Che storia ha la fascia da capitano
Se ne sta parlando molto per i Mondiali di calcio in Qatar, ma non è la prima volta che è al centro di discussioni o semplici curiosità
Nel secondo giorno dei Mondiali di calcio, alcune nazionali europee hanno fatto sapere che, a differenza di quanto ipotizzato, i loro capitani non avrebbero indossato al braccio fasce arcobaleno durante le partite in Qatar. L’idea delle fasce arcobaleno era nata per promuovere l’inclusione e combattere le discriminazioni di genere, per sostenere la comunità LGBT+ e criticare implicitamente il Qatar, che non riconosce alcun diritto in questo senso. La FIFA si era messa però di traverso, dicendo che indossare fasce personalizzate, e quindi non approvate dall’organizzazione, avrebbe potuto comportare l’ammonizione dei capitani o misure anche più dure.
Non è comunque la prima volta che si sviluppano discussioni e dibattiti su questo argomento, nonostante le fasce non ci siano sempre state nel calcio, mentre i capitani sì. La figura del capitano fu infatti introdotta nei primissimi anni di questo sport, in un periodo in cui non c’erano gli arbitri e toccava a loro mettersi d’accordo per far sì che le regole fossero rispettate.
In Serie A la fascia fu introdotta solo nel 1949, per far sì che i capitani fossero più riconoscibili, ma a livello internazionale per molto tempo non ci furono regole precise: ai Mondiali in Messico del 1970 il Brasile vinse senza che Carlos Alberto, il suo capitano, ne portasse una al braccio; nella stessa edizione ne indossò invece una Giacinto Facchetti, il capitano dell’Italia che perse in finale proprio contro il Brasile.
Non ci sono molte informazioni sul perché, ma la Serie A introdusse le fasce di capitano nella stagione 1949-50: quella successiva alla strage di Superga, in cui l’Inter vinse per 6-5 un derby contro il Milan e che fu vinta dalla Juventus di Carlo Parola, noto per le sue rovesciate, una in particolare, ancora oggi simbolo delle figurine Panini.
Sembra inoltre che la parola “fascia” si impose dopo, perché nell’Italia del secondo dopoguerra, con il periodo fascista appena finito, non era proprio un termine in grado di unire: all’inizio si parlava infatti di “bracciale”.
Fin dall’inizio alla fascia di capitano fu riconosciuto un certo valore simbolico. Nei primi anni Cinquanta per esempio il Corriere paragonò la «fascia di capitano» a un «distintivo» e aggiunse che a chi la indossava serviva a ricordare questo:
«Sii disciplinato, sta buono, pensa all’onore e alla responsabilità che da quella fascia derivano. Soprattutto sul terreno della disciplina tu devi essere di esempio ai tuoi compagni. Se ti fanno qualche marachella non reagire e se mai ricorri all’arbitro che penserà lui a far giustizia».
È complicato dire con precisione quando le fasce si diffusero in altri paesi, anche per la differenza dei vari regolamenti e per il fatto che oggi le principali organizzazioni del calcio europeo e mondiale dicono di non poter fornire risposte particolarmente dettagliate al riguardo.
È probabile che si cominciarono ad usare per imitazione attraverso le competizioni a livello internazionale tra squadre nazionali e di club (la prima Coppa dei Campioni fu nel 1955). Di certo fu un processo piuttosto lento. Ancora nel 1966, infatti, solo metà dei capitani delle 16 squadre che giocarono i Mondiali ne indossava una. Secondo quanto ricostruito nel 2021 dalla rivista britannica The Blizzard, oltre al capitano dell’Italia Sandro Salvadore la portarono al braccio i capitani di Unione Sovietica, Francia, Cile e Corea del Nord. Le fasce non erano, in altre parole, prerogative di una determinata area geografica, politica o culturale.
Agli Europei del 1960, i primi della storia, Igor Netto, capitano dell’Unione Sovietica, che vinse quella competizione in finale contro la Jugoslavia, già ne indossava una.
Nel 1966, quando l’Inghilterra vinse in casa i suoi ultimi e per ora unici Mondiali, il suo capitano Bobby Moore ancora non la indossava. La indossò invece ai Mondiali del 1974 il capitano tedesco Franz Beckenbauer, la cui squadra batté in finale l’Olanda di Johan Cruijff, un altro capitano con fascia al braccio sinistro.
Beckenbauer e Cruijff – due calciatori fortissimi e molto popolari – ebbero probabilmente un ruolo determinante nella diffusione delle fasce, che per entrambi erano personalizzate e che nel caso di Cruijff avevano i colori della bandiera olandese.
A proposito di bandiere e di fasce di capitano con un messaggio extracalcistico, nel 1976, da capitano del Barcellona e poco dopo la morte del dittatore Francisco Franco, Cruijff fu il primo a portare al braccio una fascia raffigurante la senyera, la bandiera catalana. Fu un gesto antifranchista, visto che nei suoi anni al potere Franco aveva cercato di eliminare molte delle caratteristiche linguistiche e culturali delle regioni spagnole, tra cui la Catalogna, a favore di un accentramento dei poteri a Madrid. Dopo Cruijff, a Barcellona la fascia con la senyera la indossarono in molti, compreso Lionel Messi.
Nella Liga spagnola, la fascia di capitano era stata introdotta solo nella stagione 1974/75. In First Division, il principale campionato inglese prima dell’arrivo della Premier League, la fascia divenne una norma solo durante gli anni Ottanta.
I regolamenti del calcio nazionale e internazionale non dicono comunque granché sulle fasce da capitano. Il “Regolamento del Giuoco del Calcio” aggiornato al 2022 e disponibile sul sito dell’AIA, l’Associazione Italiana Arbitri, dice che «il capitano deve portare, quale segno distintivo, una fascia sul braccio di colore diverso da quello della maglia, sulla quale potranno essere apposti loghi, scritte e disegni riconducibili alla società e al Campionato, purché autorizzati dalla Lega o dalla Divisione competente». Si precisa però che l’equipaggiamento dei calciatori, fascia compresa, «non deve contenere alcuno slogan, scritta o immagine di natura politica, religiosa o personale».
Con riferimento ai compiti del capitano, il regolamento dice che «durante la gara è l’unico ad avere facoltà di interpellare l’arbitro, in forma corretta ed a gioco fermo, per chiedere chiarimenti in merito alle decisioni assunte e per formulare eventuali riserve» (motivo per cui c’è chi pensa che a essere capitani non debbano essere i portieri, spesso lontani dal gioco) e che il capitano deve «coadiuvare l’arbitro, ai fini del regolare svolgimento della gara e della repressione di eventuali atti di indisciplina dei suoi compagni».
Se sostituito o espulso, il capitano lascia in genere la fascia a un compagno, ma è capitato talvolta che qualcuno se ne dimenticasse, senza conseguenze di alcun tipo.
Nel regolamento dell’IFAB, l’ente internazionale che vigila sulle regole del gioco del calcio, la parola captain, capitano, compare solo cinque volte in oltre duecento pagine; e solo due volte si parla di “armband”, la fascia da capitano.
Le regole della FIFA sulle fasce sono invece in un apposito documento su materiali e indumenti consentiti, in cui dice come ormai noto che in competizioni come i Mondiali è la FIFA a fornirle e decidere come debbano essere fatte. Anche in caso di amichevoli tra nazionali, le fasce devono riportare (in inglese o in altre lingue) la parola “capitano” o una sua abbreviazione (come una “C”) e devono rispettare apposite indicazioni su colore, scritte e grandezza.
Nella pratica, i regolamenti del calcio dicono che oltre a poter in certe occasioni parlare con gli arbitri (cosa che però nei fatti fanno quasi tutti i calciatori), i capitani hanno la funzione di rappresentare la squadra, davanti agli arbitri, in casi in cui si deve sorteggiare su quale campo attacca o difende una squadra o da quale parte del campo tirare i calci di rigori: qualcuno ricorderà come, nel 2021, il capitano dell’Italia Giorgio Chiellini sfruttò il momento per sfogare la tensione e, forse, farne venire all’avversario Jordi Alba, capitano della Spagna, prima dei rigori della semifinale degli Europei.
Per il resto, la fascia di capitano ha assunto nel tempo tutta una sua importanza simbolica, indipendente dai regolamenti, legata al ruolo di leader attribuito ai capitani, ai quali per tradizione spetta peraltro di ricevere e alzare per primi ogni eventuale trofeo vinto dalla squadra.
In generale, un ruolo affine e con simili responsabilità c’è in ogni sport di squadra, spesso a prescindere da un’apposita fascia di riconoscimento. Nel rugby, per esempio, dove i capitani sono davvero un imprescindibile tramite tra l’arbitro e le squadre, la fascia non è nemmeno prevista, tra le altre cose perché in uno sport dai contatti così frequenti e intensi rischierebbe di essere d’impiccio per chi la dovesse indossare.
Un’altra piccola curiosità sulla fascia da capitano è legata al perché, a parte qualche eccezione, la si porta al braccio sinistro: il motivo è per poter tenere libero il destro, tradizionalmente riservato alle fasce nere indossate in segno di lutto.
È infine del 2018 una polemica, nel suo piccolo piuttosto intensa, relativa alle fasce da capitano della Serie A. Iniziò dopo che la Lega Serie A decise che i capitani dovevano portare «una fascia fornita dalla stessa Lega», uguale per tutti, così come già succedeva per esempio in Premier League, e sempre uguale a se stessa a meno di eventi speciali o richieste specifiche approvate direttamente dalla Lega.
Protestarono in molti: l’allora capitano dell’Atalanta, Alejandro Gomez, che usava fasce particolarmente creative, compresa una con i protagonisti del cartone Holly e Benji; l’allora capitano della Roma, Daniele De Rossi, che era solito indossarne una legata al suo essere grande tifoso romanista; e i giocatori della Fiorentina, per i quali la fascia era un modo di ricordare l’ex capitano Davide Astori, morto nel 2018.
Prima, quando ancora c’era libertà di scegliere quale fascia usare, i calciatori erano soliti personalizzarle con riferimenti alle loro vite e alle loro figure (Francesco Totti ne aveva una personale, solo sua, che non lasciava nemmeno uscendo dal campo), a importanti eventi di attualità o addirittura con riferimenti politici o culturali (come nel caso della senyera) o religiosi. Roberto Baggio giocò spesso, anche alla Juventus e anche da Pallone d’Oro, con una speciale fascia con tre colori – blu, giallo e rosso – e due ideogrammi che erano un riferimento alla Soka Gakkai, una scuola laica buddista.