Perché Iran e Turchia stanno attaccando i curdi, di nuovo
C’entrano le proteste contro il regime in Iran e l’ultimo attentato terroristico a Istanbul, ma ci sono anche ragioni più profonde
Negli ultimi giorni sia la Turchia sia l’Iran hanno compiuto operazioni militari fuori dai propri confini con bombardamenti aerei e artiglieria per colpire città e territori a maggioranza curda: la Turchia ha attaccato i curdi nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq, mentre l’Iran ha attaccato i curdi in Iraq.
Le due operazioni non sono collegate tra loro, e il fatto che siano avvenute negli stessi giorni è molto probabilmente una coincidenza: Turchia e Iran non sono due paesi alleati, e anzi spesso i loro obiettivi nella regione sono contrapposti. Alcuni commentatori tuttavia non hanno escluso che in questo caso ci sia stato un coordinamento. Soprattutto, i due attacchi mostrano come i curdi, la più grande popolazione del mondo a non avere uno stato proprio, siano spesso coinvolti a loro discapito nelle vicende interne di altri stati: un esperto ha detto all’agenzia di stampa France 24 che per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e per il regime teocratico che governa l’Iran i curdi sono diventati «un capro espiatorio ideale».
I curdi sono una popolazione di circa 40 milioni di persone che vive in un’ampia area nell’intersezione tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Pur essendo uno dei gruppi etnici più grandi di tutto il Medio Oriente, non hanno uno stato proprio: sono divisi tra questi quattro paesi in comunità che hanno vari gradi di autonomia (soprattutto per quanto riguarda il Kurdistan iracheno) e partecipano in vari gradi alla vita politica del paese che li ospita.
Di solito, si parla di Kurdistan in generale per definire l’ampio territorio interstatale in cui vivono i curdi, che poi viene declinato in Kurdistan iracheno, siriano o iraniano a seconda della collocazione all’interno degli stati.
Turchia
L’attacco contro i curdi di gran lunga più consistente è stato quello della Turchia, che il 20 novembre ha avviato l’operazione “Claw-Sword” (che si traduce come “artiglio-spada”) contro i gruppi curdi del PKK e dell’YPG.
Il PKK è un gruppo militare di estrema sinistra che opera soprattutto in Iraq e che sia la Turchia sia i paesi occidentali considerano un’organizzazione terroristica. L’YPG è una milizia di curdi siriani che è considerata alleata del PKK, ma che invece non è ritenuta un’organizzazione terroristica dall’Occidente. Al contrario, negli anni della guerra contro lo Stato Islamico, grossomodo tra il 2016 e il 2019, l’YPG fu armato, addestrato e sostenuto dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
Attualmente l’YPG e i suoi alleati minori delle Forze democratiche siriane (SDF nell’acronimo inglese) controllano militarmente circa un quinto del territorio siriano, a nord-est del paese, e hanno un esercito di oltre 100 mila persone. In Iraq, invece, i curdi hanno migliori rapporti con il governo centrale iracheno, e governano un’ampia regione a nord-ovest del paese con un certo grado di autonomia.
Ufficialmente, la Turchia ha avviato l’operazione militare contro i curdi in Siria e Iraq in risposta a un attacco terroristico avvenuto nel centro di Istanbul il 13 novembre, in cui erano state uccise sei persone e ne erano state ferite più di 80. Il governo turco ha accusato dell’attacco sia il PKK sia l’YPG, anche se non ha presentato particolari prove e i leader dei due gruppi hanno smentito il proprio coinvolgimento (è vero che il PKK ha compiuto numerosi attentati terroristici nella sua storia).
Il 20 novembre la Turchia ha avviato un’imponente operazione di bombardamento aereo con jet e droni contro le zone curde della Siria, colpendo le regioni di Tal Rifat, Cizire e Derik. Soprattutto, l’aviazione turca ha attaccato la cittadina di Kobane, famosa perché tra il 2014 e il 2015 respinse con successo un durissimo assedio da parte dello Stato Islamico: oggi Kobane è uno dei principali centri operativi dell’YPG.
Secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu, i bombardamenti turchi avrebbero colpito «471 obiettivi terroristici» e «neutralizzato», cioè ucciso, «254 terroristi». Ma le autorità locali sostengono che tra i morti ci siano moltissimi civili, e che nel primo giorno di bombardamenti sia perfino stato colpito un ospedale pediatrico nella zona di Kobane.
L’attacco turco contro i curdi in Iraq è stato meno consistente di quello in Siria, e si è concentrato nella zona dei monti Qandil, dove si ritiene si trovi la base del PKK. Gli attacchi aerei sarebbero comunque stati limitati: i morti sarebbero alcune decine, secondo le autorità locali.
L’offensiva turca contro i curdi sta proseguendo da giorni, ed è probabile che non si limiterà ai bombardamenti aerei: lunedì Erdogan ha detto piuttosto esplicitamente che l’attacco di questi giorni «non si limita alla campagna aerea», lasciando intendere che potrebbe esserci un’altra incursione di terra dell’esercito turco in territorio siriano.
Benché la ragione ufficiale dell’operazione Claw-Sword sia l’attacco terroristico a Istanbul, alcuni analisti hanno visto altre motivazioni nei bombardamenti della Turchia contro i curdi. Anzitutto, la Turchia ritiene che la presenza ai suoi confini di gruppi curdi bene armati come YPG e PKK sia una minaccia alla sua sicurezza: dal 2016 a oggi, l’esercito turco ha condotto ben tre operazioni militari di terra contro i curdi siriani, e ha anche ottenuto il controllo militare di alcune regioni della Siria da cui era riuscita a cacciare i curdi. L’attacco terroristico di Istanbul, dunque, potrebbe essere stato usato dal governo turco come la scusa per una nuova offensiva.
La Turchia ospita più di 3 milioni e mezzo di profughi siriani scappati dopo la guerra, la cui presenza in territorio turco sta diventando sempre più impopolare tra l’elettorato. Un progetto che da tempo il governo turco considera è quello di mettere in sicurezza una parte di territorio nel nord della Siria dove ricollocare i profughi.
Nella primavera del 2023, inoltre, in Turchia ci saranno le elezioni presidenziali, e la situazione è complicata per Erdogan, che è indebolito sia da un’opposizione piuttosto forte sia da una grave crisi economica, con un’inflazione altissima che ha fatto quasi raddoppiare i prezzi in un anno.
Iran
L’attacco dell’Iran contro i curdi iracheni è stato meno imponente di quello turco, ma è comunque molto rilevante, perché è legato alle proteste contro il regime che sono in corso in tutto il paese da metà settembre. Le proteste cominciarono dopo la morte in un centro di rieducazione di Mahsa Amini, una donna di 22 anni arrestata perché non indossava correttamente il velo islamico. Amini è stata uccisa a Teheran, la capitale del paese, ma era residente nel Kurdistan iraniano, una regione a nord-ovest del paese.
Per questo le proteste contro il regime che sono cominciate dopo la morte di Amini, sebbene siano diffuse in tutto il paese, sono state particolarmente intense e violente nel Kurdistan, dove la rabbia contro il regime si è unita a istanze indipendentiste e autonomiste. Anche in altre regioni periferiche dell’Iran, come per esempio la provincia del Sistan e Baluchistan, è successa la stessa cosa.
– Ascolta anche: La puntata di Globo sulle proteste in Iran
Il regime iraniano ormai da due mesi cerca invano di reprimere le proteste, e tra le altre cose ha diffuso teorie del complotto secondo cui le proteste sarebbero eterodirette sia dall’Occidente sia dall’opposizione curda al regime, che si trova al di là del confine in Iraq. In particolare, in Iraq si trovano i leader e le basi del Partito Democratico del Kurdistan iraniano (KDPI nell’acronimo inglese), un partito di sinistra favorevole all’autodeterminazione del popolo curdo, che fu reso illegale decenni fa dal governo iraniano e che da allora compie azioni di guerriglia contro il regime assieme ad altri gruppi, come il partito di estrema sinistra Komala.
Approfittando della scusa delle proteste, l’Iran ha attaccato le postazioni del KDPI al confine tra Iran e Iraq, compiendo vari attacchi in cui finora sono state uccise almeno 20 persone.