Lo sporco ha fatto anche cose buone
Come pulire i metalli – o non pulirli – in un capitolo extra del nuovo libro di Dario Bressanini
Il nuovo libro di Dario Bressanini, divulgatore scientifico di grande successo, è andato al primo posto nella classifica dei libri più venduti nella settimana della sua uscita: si chiama La scienza delle pulizie (Gribaudo) e raccoglie i consigli e le spiegazioni che Bressanini da tempo diffonde sulle piattaforme online a proposito dell’igiene domestica e le sue implicazioni scientifiche. Il Post ospita un capitolo extra sulla pulizia dei metalli, non incluso nel libro.
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Tra i vari materiali di cui siamo circondati, i metalli hanno un fascino tutto particolare: sono lucenti, duttili, riflettenti, a volte colorati, malleabili o forgiabili in mille forme. Li abbiamo ovunque in casa: vasi, soprammobili, gioielli, posate, superfici, cornici, utensili, monete, stoviglie e altri oggetti di ogni tipo. Purtroppo, la maggior parte dei metalli, col tempo e in certe condizioni, perdono la loro naturale lucentezza e diventano opachi, a volte si ricoprono di una patina scura o di infiorescenze colorate. Se desiderate riportarli alla loro lucentezza originale, è necessario prima capire con che metallo abbiamo a che fare.
A volte è molto semplice: il completo di posate che avete ereditato e che faceva parte della dote della vostra bisnonna una volta era tutto lucente, mentre ora coltelli e forchette sono bruniti. È una reazione tipica dell’argento, materiale spesso utilizzato per, appunto, la cosiddetta “argenteria”. La stessa cosa può accadere a una collana, a un braccialetto oppure a un ciondolo che vi siete scordati di togliere prima di entrare alle terme. Sfortunatamente l’acqua era sulfurea e, all’uscita, l’argento è diventato molto scuro. E che dire dei paioli e del pentolame di rame, che magari usate molto raramente e che ora trovate ricoperto di una leggera patina verde? E in quanto alla moka con cui fate il caffè? È ricoperta di una patina biancastra, e anche all’interno non è più lucente, tanto è sporca. Che fare?
In tutti questi casi, e altri ancora riguardanti metalli molto meno diffusi nelle case, lo sporco che osserviamo è di un tipo particolare rispetto a quello descritto negli altri capitoli di questo libro. Mentre di solito lo sporco che si deposita sui tessuti o sui pavimenti è estraneo al materiale stesso e proviene dall’esterno (pensate alla macchia di sugo che cade sulla camicia o la polvere che si deposita sul pavimento), nel caso dei metalli molto spesso sono dei derivati dei metalli stessi a seguito di reazioni chimiche con altre sostanze presenti nell’ambiente: solfuro di argento, carbonato di rame e ossido di alluminio, nei tre casi citati prima. In esempi come questi, conoscendo esattamente la composizione chimica dello sporco, trovare una soluzione chimica accettabile ed efficace è più semplice. Certo, oltre allo sporco derivato dal metallo stesso possono essere presenti anche altri tipi di sporco più classico, quindi è sempre necessario ragionare, prima di iniziare a pulire.
I gioielli, per esempio, è probabile che siano ricoperti da residui grassi – il sebo – prodotti dal nostro corpo, e quindi un detergente e uno spazzolino morbido per eliminarli possono non solo essere utili, ma anche necessari, per rendere più efficace il trattamento successivo.
Come vedremo, la pulizia dei metalli è uno di quei rari casi in cui anche i rimedi casalinghi sono efficaci almeno quanto quelli commerciali, e a volte anche di più.
Al supermercato
I prodotti in commercio per pulire i metalli sono tantissimi. Alcuni sono specifici per singoli metalli, come l’argento o il rame. Altri hanno un utilizzo a più ampio spettro. A volte la composizione chimica completa è riportata in etichetta, ma altre volte no, ma sono talmente tanti e diversi che avrebbe poco senso che io ne descriva il contenuto. Tutti, però, rientrano in tre grandi categorie: liquidi in cui deve essere immerso l’oggetto da pulire (di solito piccolo), creme da stendere sull’oggetto con un panno, oppure tessuti già impregnati di prodotto da usare per strofinare l’oggetto.
Raramente questi prodotti contengono una sola sostanza chimica. Quasi sempre, invece, oltre al reagente specifico per pulire il metallo, spesso un acido non troppo forte, contengono dei solventi organici per sciogliere i residui grassi e dei tensioattivi per un’azione pulente generica.
Liquidi
Per gli oggetti piccoli come orecchini e ciondoli, magari molto lavorati, i liquidi hanno il vantaggio di sommergere completamente l’oggetto da pulire e di raggiungere ogni piccolo anfratto. Hanno un’azione puramente chimica e solitamente agiscono velocemente, anche in pochi minuti. Molti ossidi metallici vengono puliti in questo modo, così come il solfuro che ricopre l’argento. Dopo l’immersione, l’oggetto viene sciacquato e asciugato, e si spera che il prodotto abbia mantenuto le sue promesse.
Creme
I prodotti in crema sono un po’ più laboriosi da usare. Devono essere stesi su tutta la superficie da pulire, a volte con uno spazzolino. Può essere difficile raggiungere l’interno di alcune decorazioni, soprattutto se la crema è dura. L’oggetto deve essere strofinato ripetutamente con un panno o della carta da cucina. A differenza dei prodotti liquidi, spesso alle creme sono aggiunte anche delle polveri abrasive e, quindi, oltre alla pulizia chimica si aggiunge quella meccanica. Questo significa che potenzialmente possono pulire meglio, togliendo anche la parte di sporco che non viene attaccata dalla soluzione chimica. Ma ricordate che l’abrasione, oltre a eliminare lo sporco, può togliere anche il metallo se non state attenti, specialmente se ci sono dettagli o decorazioni piccole e delicate. A volte questi prodotti contengono anche sostanze – cere, per esempio – che rimangono sull’oggetto come un film invisibile, proteggendolo da un’ossidazione futura.
Tessuti impregnati
Di solito questi prodotti sono impregnati di sostanze molto simili a quelle contenute nelle creme. Anche in questo caso, fate attenzione alle polveri abrasive contenute. Possono essere molto utili per rimuovere gli ossidi superficiali ma, se sono troppo dure, possono graffiare l’oggetto. Tra le polveri abrasive potreste trovare la polvere di quarzo, il caolino o silicato di alluminio, l’ossido di alluminio, il carbonato di calcio o altre sostanze ancora. Alcune polveri sono più morbide, altre sono più dure. Leggete sempre bene le istruzioni del vostro prodotto specifico, per usarlo correttamente e non fare disastri.
La scala di Mohs
La pulizia per azione abrasiva meccanica di un materiale su un altro è già emersa qua e là in altri capitoli di questo libro, ma è probabilmente nella pulizia dei metalli che è più importante, quindi spendo qualche parola in più. Il concetto alla base e molto semplice: se provate a scalfire con un’unghia il vetro delle finestre o la superficie di un coltello non riuscirete a graffiarlo. Se, però, sul vetro o sul coltello sono presenti dei residui di sporco, è molto probabile che con l’unghia riusciate a toglierlo, senza danneggiare il materiale sottostante. Una strategia per togliere alcuni tipi di sporco da superfici dure potrebbe quindi essere quella di utilizzare un materiale che sia in grado di graffiar via quello sporco ma senza danneggiare quello che sta sotto. Quando utilizzate un po’ di sale da cucina inumidito o del bicarbonato per pulire le teglie incrostate del forno state sfruttando questa strategia.
Già, ma come facciamo a essere sicuri di aver scelto il materiale giusto per non danneggiare il materiale sottostante? In prima battuta possiamo usare una scala che ordina in modo qualitativo la durezza di vari materiali: la scala di Mohs1. In questa scala, che va arbitrariamente da 1 a 10, una sostanza produce un graffio sulla precedente ed è graffiata dalla successiva.
Questo modo di classificare qualitativamente la durezza dei materiali è stato introdotto dal geologo tedesco Friedrich Mohs nel 1822 e, nonostante sia una classificazione grossolana, è ancora in uso, specialmente tra i geologi sul campo per valutare qualitativamente un minerale ritrovato.
I valori numerici sono puramente convenzionali, a differenza di altre scale di durezza quantitative come le meno note scale di Brinell o di Vickers. Al culmine della scala c’è il diamante, una tra le sostanze più dure che esistano2. Non a caso si usa anche industrialmente per tagliare tanti altri materiali, compreso il vetro. Nella scala di Mohs ha un valore convenzionale di 10. Abbiamo poi alcune pietre dure come gli zaffiri e i rubini, con un valore di 9, e smeraldi e topazi tra il 7 e l’8. Più o meno attorno a 7 abbiamo il valore della silice (biossido di silicio, SiO2) contenuta nella comune sabbia. Rotolarvi in spiaggia non graffierà le vostre pietre preziose, ma potrebbe rovinare il metallo in cui sono incastonate. I metalli, specialmente quelli preziosi, sono più in basso della silice nella scala Mohs: il platino è tra 4 e 4,5, mentre l’oro, l’argento e il rame tra 2 e 3.
Il talco ha un valore molto basso nella scala Mohs, 1, ed è l’ideale per pulire per abrasione i metalli perché non rischia di graffiarli. Anche la polvere di gesso (2) si può usare. Il carbonato di calcio (3) può graffiare oro e argento ma può andare bene per altri materiali di uso più comune, come il vetro. Può graffiare le unghie, che nella scala di Mohs hanno un valore di 2,5, ma questo significa che possiamo usare le unghie (senza smalto) per pulire qualche oggetto senza il rischio di graffiarlo. Lo smalto dei denti è principalmente idrossiapatite, fosfato di calcio, con un valore di 5. È per questo che il carbonato di calcio era utilizzato nei dentifrici: la sua azione abrasiva non danneggia lo smalto.
Tuttavia, è necessario ricordare che la durezza di un materiale non dipende tanto dalla sua composizione chimica quanto da come gli atomi sono disposti nella sua struttura tridimensionale. La grafite e il diamante sono entrambi composti solo da carbonio puro, eppure il diamante è in cima alla scala di Mohs, mentre la grafite è quasi in fondo, tra 1 e 2, perché in questo materiale gli atomi di carbonio sono disposti a strati che si possono staccare facilmente. Questo significa che, se anche vedete su una tabella che il carbonato di calcio o il bicarbonato di sodio hanno una posizione nella scala di Mohs più bassa dell’oggetto che volete pulire, questo non significa che non possano lasciare delle graffiature microscopiche, a seconda della granulometria del materiale e di come è stato cristallizzato. Dopotutto, la scala di Mohs è stata pensata per dare uno strumento visivo immediato al geologo alle prese con un minerale nuovo – provando a graffiare altri minerali già classificati se ne deduceva la durezza dalla formazione di un graffio ben visibile a occhio nudo – e non tiene conto delle graffiature microscopiche.
Ecco perché, per esempio, è fortemente sconsigliabile produrre dentifrici fai da te usando un materiale abrasivo in polvere che, in teoria, dalle tabelle risulta meno duro dello smalto dei denti, ma che potrebbe con un uso prolungato rovinarne la superficie.
Il rame
Quante pentole o padelle di rame utilizzate regolarmente, non contando quelle con l’anima di rame o di rame stagnato? Nessuna? O forse solo il paiolo per la polenta? Eppure, il rame è uno splendido conduttore di calore, migliore dell’alluminio o del pessimo (da questo punto di vista) acciaio. Il fatto è che il rame ad alte concentrazioni è tossico per il nostro organismo, e ha la brutta abitudine di reagire facilmente con gli acidi, anche deboli, presenti in moltissimi alimenti. È per questo che lo si può utilizzare solo per preparazioni, come la polenta, che non coinvolgono acidi. In alcune regioni dell’India, fino all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, era diffusa tra i bambini una malattia mortale: la cirrosi infantile indiana3. La malattia colpiva soprattutto bambini che abitavano in zone rurali, tra i sei mesi e i cinque anni di età. Per lungo tempo la sua origine rimase un mistero, fino al 1978, quando si scoprì una correlazione tra i livelli di rame presenti nel fegato e i sintomi della malattia. I principali accusati furono i recipienti di rame, utilizzati per bollire e immagazzinare il latte. Il rame passava nel latte e di lì nel fegato dei bambini, con esiti mortali. Ora, con l’invito a non utilizzare più pentole e padelle di rame, questa malattia è quasi scomparsa in India.
Anche se non possedete un paiolo per la polenta, forse avete qualche vecchio soprammobile in rame, qualche vaso, uno stampo per budini, o qualche vecchio mestolo appeso alla parete per decorazione. Mi piace il colore rosso del rame. Purtroppo, con il tempo la superficie si ossida, diventa opaca e si imbrunisce. Oppure si chiazza di colori verdastri, dovuti al carbonato di rame. Far tornare a splendere il rame è abbastanza semplice, proprio grazie alla sua sensibilità – e a quella dei suoi ossidi – agli acidi. Esistono in commercio molti prodotti specifici, alcuni dei quali contengono degli acidi mentre altri contengono ammoniaca, poiché questa è in grado di sciogliere efficacemente i derivati del rame.
Ma il vecchio rimedio della nonna, di pulire con aceto e sale, o limone e sale, e olio di gomito naturalmente, funziona egregiamente. Ovvio: sia il limone che l’aceto sono acidi, mentre il sale agisce da abrasivo. Il sale è opzionale e funziona da abrasivo mentre l’acido intacca direttamente la patina. Anche un mezzo limone spremuto avanzato dalla preparazione della macedonia funziona bene. L’unico svantaggio è che sia il succo di limone che l’aceto, essendo liquidi, scappano via velocemente dalla superficie dell’oggetto, e se questo è molto grande non potete metterlo a bagno. Serve qualche cosa che aderisca all’oggetto e possa essere lasciata in posa ad agire anche per decine di minuti, che possono essere necessari per oggetti particolarmente vecchi e ricoperti di una patina tenace. Forse avete nel frigorifero quello che fa per voi.
Quando erano piccoli i miei figli adoravano il ketchup. Io proprio non lo sopporto, ma per loro le patatine fritte, per non parlare delle pepite di pollo, non erano perfette se non potevano intingerle in quella salsa rossa agrodolce. Inutile dire che ogni tanto mi ritrovavo con bottiglie di ketchup preistorico in frigorifero. Che farne? Se anche voi avete questo problema, vi svelo un nuovo e inaspettato impiego per questa salsa. Se considerate che il pomodoro è naturalmente acido, e che il ketchup contiene anche dell’aceto, ecco trovato un nuovo utilizzo. Il vantaggio, rispetto al metodo “della nonna” è che si fa molta meno fatica: il ketchup è denso e viscoso, ed è sufficiente stenderne un velo sull’oggetto da pulire, lasciarlo agire per 30 minuti e risciacquare.
Anche l’alluminio è sensibile agli acidi, ma se sperate di pulire la vostra vecchia caffettiera con lo stesso metodo, purtroppo vi devo deludere: non funziona, l’acidità è troppo debole.
Il ferro
Il ferro è un metallo molto comune, ma è utilizzato raramente tal quale in una casa, perché viene attaccato facilmente dagli agenti atmosferici per formare quella che chiamiamo “ruggine”, cioè una miscela di carbonato di ferro e idrossido di ferro, bruni, e ossido di ferro rossastro. Chiamiamo spesso “ferro” leghe con altri elementi, come il carbonio, per dare la ghisa o gli acciai dolci, che però sono facilmente attaccabili dall’ossigeno e dall’acqua, con la formazione di una patina di ossido e idrossido. A differenza di quello che succede ad altri metalli, come l’alluminio, questa patina non è sufficiente a proteggere il metallo sottostante, che continua a venire corroso fino alla completa distruzione.
Forse gli unici oggetti a base di ferro che usiamo in cucina e che possono potenzialmente arrugginire sono le padelle in ghisa, utilissime per certi tipi di cotture4 ma che vengono appositamente trattate con olio ad alte temperature in modo da formare una patina antiaderente che protegge il metallo sottostante. Se la vostra padella di ghisa mostra segni di ruggine, dopo averla pulita è forse il tempo di riapplicare la patina protettiva. Oppure di comprare un’altra padella.
Magari vi è capitato di trovare un pezzo di ferro molto arrugginito sul greto di un fiume, trascinato da chissà dove. Trascorro spesso le vacanze in Valle Vigezzo, nell’Ossola, dove nel 1978 vi fu una tremenda alluvione che distrusse case, strade e ponti, causando nove morti e molti feriti. Ogni tanto sul greto del fiume si possono ancora trovare, incastrati sotto qualche sacco, degli oggetti di ferro completamente arrugginiti, magari appartenenti a qualcuna delle case e roulotte distrutte e trascinate dal fiume. Gli oggetti spesso sono fragilissimi e bucati, perché la corrosione è continuata indisturbata per decenni.
Se avete trovato in soffitta un vecchio oggetto in ferro un po’ arrugginito che volete ripulire, la prima cosa che potete provare è l’asportazione meccanica dello strato superficiale della ruggine. Potete usare la carta vetrata o, per un’azione più energica, una spazzolina di bronzo. Il passo successivo è utilizzare un acido. L’acido cloridrico (commercialmente noto come muriatico) è troppo forte. Toglie la ruggine ma rischia anche di corrodere, anche se più lentamente e anche se diluito, il ferro sottostante. Potete usarlo, diluito, ma solo nei casi più disperati, non perdendo di vista letteralmente l’oggetto da pulire (ovviamente privo di vernice o altri materiali) e osservando quando è tempo di toglierlo dal bagno di acido. Sciacquatelo per bene in acqua e, per eliminare eventuali residui di acido rimasti intrappolati, fate anche un bagno in ammoniaca diluita (partite da quella che trovate al supermercato tra i prodotti per la pulizia della casa) e poi ancora in acqua.
In generale sarebbe meglio utilizzare acidi più deboli, e alcuni prodotti commerciali contengono acido fosforico, acido lattico, acido ossalico oppure acido citrico. Di questi il più facile da reperire e sicuro da utilizzare a casa è l’acido citrico, che è comunemente acquistabile puro in barattolo (ed è contenuto nel succo di limone). Potete fare una soluzione al 15% sciogliendo 150 g di acido citrico in un litro d’acqua, immergere l’oggetto e lasciarlo lì per il tempo necessario, anche un giorno intero.
Nel caso l’oggetto abbia ancora bisogno di essere pulito, vi consiglio di andare in un ferramenta e acquistare un prodotto specifico che vi sapranno sicuramente consigliare.
L’acciaio
L’acciaio inossidabile (o inox) è il re delle cucine professionali: resistente, molto facile da pulire, con la superficie estremamente liscia e non porosa non assorbe liquidi e rende molto difficile ai microrganismi aderire, sopravvivere e riprodursi. Si macchia molto difficilmente e resiste molto bene alla corrosione da parte di cibi acidi. Forse voi non avete una cucina professionale, ma sono sicuro che qualche pentola o padella in acciaio l’avete. Oppure le porte del frigorifero, o il profilo del forno. Guardatevi intorno e probabilmente troverete un oggetto in acciaio che forse ha bisogno di essere occasionalmente pulito.
L’acciaio inossidabile non arrugginisce e, come dice il nome, in condizioni normali non si ossida, a differenza del comune acciaio al carbonio. Deve le sue proprietà alla presenza, nella lega, di cromo che, ossidandosi sulla superficie dell’acciaio, forma una patina di ossido estremamente sottile (dello spessore di pochi atomi) che protegge il metallo sottostante dall’attacco dell’ossigeno e dell’acqua. Possono poi essere presenti anche altri metalli come nichel, molibdeno o titanio, per donare all’acciaio particolari proprietà. Se il sottile strato di ossido protettivo viene tolto, per esempio con un graffio o per effetto di un acido blando, l’acciaio esposto all’ambiente ossidante riforma immediatamente lo strato di ossido protettivo, con un fenomeno chiamato tecnicamente “passivazione”, perché il metallo diventa passivo e inerte nei confronti dell’ossigeno e degli altri agenti ossidanti presenti nell’ambiente. Immaginate una ferita che si autorimargina.
A differenza degli altri metalli trattati qui, che solitamente sono ricoperti di uno sporco ben specifico, il largo uso dell’acciaio fa sì che possa essere ricoperto di vari tipi di sporco, e quindi è necessario di volta in volta capire come procedere. Perché l’acciaio inox è sì inossidabile, ma è molto facile danneggiarlo permanentemente. Vediamo quindi il modo migliore per pulirlo, a seconda del tipo di sporco presente, con i consigli dell’associazione europea per l’acciaio inossidabile.
Impronte visibili e goccioline di grasso
Non so voi, ma io faccio spesso soffritti, verdure saltate, pesci e crostacei scottati in padella, insomma tutte operazioni che di solito lanciano nell’aria moltissime goccioline di grasso di cottura. Specialmente se avete anche l’abitudine di sfumare con un po’ di vino. La cappa, per quanto potente, non è in grado di catturare tutte le minuscole particelle che si librano in aria e queste vanno inesorabilmente a depositarsi sulle varie superfici dure vicine al piano cottura, incluse le superfici di acciaio. E se anche non cucinate, perché aderite alla recente religione importata del sushi e sashimi, potreste aver lasciato delle impronte grasse su tutte le superfici. Niente paura, non avete bisogno di un prodotto apposito. Basta un po’ di acqua e sapone o detergente, anche qualche goccia di sapone per i piatti va benissimo. Usate una spugnetta morbida non abrasiva o un tessuto in microfibra ben strizzato. Ricordatevi di asciugare sempre con un panno asciutto, una volta finita la pulizia. Evitate i prodotti abrasivi, che rischiano di lasciare dei graffi. Se avete dell’acciaio satinato o decorato, ricordatevi sempre di pulire lungo la direzione dei microsolchi della satinatura e mai perpendicolarmente.
Sporco grasso più tenace
Nel lavandino, specialmente attorno allo scarico, si possono accumulare depositi di cibo, quindi una miscela di grassi, proteine e amidi. In questo caso la cosa migliore da fare è usare un prodotto cremoso, lasciar agire secondo le istruzioni e poi pulire con una spugnetta. Come al solito, asciugate dopo il risciacquo.
Residui di calcare
Se la vostra acqua è particolarmente dura, potreste avere dei residui calcarei sulle superfici. A volte sono grandi e visibili: depositi chiari alla base del rubinetto e intorno allo scarico. A volte invece i depositi sono più diffusi, talmente piccoli che l’effetto è di opacizzare un po’ l’acciaio, renderlo un po’ biancastro. Se avete tanto calcare andate a rileggere il capitolo di questo libro dedicato al calcare e a come si combatte. Altrimenti potete semplicemente utilizzare una soluzione diluita di un acido debole, lasciare che i depositi calcarei si sciolgano, sciacquare e asciugare. L’associazione europea per l’acciaio inossidabile suggerisce di usare una soluzione al 25% di aceto. Per evitare di lasciare altri residui vi consiglio di usare l’aceto d’alcol: una parte di aceto e tre parti d’acqua. Poiché non è prodotto dal vino ma direttamente dall’alcol, non ha in soluzione altre sostanze che non siano acqua e acido acetico (e forse un po’ di alcol etilico residuo) e quindi non lascia depositi. Io personalmente non gradisco l’odore dell’aceto in giro per la casa, quindi utilizzo sempre l’acido citrico in una soluzione al 5%, se devo lasciare agire per qualche minuto, o al 10% se voglio un’azione più veloce. Gli acciai sono abbastanza resistenti agli acidi deboli come l’acido acetico e l’acido citrico, se i tempi di contatto non sono prolungati e la microcorrosione è rapidamente riparata dalla superficie dell’acciaio stesso.
Residui di cibo bruciato
A chi non è mai capitato di dimenticarsi una pentola o una padella sul fornello acceso fino a far bruciare il contenuto? Io di solito me ne accorgo dall’odore che si sparge per casa. È un attimo: suona il campanello, oppure ricevo una telefonata più lunga del previsto e la frittata è fatta, o meglio, è bruciata. I residui di cibo bruciato sono molto tenaci, ma a meno di aver proprio carbonizzato tutto, e in quel caso la padella è da buttare, è possibile provare a rimediare al pasticcio.
La prima cosa da fare è sommergere la parte bruciata con acqua calda a cui potete aggiungere un poco di detergente per piatti, e lasciare a bagno per 15-20 minuti, in modo che i resti di cibo si idratino. Dopo potete usare una spugnetta morbida o di nylon per grattare i residui.
Se i pezzi di cibo non si sono tolti è possibile passare alle maniere un po’ più forti. Il cibo è prevalentemente composto da carboidrati, grassi e proteine. Queste ultime due componenti, in particolare, sono sensibili alle sostanze alcaline: a pH sufficientemente alcalini, i grassi si trasformano in saponi e le proteine si degradano. Spargete sui residui un paio di cucchiaini di carbonato di sodio, sommergete di acqua calda e lasciate agire per qualche ora prima di usare una spugnetta per rimuovere lo sporco. Fate attenzione mentre maneggiate il carbonato di sodio: non è così alcalino come la soda caustica (NaOH), ma lo è sufficientemente da causare irritazioni o danni se vi arrivano degli schizzi.
Se non avete in casa il carbonato di sodio, è probabile che abbiate però il bicarbonato di sodio. Sciolto in acqua il suo pH non è abbastanza alcalino, ma potete procedere così: versate qualche cucchiaio di bicarbonato sui residui e copritelo di acqua bollente. Potete prepararla con un bollitore. Oppure potete sommergere di acqua calda e, con un coperchio per evitare schizzi, portare all’ebollizione. Il bicarbonato riscaldato ad alte temperature comincia a perdere anidride carbonica e a trasformarsi in carbonato di sodio, che quindi può agire con il suo pH più alcalino.
Questo trattamento può funzionare anche se avete bruciato del cibo in una padella antiaderente, ma non fatelo con le superfici di alluminio, perché questo metallo viene danneggiato dal pH alcalino. Se anche questo trattamento non ha funzionato, allora vuol dire che avete proprio fatto un bel danno. Potete provare a usare delle pagliette di lana d’acciaio inossidabile. Attenzione, non semplicemente lana d’acciaio: deve esserci scritto “inossidabile”. La lana d’acciaio, in realtà, di acciaio vero e proprio può contenerne poco, e i residui di ferro che potrebbe lasciare sulla vostra padella mentre sfregate possono danneggiare le proprietà anticorrosione dell’acciaio inossidabile. Muniti della vostra paglietta di lana d’acciaio inox, potete grattare i residui. Purtroppo, lascerete dei graffi, ma le proprietà inossidabili dovrebbero essere mantenute. Ovviamente, che non vi venga in mente di usare queste maniere forti per oggetti con decorazioni o cromature.
Residui di tè e caffè
Se avete bricchi o tazze in acciaio dove avete lasciato del tè o del caffè, possono esservi dei residui. Anche in questo caso potete usare il carbonato di sodio, oppure il bicarbonato a cui aggiungete dell’acqua bollente per trasformarlo parzialmente in carbonato di sodio. Lasciate agire per 15 minuti. I tannini del tè sono sensibili al pH alcalino, mentre i residui oleosi del caffè si saponificheranno parzialmente. Potrete poi togliere con una spugnetta, sciacquare e, come al solito, asciugare subito.
Residui adesivi e colle
Avete tolto del nastro adesivo e un pezzo di acciaio è rimasto tutto appiccicoso. Avete già provato con acqua e detergente per piatti ma non ha funzionato. Potete provare con un solvente organico. Avete dell’alcol etilico in casa? Sia quello alimentare al 95% che quello denaturato rosa vanno bene. In mancanza di questo, provate con un detergente per vetri e finestre: di solito contengono alcol. Se non funziona, avete dell’acetone a casa? Imbevete un lembo di tessuto e provate a pulire. Non c’è bisogno che vi dica che dovreste mettere dei guanti usa e getta e gli occhiali di protezione, stare lontano dalle fiamme e magari lavorare all’aperto, giusto? Non è detto che funzioni, dipende dal tipo di colla.
Il sale da cucina è deleterio per l’acciaio. Evitate di usare prodotti o miscele casalinghe che lo contengono (o meglio, che contengono lo ione cloruro, Cl−). Anche a concentrazioni basse può danneggiare l’acciaio, se i tempi di contatto sono prolungati. Evitate di usare acidi forti come l’acido cloridrico (o muriatico), che lo corrodono molto velocemente e irrimediabilmente. L’acido cloridrico è spesso presente come scioglicalcare nei prodotti per la pulizia dei bagni, liquidi o in gel. Se inavvertitamente versate dell’acido cloridrico sull’acciaio, lavate immediatamente con abbondante acqua più volte. Se un po’ di acido si è infilato in qualche anfratto difficile da raggiungere potete provare a neutralizzarlo con del bicarbonato ma attenti agli schizzi. Valgono ovviamente le solite raccomandazioni: usate i guanti e gli occhiali protettivi ed evitate di fare questi lavori avendo ampie zone di pelle scoperta. Sì, anche se è estate e avete caldo. I chimici, anche d’estate, indossano il camice mica per niente.
Oltre agli acidi, dovete stare attenti anche agli agenti fortemente ossidanti come la candeggina. Se la usate sull’acciaio, magari per disinfettare un piano dopo averci tagliato il pollo, diluitela sempre secondo le istruzioni sulla confezione, risciacquate e asciugate. Se utilizzate prodotti per la pulizia energici a base di ipoclorito di sodio, leggete tutte le istruzioni (sono scritte in piccolo e sono noiose, lo so, ma ho detto “tutte”, non fate i furbetti) e rispettate scrupolosamente i tempi di contatto indicati. Evitate di usare pagliette di acciaio o spugne abrasive, perché danneggiano la superficie.
L’alluminio
Se avete in casa una padella di alluminio o una moka per il caffè avrete sicuramente notato come, con l’uso, l’alluminio perda rapidamente di lucentezza e si ricopra di una patina opaca biancastra. Questa patina è ossido di alluminio, e agisce da film protettivo per il metallo sottostante, proteggendolo da un’ulteriore ossidazione. Questa patina, però, è delicata e può essere facilmente rimossa per esempio da sostanze acide o alcaline, o anche solo da acqua salata, lasciando il metallo scoperto, con possibile passaggio di alluminio nel cibo. Tranquilli, l’alluminio non è né cancerogeno né genotossico (quindi non danneggia il DNA). Non è però un metallo di cui abbiamo bisogno per vivere, a differenza di altri come il ferro e il calcio. Poiché si potrebbe accumulare nel nostro corpo e, ad alte concentrazioni, avere effetti sul sistema nervoso, le autorità sanitarie internazionali hanno fissato dei limiti di sicurezza per l’assunzione settimanale, che comprende sia l’alluminio che assorbiamo normalmente dai cibi, che quello che potremmo assorbire dagli utensili, contenitori usa e getta, dalle padelle e da altre fonti come farmaci e cosmetici.
Finché è presente la patina di ossido di alluminio, non c’è alcun problema di passaggio del metallo al cibo nel contenitore usa e getta che avete utilizzato per fare una crostata. Fogli e contenitori di alluminio, così come le pentole, si possono usare in assoluta sicurezza. I problemi si pongono quando la patina protettiva viene tolta, per esempio con il contatto con sostanze acide come sugo di pomodoro o succo di limone. Questo è il motivo per cui sulle confezioni dei contenitori di alluminio usa e getta per cucinare c’è scritto di non utilizzare a contatto con cibi acidi e salati. Quindi no, non è una buona idea fare un pesce al cartoccio con succo di limone, e neppure cuocere la parmigiana di melanzane con il sugo di pomodoro, che andrebbe a intaccare l’alluminio.
Forse vi starete chiedendo perché vi sto scrivendo tutto questo in un libro che parla delle pulizie? Beh, per spiegarvi che a volte può non essere una buona idea voler far risplendere tutto alla perfezione. Quello che noi chiamiamo sporco, può anche fare cose buone. Prendiamo la preparazione del caffè nella classica moka di alluminio. I test effettuati non rilevano una cessione significativa di alluminio nella bevanda, oltre a quello naturalmente già presente nel caffè in grani. Questo è probabilmente dovuto sia al breve tempo di contatto che alla presenza della patina di protezione di ossido che non viene corrosa dalla blanda acidità del caffè. Patina che però viene asportata se si lava la caffettiera in lavastoviglie, con conseguente aumento dell’alluminio rilasciato, fino alla riformazione della patina.
Lavare in lavastoviglie oggetti di alluminio, comprese le pentole, non è mai una buona idea, perché le condizioni molto alcaline durante il lavaggio, oltre che asportare la patina protettiva, corrodono anche il metallo, macchiandolo e alterandone il colore. Se avete mai provato a lavare in lavastoviglie una classica vaschetta di alluminio di quelle che vi danno con il cibo cinese da asporto, avrete notato che esce dal lavaggio non più lucente e spesso con macchie chiare e scure.
Quindi, tirate fuori la moka dalla lavastoviglie. Se proprio volete dare una pulita all’interno della moka usate acqua e detergente, con una spugnetta di nailon per togliere eventuali residui di caffè. Se invece l’avete già lavata, forse vi sarete anche accorti che i primi caffè dopo il lavaggio facevano abbastanza schifo. Dovete aspettare che si riformi la patina protettiva. Magari serviranno ancora un paio di caffè a vuoto. Lo stesso discorso fatto per la moka vale anche per la teglia di alluminio per le crostate. E se una padella di alluminio è sporca di sugo? Prima promettete di non cucinare più il pomodoro, che è acido, in una padella di alluminio. Ora vediamo che opzioni abbiamo per pulire l’alluminio.
Pulire l’alluminio
Se è sporco di cibo, quindi a base grassa, potete usare un po’ di acqua calda e detergente per piatti. Il detergente utilizzato deve essere delicato e non aggressivo. Qualsiasi detergente abbiate in casa che si possa usare direttamente sulle mani è delicato. Usate una spugnetta morbida. Non usate pagliette d’acciaio o spugne abrasive, altrimenti graffierete il metallo.Se dovete rimuovere dei residui o macchie di adesivo provate a scioglierle con alcol alimentare oppure quello denaturato. Applicatelo con un tessuto e poi asportate i residui. Risciacquate.
Se l’oggetto di alluminio non deve venire a contatto con il cibo, e per qualche motivo volete anche togliere la patina di ossido (che comunque si riformerà), potete effettuare una pulizia acida. Procuratevi del cremortartaro o tartrato acido di potassio. È un sale acido che potete trovare anche al supermercato nella zona dedicata alle preparazioni per i dolci. Serve, unito al bicarbonato di sodio, per fabbricarsi un lievito chimico istantaneo fai da te. Con questo create una pastella aggiungendo poca acqua. Applicate la pastella sulla superficie da pulire e, con l’aiuto di uno spazzolino morbido, passate tutta la superficie. L’acidità del cremortartaro toglierà la patina. Risciacquate bene e asciugate immediatamente.
Se non avete il cremortartaro, come acido potete utilizzare un limone o un lime: tagliatelo a metà e strofinatelo bene sulla superficie. Potreste anche utilizzare una soluzione al 10% di acido citrico, ma essendo un liquido vi scorrerebbe via dalla superficie. Evitate invece sostanze alcaline, come carbonato di sodio e anche bicarbonato, per non parlare della soda caustica: quella potrebbe letteralmente bucarvi la superficie di alluminio e disgregarlo.
L’argento
Forse avete anche voi in qualche cassetto delle posate d’argento, magari tramandate da generazioni. Ve le ricordavate belle lucide quando le usava la nonna per apparecchiare i pranzi delle grandi occasioni. Ora invece le vedete opache, in alcuni punti anche ricoperte di una patina scura, e non le usate più.
L’argento è un metallo nobile con una buona resistenza alla corrosione e all’ossigeno. Il suo annerimento è dovuto a una reazione chimica con vari composti dello zolfo presenti nell’atmosfera, come l’acido solfidrico (H2S) o altri inquinanti ambientali (OCS, carbonil solfuro), oppure per contatto con materiali che contengono composti dello zolfo, come alcune gomme o la lana. Nel caso delle posate, le fonti più probabili di composti dello zolfo causa dell’annerimento sono alimenti come aglio, cipolla, ma soprattutto le uova. L’odore intenso delle uova deteriorate è dovuto proprio all’acido solfidrico che si libera col tempo. Questo è anche responsabile della colorazione grigio-verde che assume il tuorlo esternamente, dopo essere stato cotto nell’uovo intero troppo a lungo. La patina colorata, innocua ma che spaventa alcuni, è formata da solfuro di ferro. Il tuorlo contiene ferro, mentre dall’albume in cottura si libera acido solfidrico. All’interfaccia tra albume e tuorlo, zolfo e ferro si incontrano per formare il solfuro di ferro.
Per questo motivo su coltelli, forchette e cucchiai d’argento si forma una patina scura di solfuro. Il continuo uso delle posate rimuove meccanicamente la patina, ma una volta che sono state riposte nel cassetto per non essere più utilizzate, lentamente ma inesorabilmente la superficie si annerirà. Può anche capitare che il brunimento sia molto veloce, per esempio se vi siete dimenticati di togliere anelli, collane e orecchini d’argento e avete fatto un bagno in acque termali ricche di zolfo.
Questo è un problema che assilla non poco non solo chi possiede oggetti d’argento ma anche i conservatori in musei e collezioni private che hanno a che fare con monete, gioielli, vasi e altri manufatti d’argento, magari anche molto antichi, che devono cercare di ripulire senza danneggiare. I metodi per pulire l’argento funzionano sia con l’argento puro che con quello in lega con altri metalli, più spesso usato in gioielleria perché l’argento puro non è abbastanza duro.
Pulire l’argento
La patina scura di solfuro d’argento è di solito molto sottile e può essere rimossa usando metodi diversi: meccanici, chimici ed elettrochimici. Il metodo di pulizia ideale non dovrebbe graffiare l’oggetto, ma non dovrebbe neppure asportare argento.
Abrasione
I metodi meccanici sfruttano sostanzialmente le capacità abrasive di alcuni materiali ridotti in polvere. Uno dei prodotti più comuni è il carbonato di calcio, perché pur essendo abrasivo è sufficientemente tenero da non graffiare troppo l’argento sottostante. Altre polveri abrasive come quelle di quarzo o allumina sono troppo dure e danneggiano l’argento.
L’abrasione meccanica ha due difetti: può essere molto difficile pulire zone poco accessibili, come incavi o piccoli solchi. In più, l’abrasione ripetuta asporta piccole quantità di argento ogni volta, e può anche portare alla perdita di alcuni dettagli decorativi: una conseguenza inaccettabile per manufatti storici o molto preziosi.
Metodi chimici
Il più diffuso è l’uso della tiourea in una soluzione acida. La tiourea agisce da chelante dell’argento. Soluzioni acide di acido formico o acido citrico funzionano meno e sono più lente.
I prodotti a base di tiourea in ambiente acido sono di solito efficaci anche nel togliere la patina in punti, come piccoli incavi o solchi, non accessibili con l’abrasione di polveri. La tiourea è una sostanza però sospettata di essere cancerogena e di nuocere al feto. A meno che il vostro lavoro non sia di pulire a mano tutti i dollari d’argento del deposito di Zio Paperone, per un uso occasionale è sufficiente rispettare le norme di sicurezza riportate sulle confezioni che la contengono. Tuttavia, c’è un metodo migliore che possiamo usare a casa, che sfrutta l’elettrochimica.
Riduzione elettrochimica o riduzione galvanica
L’alluminio ha una affinità per lo zolfo più forte di quella dell’argento. In una reazione di tipo elettrochimico l’alluminio si lega allo zolfo mentre l’argento, liberato, ritorna allo stato metallico. I chimici chiamano questo tipo di reazioni “elettrochimiche” perché c’è un piccolo flusso di elettroni (quindi di corrente elettrica) durante la reazione. L’oggetto d’argento agisce da catodo e un metallo meno nobile – di solito alluminio – agisce da anodo della cella galvanica. Lo stesso effetto si può ottenere usando zinco o magnesio al posto dell’alluminio, ma il processo è meno efficace.
Se l’oggetto oltre alla patina di solfuro è anche ricoperto di residui grassi, questi vanno rimossi con un detergente e uno spazzolino prima del trattamento, altrimenti il solfuro sottostante lo sporco non può essere eliminato chimicamente. In questo metodo, facile da mettere in pratica anche a casa, l’oggetto d’argento da pulire viene deposto in un contenitore di alluminio. Potete usare delle vaschette per alimenti oppure foderare con dei fogli di alluminio per uso alimentare una ciotola. È importante che l’argento sia a diretto contatto con l’alluminio. Si aggiunge poi una soluzione alcalina di cloruro di sodio. Potete mettere nel contenitore un cucchiaio di bicarbonato e un cucchiaio di sale da cucina e versarci sopra dell’acqua molto calda ma non bollente.
Normalmente l’alluminio è ricoperto da una patina di ossido che protegge il metallo dall’ulteriore corrosione. Perché possa agire, questa patina deve essere eliminata.
L’ambiente alcalino generato dal bicarbonato, e la presenza di ioni cloruro dati dal sale da cucina, aiutano ad asportare lo strato di ossido di alluminio, lasciando scoperto l’alluminio metallico. A questo punto, l’alluminio metallico si “sacrifica”, cedendo elettroni e passando in soluzione. L’argento ossidato, essendo un metallo più nobile dell’alluminio, cattura gli elettroni rilasciati e ritorna argento metallico liberando il solfuro.
La reazione è molto veloce – spesso è questione di poche decine di secondi – e prosegue fino a quando la patina di ossido di alluminio si è riformata oppure finché tutto lo strato di solfuro è stato rimosso. Non vi stupite se quasi immediatamente dopo aver versato l’acqua calda sentite un odore di uova marce: è l’acido solfidrico che si libera ed è il segnale che il vostro argento si sta pulendo. Sia il sale che il bicarbonato agiscono da conduttori di elettroni, che arrivano dall’alluminio e finiscono sull’argento.
Questo metodo di pulizia funziona sia con l’argento puro che con quello in lega con il rame. Il rame è più attaccabile dell’argento dai composti solforati, e può formare una patina bruna sul vostro gioiello. La pulizia elettrochimica libera lo zolfo dal rame il quale, ritornato allo stato metallico, si deposita sulla superficie di argento lasciando una colorazione bruna. Nel caso vi succeda non avrete altra scelta se non togliere la patina meccanicamente. Provate con una gomma per cancellare, come quelle sulle matite.
Un vantaggio aggiuntivo di questo metodo, oltre a essere estremamente semplice e a non impiegare sostanze chimiche pericolose, è che non asporta particelle di argento, come invece accade con gli altri metodi. È come se invertisse la freccia del tempo e riportasse la patina di solfuro d’argento ad argento metallico, come era in origine.
L’oro
A differenza di altri metalli meno nobili, l’oro è molto resistente alla corrosione e quindi ha molta meno necessità di una pulizia periodica. Anche il platino è altrettanto resistente, ma è di uso molto meno frequente in gioielleria. Ogni tanto però può capitare che anelli, orecchini e braccialetti mostrino qualche accumulo di sporco nerastro. È molto probabile che sia solo il sebo prodotto dal vostro corpo mescolato a residui di pelle morta e altra sporcizia che con il tempo si accumula, specialmente se sugli oggetti ci sono decorazioni e incavi. In questo caso potete usare un po’ di acqua in cui avete disciolto un po’ di detergente (e ormai sapete che potete usarne poco) e pulire delicatamente. Se l’acqua è calda, i residui grassi si toglieranno più facilmente. Nel caso l’oggetto abbia delle decorazioni e sia difficile togliere lo sporco che si è insinuato, potete aiutarvi con uno spazzolino molto morbido. Non usate mai spazzole o spugnette dure. L’oro è resistente alla corrosione, ma è un metallo molto morbido che si riga facilmente. Alla fine della pulizia sciacquate in acqua e asciugate subito con un panno morbido.
Cosa fare, invece, se i residui non sono eliminabili con acqua e sapone, e se addirittura il contatto con l’anello o il braccialetto d’oro vi lascia la pelle sporca di un colore verdastro o nero? È un’eventualità che accade molto raramente, ma può succedere. Vediamo cosa può essere.
Non è oro
Forse quell’anello che il vostro ex vi ha regalato e che vi sporca continuamente il dito di verde non è veramente oro. Anche se l’anello l’avete trovato nell’uovo di Pasqua è probabile che l’oro non l’abbia mai neanche visto, e che sia di ottone, una lega di rame e zinco, e quindi è normale che cambi colore. A prima vista potrebbe sembrare oro, ma non lo è. Così come alcuni minerali che ricordano visivamente l’oro, come la pirite (solfuro di ferro), chiamata anche “l’oro degli stolti”.
È una lega
A meno che non abbiate monete o lingotti d’oro puro a 24 carati5, l’oro normalmente utilizzato in gioielleria è una lega, spesso a 18 carati, con altri metalli quali argento e rame, altrimenti non avrebbe quelle caratteristiche meccaniche che un gioiello deve avere. Sebbene l’oro non si possa ricoprire di una patina di ossido o di solfuro, i metalli con cui è in lega sì, e quindi con il tempo e in condizioni molto particolari si potrebbe formare una patina scura che vi colora la pelle. Se la patina è verde probabilmente è dovuta al rame, mentre se è nerastra la causa è probabilmente l’argento, e potete usare le tecniche per pulirlo che vi ho già mostrato. Il perché il contatto con la vostra pelle possa avere questo effetto è da indagare: magari è dovuto a un consumo elevato di alimenti che rilasciano attraverso la pelle dei composti solforati, oppure tenete l’anello al dito mentre fate impasti all’uovo per un reggimento. Magari la prossima volta togliete l’anello prima di impastare.
È colpa dell’abrasione
È la vostra fede nuziale, quindi nessun dubbio sulla sua autenticità. Se sotto l’anello trovate un segno nero potrebbe essere causato dall’abrasione dell’oro contro delle particelle più dure dell’oro. È molto raro, ma queste possono essere presenti in alcuni cosmetici, per esempio, o in prodotti per la pulizia delle mani. Rimanendo tra la pelle e il metallo, queste particelle graffiano e staccano piccole particelle d’oro che, combinate con il grasso corporeo, possono dare quella colorazione nerastra. La cosa migliore, anche in questo caso, è togliere l’anello quando ci spalmiamo dei cosmetici sulle mani che possono contenere polveri abrasive.
Pulire gioielli e altri oggetti preziosi
Avete degli oggetti preziosi da pulire? Anelli con incastonate gemme preziose, orecchini appartenuti alla vostra mamma e ancora prima alla bisnonna, che forse non sono preziosi in senso stretto ma lo sono per voi per i ricordi che vi suscitano, monili e braccialetti con incastonate pietre non meglio identificate. Ecco, in tutta sincerità se tenete davvero tanto a quegli oggetti, io ci penserei non dieci, ma cento volte, prima di pulirli da solo e magari fare qualche danno. È vero che il metallo nobile non si rovina facilmente, ma si possono rovinare i fregi, le decorazioni delicate, gli intarsi. Oppure è un attimo, mentre lavate il vecchio anello di vostra nonna, che si stacchi una pietra. E se siete stati avventati e stavate pulendo dentro il lavandino, se siete fortunati è finito nel sifone, dove potete recuperarlo smontandolo, ma nel caso peggiore è perso per sempre. È molto meno rischioso far fare il lavoro di pulizia a un gioielliere, che magari ha anche un bagno a ultrasuoni per staccare lo sporco in modo efficace.
Se volete a tutti i costi eseguire da voi la pulizia, l’unica cosa che mi sento di consigliarvi è di usare acqua tiepida con un po’ (ma veramente poco) di sapone o detergente disciolto. Se l’oggetto è molto decorato e negli incavi si è depositato dello sporco, potete aiutarvi con stuzzicadenti appuntiti di legno o plastica. Usate poi un cotton fioc, intingendolo in acqua saponata, per pulire meglio i rilievi, mentre per le parti più grandi e lisce potete usare uno spazzolino da denti morbido. Non usate quello medio o duro per non rischiare di graffiare il materiale. Per togliere lo sporco più grasso potete aiutarvi intingendo il cotton fioc in alcol alimentare. Il rischio, però, è quello di sciogliere anche la colla usata per fermare le pietre. Non eseguite la pulizia in un lavandino, per non correre il rischio di perdere l’oggetto, se è piccolo, o qualche pezzo. Usate invece una bacinella di plastica e mettetevi comodi, seduti al tavolo.
Dopo la pulizia sciacquate in acqua pulita e asciugate con un panno delicato. Va benissimo quello che usate per pulire gli occhiali. Fate attenzione, se ci sono delle pietre incastonate, che potrebbero staccarsi perché la colla si è col tempo disgregata. Oppure perché i fermi metallici si sono piegati o consumati.
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1 Le aziende che producono prodotti abrasivi per la pulizia utilizzano invece delle scale quantitative per la scelta dei materiali e svolgono delle prove sperimentali.
2 Una volta si pensava che il diamante fosse la sostanza in assoluto più dura esistente sulla Terra. In realtà ne sono state scoperte o sintetizzate in laboratorio anche di più dure
3 Pandit A., Bhave, S., Present interpretation of the role of copper in Indian childhood cirrhosis, “The American journal of clinical nutrition”, 63(5), 1996, 830S-835S.
4 Le bistecche, per esempio, come ho spiegato nel mio libro La Scienza della Carne (Gribaudo, 2016).
5 Il carato, parlando di gioielli d’oro, rappresenta la purezza espressa su un totale di 24 carati. Oro a 24 carati significa che è oro per almeno al 99,99%. Un gioiello d’oro a 18 carati (su 24) significa che per il 75% in peso è oro mentre il restante 25% è composto da altri metalli quali argento o rame.