tobacco, che nel 1871 usò il dipinto di una donna a torso nudo sulle sue confezioni di tabacco, riscuotendo un grande successo.
Da allora però l’idea di sensualità è cambiata. Secondo il dizionario Treccani oggi il significato più generale della parola riguarda il “compiacimento nei piaceri sensibili, sia in quelli della sfera erotica sia in tutti gli altri offerti dalla sensibilità, dalla più semplice alla più raffinata (anche di carattere estetico)”. La sensualità di cui si parla in relazione all’espressione “sex sells” e in relazione alla moda, cambia quindi nel tempo: prima era più legata all’erotismo mentre ora assume un significato più ampio e slegato dalla sessualizzazione.
Nella moda, questo cambiamento si può semplificare con uno spostamento di prospettiva: oggi un capo di abbigliamento sensuale è considerato tale più dalla persona che lo indossa che dalla persona che lo guarda.
La strategia del “sex sells” quindi funziona ancora, ma è cambiato il modo in cui la sensualità viene venduta: non più per attrarre gli altri, ma per compiacere se stessi. Generalmente, per i settori legati alla bellezza, al benessere e allo stile di vita, questa strategia funziona ancora molto bene.
Questo spiega perché la sua applicazione sia stata negli anni sfacciata nel campo della moda, anche con l’effetto di una rappresentazione discutibile della sensualità legata all’oggettificazione dei corpi. L’utilizzo più o meno esplicito di immagini sensuali o a sfondo erotico nelle riviste e nelle pubblicità di moda viene dall’impronta che hanno dato a questo settore fotografi come Helmut Newton e Guy Bourdin, entrambi ossessionati nel loro lavoro dalle donne e dalla sensualità.
Un’impostazione che ha aperto la strada dell’eroticizzazione dei corpi (in particolare femminili) nella fotografia di moda ma che oggi viene considerata problematica su diversi piani: sia quello del messaggio che queste immagini perpetuano agli occhi di un pubblico amplissimo, sia quello legato ai retroscena di questi ambienti i cui fotografi più celebrati, tra cui Bruce Weber, Mario Testino, Terry Richardson, sono stati accusati di abusi e molestie dalle modelle con cui hanno lavorato negli anni.
Quello dell’eroticizzazione è un approccio largamente utilizzato a partire dagli anni Novanta con casi eclatanti come quello di Calvin Klein. Come riportato dal Washington Post nel 1995, il brand era stato addirittura indagato dall’FBI per le sue campagne pubblicitarie ritenute scandalose da parte del pubblico, al limite della pedopornografia, e che raffiguravano la modella Kate Moss nuda e dall’aspetto infantile (lei era appena maggiorenne in quegli scatti).
Negli anni, anche per le sfilate di moda e per la creazione di abiti – quindi non solo per la rappresentazione di modelli a fini commerciali – alcuni designer hanno iniziato ad attingere alla sfera erotica. Versace, per esempio, ha definito la sua estetica in questo senso con collezioni come “Miss S&M” del 1992: ricca di allusioni all’abbigliamento sadomaso. Anche la sensualità molto spinta che aveva adottato Tom Ford durante la sua direzione creativa da Gucci, dal 1994 al 2004, aveva generato scandalo. Ma allo stesso tempo tutte queste scelte strettamente legate all’immaginario del sesso avevano funzionato. Da Gucci, Tom Ford aveva contribuito a risollevare l’azienda dalla bancarotta, anche grazie alla sua strategia “sex sells”.
Secondo il report della piattaforma TagWalk (che ospita e analizza tutte le foto di tutte le fashion week, ogni stagione) sui trend della stagione Primavera/Estate 2023, il 77 per cento dei designer ha incluso vestiti trasparenti nelle collezioni e il 59 per cento ha incluso lingerie. Durante questa stagione hanno sfilato in totale 247 brand tra New York, Londra, Milano e Parigi, di cui più di 190 hanno incluso vestiti trasparenti e più di 145 lingerie.
Considerando che queste caratteristiche si sono ripetute su più look per ogni sfilata, si arriva a un numero notevole e a un dato che dice sicuramente qualcosa sul ritorno della sensualità nella moda che aveva invece teso alla sobrietà e alla comodità negli ultimi anni. Si era parlato di un grande ritorno del minimalismo e che sopra ogni cosa si sarebbe dato valore alla durabilità e alla comodità di un capo. Un periodo di particolare rigidità, in cui colori, materiali e forme si erano ridotte al minimo e la componente erotica era quasi inesistente.
Un processo molto simile a quello che aveva portato Tom Ford nel 1995 a creare la prima collezione “scioccante” per un brand storico e conservatore come Gucci. Ford aveva reagito al minimalismo e alla moda rassicurante che avevano seguito il crollo del mercato nel 1987 con quelli che definì come “sexy, sensual, fuck-me clothes”, ovvero vestiti che avevano come scopo la provocazione e l’atto sessuale.
Oggi di nuovo sembra che i brand siano tornati in massa a puntare sulla strategia del “sex sells”, con un ritrovato interesse per il sesso e la sensualità, forse proprio come reazione al periodo di sobrietà appena passato. Il sito specializzato Business of Fashion parla di una tendenza che parte in realtà dall’estate 2020, subito dopo la prima fase della pandemia, e che deriva dalla volontà di recuperare tutta la vita “persa” durante il lockdown. Già in quel periodo, infatti, nella moda si era tornati ai corpi, al sesso e all’investimento sulle interazioni sociali in generale. Erano uscite campagne pubblicitarie come quella di Jacquemus intitolata “L’amour” che ritraeva coppie molto diverse in abbracci intimi o baci appassionati, o come “When Together”, la prima campagna di Diesel sotto la direzione creativa del designer Glenn Martens, descritta come “un ritratto di assenza e desiderio” e che vedeva coppie baciarsi e toccarsi in scene apertamente sensuali.
La difficoltà nel ritorno di interesse per la sensualità sta in tutto il movimento #MeToo, nella nuova ondata di femminismo e nella presa di coscienza a proposito del cosiddetto “male gaze” (in italiano, lo sguardo maschile). Quest’ultimo è un fenomeno proprio delle arti visive e letterarie che vede l’universo femminile rappresentato attraverso una prospettiva maschile ed eterosessuale e che risulta, secondo la teoria femminista, in una rappresentazione sessualizzata delle donne, ritratte come oggetti di piacere maschile.
Tutto questo ha cambiato radicalmente il significato dell’espressione “sex sells”. La sensualità e l’erotismo della moda di oggi cercano volutamente di slegarsi dalla problematica concezione che avevano avuto in passato. Per questo non si parla più solo di reggiseni o lingerie o abbigliamento dichiaratamente erotico e volto al piacere dell’altro, come era stato negli anni Novanta per Calvin Klein, Gucci o Versace.
Come spiega la rivista Forbes, in passato il sesso veniva usato solamente per creare un’associazione di pensiero positiva con un determinato prodotto e spingere così il consumatore all’acquisto. Oggi, nella moda, si parla di sensualità alternative e varie che convergono nello scopo comune di riportare al centro le donne e più in generale le singole persone. È un’idea più legata all’intimità, al rapporto con il proprio corpo, alla propria autostima e sicurezza: i vestiti sensuali di oggi sono disegnati per tirare fuori la sensualità di chi li indossa.
Un grande riconoscimento in questo senso va a Nensi Dojaka, designer di origini albanesi di 28 anni, vincitrice del premio LVMH 2021 e che proprio in occasione di questa vittoria aveva avuto un grande successo anche legato alla sua idea di sensualità. «L’idea è quella di far sentire le donne a proprio agio nella loro pelle. Loro hanno il potere, si sentono potenti, hanno il controllo del loro corpo e della loro immagine, e decidono come essere viste», aveva spiegato Dojaka alla rivista inglese The Face.
Di idee simili è sempre stato anche Jean Paul Gaultier, uno dei pochi designer che hanno da sempre trasmesso un’immagine di sensualità molto vicina a quella odierna.
Famoso per i suoi corsetti con le coppe dei seni a punta — come quello disegnato per Madonna per il suo Blonde Ambition Tour nel 1990 — Gaultier ha creato per la collezione Autunno/Inverno 2022, in collaborazione con Y/Project, dei vestiti a stampa effetto nudo che erano diventati virali e che aveva ripreso poi più recentemente anche in una collaborazione con la stylist Lotta Volkova.
Nelle stagioni passate, anche Jonathan Anderson, alla direzione dei brand JW Anderson e Loewe, ha dimostrato più volte la sua adesione a questa nuova tendenza. Nella stagione Primavera/Estate 2022 di Loewe aveva creato dei corsetti in resina trasparenti che lasciavano visibili i seni delle modelle che li indossavano, e in quella Autunno/Inverno 2022 aveva di nuovo dato un ruolo centrale ai seni con bustini rigidi e modellati sui corpi e ai reggiseni a forma di palloncino. Un trattamento simile era stato riservato anche alle collezioni uomo con camicie e impermeabili trasparenti, magliette attillate a stampa “nudo” (riportando quindi la foto di un torso maschile nudo sul tessuto della maglietta) e un maglione con un foro a forma di cuore che lascia scoperto un capezzolo.
Perfino brand storicamente virtuosi come Prada e Miu Miu hanno dato spazio alla sensualità: Miu Miu con il famosissimo set di camicia, maglione e gonna tagliati cortissimi diventato subito un trend, e Prada con la collezione di questa Primavera/Estate 2023 costruita tutta sull’idea di intimità. Ma anche Marni, N°21, Maryam Nassir Zadeh, Saint Laurent, Christopher Kane e Blumarine hanno seguito questo pensiero.
Questa tendenza funziona molto bene oggi anche grazie al ritorno dell’estetica anni Novanta e Duemila e alle influenze di cinema e social. Già a dicembre 2021 sempre Business of Fashion notava come sulle passerelle e per le strade le persone mostrassero più pelle di prima. Nonostante la concezione di “sensuale” fosse cambiata e il vestire per attrarre un potenziale partner fosse ormai un concetto superato, i vestiti proposti in passerella erano tutti molto corti, le pance in molti casi scoperte e le trasparenze ovunque, sul filo del trend Y2K (lo stile dei primi anni Duemila).
Allo stesso tempo le influenze legate al sesso e all’eros sono tante: c’è la serie tv Euphoria, in cui i personaggi indossano vestiti mini ma anche veri e propri look BDSM, c’è la ex dominatrice professionista Julia Fox di cui si è parlato e visto molto negli scorsi mesi e poi c’è la piattaforma OnlyFans, che ha contribuito a portare il sesso (e più in particolare il porno) e tutto il suo immaginario molto vicino a noi.
Le influenze di tutto questo si vedono in brand come Diesel, che ha scelto di fare arrivare a casa degli invitati alle sfilate delle ultime due stagioni dei plug anali in vetro di Murano e di posizionare in mezzo alla grossa passerella per la Primavera/Estate 2023 a Milano una gigantesca bambola gonfiabile.
Diesel non è l’unico ad aver letto in questa chiave il cambiamento intorno alla sensualità e alla percezione dei corpi. Moltissimi designer hanno focalizzato per esempio il loro lavoro intorno ai capezzoli femminili tanto da farlo diventare un trend, come scrive la rivista online i-D. Lo hanno fatto da Loewe con un fiore di anthurium, da David Koma con una stella marina, da Puppets and Puppets con delle farfalle, da Vivetta con dei cuori, da Acne Studios con dei fiocchi lilla, da Andrea Adamo con una foglia di fico, e lo ha fatto infine anche Collina Strada con un vestito la cui parte superiore è sorretta da degli accessori per capezzoli a forma di fiore.
Christopher Kane, designer e creatore del brand More Joy il cui logo e nome si rifanno al manuale sessuale illustrato del 1972 The Joy of Sex, aveva riassunto tutto questo su The Face dicendo: «Man mano che la body positivity e la diversità diventano, giustamente, un argomento predominante nella moda, sento che l’interpretazione del vestirsi in modo sensuale è cambiata per il meglio. Lo stesso termine “sexy” è soggettivo e complesso: tutti possono essere sexy, è una questione di sicurezza in se stessi».