Quanti resteranno senza il reddito di cittadinanza
A partire dal 2023 saranno escluse centinaia di migliaia di persone considerate “occupabili”: si rischia una grossa tensione sociale
Il governo di Giorgia Meloni ha inserito nel disegno di legge di bilancio appena approvato dal Consiglio dei ministri alcune grosse modifiche al reddito di cittadinanza, ampiamente attese dato che erano state promesse durante la campagna elettorale da tutti i partiti che compongono la maggioranza di destra. La legge esiste al momento in forma di bozza, e le modifiche al reddito di cittadinanza erano state anticipate da Meloni in una conferenza stampa: potrà comunque essere ancora modificata e in ogni caso dovrà essere approvata nelle prossime settimane dal parlamento, quindi non è ancora nella sua versione definitiva.
Il reddito di cittadinanza non sarà abolito del tutto: continuerà a essere previsto per le categorie di persone in oggettiva condizione di povertà e che non possono lavorare, mentre chi è giudicato “occupabile”, ossia in grado di poter avere un lavoro, continuerà a riceverlo solo per un periodo limitato di tempo nel 2023, per poi perderlo dal 2024. Le previsioni di questi giorni ritengono che si creerà in questo modo un notevole problema sociale, dato che centinaia di migliaia di persone si ritroveranno senza quello che fino a quel momento era il loro reddito principale.
Secondo la definizione che ha dato il governo sono considerate “occupabili” le persone tra i 18 e i 59 anni che possono “oggettivamente” lavorare e che non abbiano nel proprio nucleo familiare persone disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni. Sono escluse dalla definizione di occupabile anche le donne in gravidanza, che quindi non perderanno il sussidio.
Per le persone “occupabili” nel 2023 il reddito di cittadinanza sarà erogato al massimo per 8 mensilità (invece delle attuali 18, rinnovabili). Durante questo periodo dovranno frequentare corsi obbligatori di formazione o riqualificazione professionale. Il sussidio decadrà se queste persone non frequentano i corsi o nel caso in cui rifiutino la prima offerta di lavoro congrua (attualmente decade al secondo rifiuto).
Non esiste un conteggio ufficiale del numero di persone che perderanno il diritto a ricevere il reddito di cittadinanza dal 2024: dovrà essere incluso nella relazione tecnica alla legge di bilancio, che per ora non è stata resa pubblica. Si può però provare a fare una stima sulla base dei dati attuali, che non tengono comunque conto dei futuri percettori (per esempio i nuovi 18enni o i futuri disoccupati).
Gli ultimi dati dell’INPS mostrano che a settembre i nuclei familiari che percepivano il reddito di cittadinanza erano circa un milione e 40 mila, per un totale di oltre 2,3 milioni di persone coinvolte. Da questi vanno tolte le persone con disabili e minori a carico, che continueranno a percepire il sussidio e per cui non cambierà nulla: i nuclei con minori erano circa 360 mila, con quasi 1,3 milioni di persone coinvolte complessivamente, e quelli con disabili quasi 200 mila, con più di 400 mila persone coinvolte. Non si possono semplicemente sottrarre dal totale dei percettori perché i due insiemi possono essere parzialmente sovrapponibili (ci sono famiglie con minori e con disabili).
Oltre a questo problema, dai dati INPS non si vede la distribuzione per età, quindi non c’è modo di isolare gli ultrasessantenni, che continueranno a ricevere l’assegno.
Si può solo desumere l’entità della platea guardando i dati dell’ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, che si occupa di aiutare i percettori del reddito di cittadinanza (ma non solo loro) a entrare nel mercato del lavoro.
Da quando è entrata in vigore questa misura, è sempre stato piuttosto difficile stabilire il reale numero di beneficiari passati per le politiche attive del lavoro e che magari hanno trovato un impiego. Il motivo principale è che queste persone passano attraverso le procedure di vari enti, l’INPS, l’ANPAL e i Centri per l’impiego, e che queste strutture non condividono i dati tra di loro.
In più l’ANPAL si è sempre dimostrata molto lenta a diffondere i dati: per esempio, gli ultimi sono stati pubblicati a ottobre e sono relativi a giugno. Prima di questi, i precedenti erano fermi al settembre del 2021.
Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia sono stati indirizzati ai servizi per il lavoro circa 830mila beneficiari, di questi dovevano sottoscrivere il Patto per il lavoro circa 660 mila persone: lo hanno fatto solo in 280mila. Il Patto per il lavoro per alcune categorie di beneficiari è essenziale per poter accedere al sussidio e prevede l’adesione a percorsi di inserimento al lavoro (corsi di formazione, orientamento e via così). Secondo la legge istitutiva del reddito di cittadinanza sono esonerati i percettori con a carico soggetti minori di tre anni o disabili.
Quindi chi ha firmato il Patto per il lavoro si avvicina alle caratteristiche indicate dal governo per rientrare nella categoria degli “occupabili”. È plausibile però che quella dei 660 mila percettori sia una stima per eccesso e che quindi non tutti perderanno il sussidio: tra questi infatti ci saranno anche persone con più di sessant’anni o con figli minori che abbiano più di tre anni. La stima di chi perderà il diritto a ricevere il reddito di cittadinanza dopo l’intervento del governo Meloni, insomma, è di centinaia di migliaia di persone, e realisticamente meno di 660mila.
Meloni in conferenza stampa ha spiegato il motivo dietro alla decisione del governo: «vorrei sapere se chi ha pensato il reddito di cittadinanza lo ha immaginato come uno strumento con il quale lo stato dovesse occuparsi delle persone dai 18 ai 60 anni. Segnalo sommessamente che c’è gente che lo prende da tre anni. Quindi non ha funzionato come doveva funzionare o abbiamo stabilito il principio che per alcuni italiani lo stato se ne occupa all’infinito. Io trovo che lo stato se ne debba occupare aiutando a trovare a queste persone un posto di lavoro e a migliorare la propria condizione».
Uno dei presupposti principali dell’introduzione del reddito di cittadinanza era che fosse vincolato alla partecipazione delle persone che lo ricevevano a un percorso di inserimento lavorativo. Questo tuttavia è sempre stato l’aspetto più controverso e probabilmente fallimentare della misura. Al momento dell’applicazione della norma, infatti, il potenziamento delle politiche attive del lavoro fu fatto di fretta e in maniera raffazzonata, e portò a noti problemi sia dentro l’ANPAL, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, sia nella gestione dei cosiddetti navigator, cioè le persone che avrebbero dovuto trovare lavoro a chi ottiene il reddito.
A rendere tutto più complicato c’è il fatto che i beneficiari del reddito di cittadinanza sono spesso persone poco istruite e senza formazione professionale, talvolta anche ai margini della società, che è difficile collocare senza prima un percorso di reinserimento. Le persone giudicate “occupabili” per legge spesso di fatto non interessano ai datori di lavoro. Non è insomma realistico pensare che le centinaia di migliaia di persone che saranno escluse dal reddito di cittadinanza dal 2024 e che non hanno trovato lavoro finora possano farlo nel giro di 8 mesi l’anno prossimo.
Il governo Meloni ha promesso di potenziare il percorso di riqualificazione professionale dei percettori. Ci saranno corsi obbligatori di sei mesi e il sussidio sarà reso compatibile con i contratti stagionali o intermittenti fino a 3 mila euro. Il governo chiederà ai comuni di impiegare tutti i beneficiari nei lavori socialmente utili. L’erogazione dell’assegno finirà al rifiuto della prima offerta congrua di lavoro (dalle due di oggi e le tre degli inizi). Si offrirà lo sconto totale dei contributi alle aziende che assumeranno i beneficiari. Tutti incentivi, nell’ottica del governo, che serviranno a favorire l’inserimento lavorativo per le persone che perderanno il reddito di cittadinanza. Non c’è però una storia di grandi successi dietro questo tipo di interventi. Per esempio, nel 2020 gli incentivi legati all’assunzione dei beneficiari del reddito di cittadinanza avevano riguardato solo 138 persone, e nel 2021 altre 137.
C’è un’altra questione: attualmente il reddito di cittadinanza ha svolto anche la funzione di offrire un’alternativa di reddito alle persone che diversamente avrebbero probabilmente accettato rapporti di lavoro – legali o illegali – sottopagati. In altre parole, per i datori di lavoro è stato più difficile trovare personale disposto ad accettare lavori retribuiti sotto una certa soglia, una soglia bassissima considerando che l’importo medio del reddito di cittadinanza aggiornato a settembre era di 581,71 euro mensili. Questo perché molte persone hanno preferito percepire il reddito, piuttosto che lavorare per compensi mensili analoghi o poco più alti. Il rischio preventivato da alcuni esperti di politiche del lavoro è che l’eliminazione del reddito di cittadinanza, insomma, abbia un effetto al ribasso sui salari dei lavoratori poco qualificati.