Il Kenya ha un problema di doping
Sempre più atleti risultano positivi ai test, e c'è chi ipotizza che l'intero paese possa essere squalificato dalle competizioni di atletica leggera
Da inizio anno 17 atleti keniani sono stati sospesi dall’Athletics Integrity Unit (AIU), l’organismo indipendente che si occupa di controllare le violazioni delle regole di condotta nell’atletica leggera. In totale, gli atleti keniani al momento sospesi dall’AIU sono più di cinquanta. Solo due paesi al mondo hanno attualmente più atleti squalificati: l’India, che ha una popolazione ben maggiore rispetto al Kenya, e la Russia, che sta ancora scontando una generale squalifica per i suoi numerosi casi legati al doping.
Il problema del doping tra gli atleti e le atlete del Kenya, soprattutto nelle discipline dell’atletica leggera che riguardano la corsa di resistenza, esiste da anni, ed è dal 2016 che il paese è tra i sette che l’AIU considera a maggior rischio. Come sempre, col doping, è però difficile capire se i casi siano un segno dell’efficacia dell’antidoping o se invece siano soltanto “la punta dell’iceberg”.
In conseguenza delle tante sospensioni degli ultimi mesi – molte più rispetto al passato – si è perfino arrivati a parlare della possibilità che il Kenya possa essere escluso interamente, come paese, dalle gare organizzate dalla World Athletics, l’organo di governo mondiale dell’atletica leggera.
Contro l’eventualità di una esclusione del Kenya si è espresso di recente il ministero dello Sport locale, che supportato dal Comitato olimpico keniano ha scritto a Sebastian Coe, il presidente di World Athletics: «Non possiamo permettere che il Kenya sia estromesso per colpa di alcuni individui avidi e scorretti». Un’esclusione rappresenterebbe infatti un grande danno sia economico che di immagine per un paese che nell’atletica leggera ha vinto 34 delle sue 35 medaglie d’oro olimpiche.
Brett Clothier, direttore dell’AIU, ha spiegato all’Équipe che il fatto che in Kenya ci siano molti casi ha a che fare, almeno in parte, con la crescente popolarità delle maratone. Nelle maratone, ha detto Clothier, «anche il centesimo al mondo può guadagnare molti soldi, cosa che invece non succede, per esempio, nel salto in lungo». Gli atleti di alto livello, però, possono correre poche maratone in un anno.
Ne consegue che, rispetto a uno sport come il salto in alto, ci sono più atleti con la possibilità di guadagnare soldi pur non essendo i migliori al mondo in termini assoluti, e quindi maggiori tentazioni per doparsi. La pandemia ha inoltre ridotto il numero di gare e i possibili guadagni, aumentando di conseguenza la competitività fra gli atleti e quindi i casi di doping. Clothier ha parlato anche di tecniche e prodotti dopanti che in Kenya sono ormai «facilmente reperibili».
Diversi casi recenti hanno a che fare con il triamcinolone acetonide, un farmaco usato, tra le altre cose, per riniti e allergie, ma che è vietato dalla WADA, l’Agenzia mondiale antidoping. Tra chi risulta al momento squalificato per essere risultato positivo al triamcinolone acetonide c’è anche Diana Kipyokei, vincitrice nel 2021 della Maratona di Boston, una delle più importanti al mondo.
Tra chi è stato sospeso per doping ci sono anche tre degli oltre quaranta corridori che, nel ruolo delle cosiddette “lepri”, tre anni fa aiutarono il keniano Eliud Kipchoge a correre – seppur in condizioni piuttosto particolari – una maratona in meno di due ore.
Kipchoge, che nella sua lunga carriera al vertice è stato testato svariate volte, senza mai risultare positivo, ha parlato dell’aumento dei casi di doping in Kenya come di qualcosa di «preoccupante» e ha aggiunto che «ancora non si vede la luce in fondo al tunnel».
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