Gli attivisti per il clima mettono in conto di essere odiati
Ricevere insulti e maltrattamenti è parte della strategia dei gruppi che compiono azioni radicali, come Ultima Generazione
di Isaia Invernizzi
Venerdì mattina poco dopo le 11 quattro attiviste del gruppo ecologista Ultima Generazione hanno lanciato otto chili di farina su un’auto dipinta nel 1979 dall’artista americano Andy Warhol, esposta a Milano alla Fabbrica del Vapore nella mostra “Andy Warhol: La pubblicità della Forma”. Si sono incollate le mani al pavimento e sono rimaste sedute di fronte all’opera fino all’arrivo della polizia, rispondendo alle critiche e in alcuni casi agli insulti delle tante persone presenti nella sala. «Ci porteranno in commissariato, ma non ho paura», ha detto un’attivista a una donna che le puntava contro il dito accusandola di averla privata dell’arte di Warhol. «In Italia non stiamo parlando abbastanza del cambiamento climatico: di questo ho molta più paura. Guarda cosa siamo costrette a fare per il futuro del nostro paese».
All’inizio di novembre attiviste della stessa organizzazione avevano lanciato una minestra di verdura su un’opera di Van Gogh, “Il Seminatore”, esposta a Palazzo Bonaparte a Roma. Gesti analoghi sono stati rivendicati in molti altri paesi da gruppi come Just Stop Oil nel Regno Unito e Letzte Generation in Germania. Negli ultimi mesi gli attivisti di Ultima Generazione hanno bloccato più volte il GRA, il grande raccordo anulare, una delle strade più trafficate di Roma. Tutte queste azioni hanno suscitato reazioni molto forti sia tra le persone presenti nel momento della protesta, sia tra chi ha letto notizie al riguardo.
Molti attivisti sono stati insultati, presi a calci e strattonati, trascinati sull’asfalto fino al lato della strada oppure fuori dalla porta del museo, come accaduto venerdì a Milano. Gli insulti e le critiche sono stati moltissimi anche online.
Era tutto previsto e parte dei piani: la rabbia, dicono gli attivisti, è un segnale positivo perché l’obiettivo delle azioni è generare conflitto, creare abbastanza disordine da rendere impossibile ignorare gli effetti del cambiamento climatico. Secondo Ultima Generazione, le proteste hanno successo nel momento in cui costringono milioni di persone ad avviare una discussione sul clima, anche attraverso il confronto sulla legittimità delle loro azioni.
Nelle ultime settimane sono stati espressi diversi dubbi su come le azioni radicali sul clima vengano percepite e comprese dalla maggior parte delle persone, ma tra i gruppi che le organizzano è diffusa la frustrazione per gli scarsi risultati ottenuti dalle manifestazioni pacifiche organizzate negli ultimi anni. Nell’affrontare il cosiddetto dilemma dell’attivista – cioè la scelta tra azioni moderate ampiamente ignorate o forme di protesta più estreme che catturano l’attenzione e allo stesso tempo rischiano di essere controproducenti – Ultima Generazione ha scelto la seconda soluzione con insistenza e convinzione, anche a costo di ricevere insulti e denunce. Non c’è più tempo per la moderazione, dicono gli attivisti. Abituarsi a ricevere odio, insomma, fa parte della strategia.
Ultima Generazione esiste in Italia dalla fine di aprile e si definisce una “campagna di disobbedienza civile nonviolenta”. Gli attivisti che partecipano alle azioni sono circa un centinaio. Sono uomini e donne di diverse età e classe sociale. Molti di loro avevano fatto parte di altri movimenti ambientalisti come Extinction Rebellion (XR) e Fridays For Future (FFF). Rispetto a queste ultime due organizzazioni, Ultima Generazione ha scelto di seguire forme di protesta più radicali sia nel linguaggio che nelle azioni, sull’esempio di Just Stop Oil.
Le richieste al governo italiano rivendicate durante ogni presidio o blocco sono molto concrete: interrompere immediatamente la riapertura delle centrali a carbone dismesse e cancellare il progetto di nuove trivellazioni per la ricerca ed estrazione di gas naturale; procedere immediatamente a un incremento della potenza solare ed eolica disponibile di almeno 20 GW e creare migliaia di nuovi posti di lavoro nel settore delle fonti rinnovabili. «Le richieste concrete, alla portata del governo, servono a imporre un tema scomodo: chiediamo obiettivi realistici per evidenziare i limiti della politica», spiega Michele, uno dei portavoce di Ultima Generazione.
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Allo stesso tempo quelli sulle centrali a carbone e sulle trivellazioni sono considerati obiettivi “apparenti”, perché lo scopo reale dell’organizzazione è un altro, più ambizioso: creare fiducia nella disobbedienza civile e in questo modo spingere l’opinione pubblica a considerare il cambiamento climatico un problema impellente, da risolvere il prima possibile con interventi più decisi da parte dei governi e un’organizzazione più sostenibile delle attività produttive ed economiche.
Il riferimento politico e filosofico più citato dagli attivisti è il Mahatma Gandhi e la sua satyagraha, ovvero la “vera forza” o “forza dell’amore”, cioè il principio su cui si fonda la lotta nonviolenta. «Il nostro obiettivo è imporre un tema all’opinione pubblica: per farlo non c’è più tempo per la via “soft” e per questo siamo costretti a fare cose che non vorremmo fare, come bloccare le strade», dice Michele. «Per noi non esiste la cattiva pubblicità. Far parlare di un tema significa far attaccare emotivamente le persone a qualcosa. Se si affezionano a noi è un bene, altrimenti discuteranno comunque dei problemi di cui parliamo».
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Venerdì mattina, pochi minuti prima di entrare alla Fabbrica del Vapore, le quattro attiviste si sono abbracciate per farsi forza. Anche il lancio della farina all’auto di Warhol, così come tutte le altre azioni, era stato preparato con cura nei giorni precedenti: come entrare nella sala, quando lanciare la farina, come reagire ai possibili insulti e cosa dire alle forze dell’ordine. «Organizzare le azioni in questo modo mi dà molta tranquillità», dice un’attivista. «Personalmente mi preparo ragionando molto sulla nonviolenza e su come muovermi di fronte a un conflitto nonviolento, ipotizzando diversi scenari».
Gli attivisti di Ultima Generazione dedicano molto tempo a come affrontare la reazione delle persone a cui provocano un disagio, anche con l’aiuto di appositi formatori. Un metodo è il silenzio, che però in alcune situazioni può essere percepito come un affronto o una manifestazione di indifferenza, e può suscitare ulteriore rabbia. Un’altra possibilità è il cosiddetto “ascolto attivo”, cioè l’osservazione dei messaggi verbali e non verbali a cui rispondere in modo appropriato per mostrare attenzione al problema personale. A un automobilista bloccato, per esempio, si può rispondere sostenendo che abbia ragione e che meriterebbe più rispetto. Tra gli attivisti c’è consapevolezza sulla necessità di mostrarsi empatici e ascoltare, senza reagire agli insulti, portando la discussione sulla causa della protesta.
Anche questa strategia deriva dall’esempio di Gandhi, la maggiore ispirazione per l’autore di The Power of Nonviolence, un libro del 1934 di Richard Gregg, molto influente tra gli attivisti americani per i diritti civili che iniziarono a organizzare proteste contro la segregazione negli anni Quaranta. Gregg, un avvocato quacchero, descrisse la strategia come “Ju Jitsu morale”: aspettandosi resistenza fisica e non ricevendone, l’avversario viene sbilanciato proprio come nell’arte marziale.
Eos, il nome con cui si fa chiamare una delle attiviste che hanno partecipato alla protesta di Milano, dice che negli ultimi anni ha partecipato a molti incontri e manifestazioni per il clima, distribuito volantini, parlato nelle scuole e nelle università, eppure nessuno di questi altri metodi di sensibilizzazione ha avuto effetti concreti: hanno avuto meno attenzione da parte dei media rispetto alle azioni più radicali e suscitato scarse reazioni tra l’opinione pubblica.
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Le mobilitazioni organizzate negli ultimi anni non sono riuscite a rimuovere quello che Eos chiama “negazionismo climatico leggero”, cioè la convinzione che il cambiamento climatico, pur essendo reale e documentato, avrà un impatto soltanto in un futuro piuttosto lontano. «C’è ancora l’illusione che i cambiamenti possano avvenire progressivamente, in realtà l’unico modo per rompere la bolla di questa presunta normalità è generare conflitto», spiega. «Un conflitto c’è già nella nostra società, in particolare tra il bisogno di riorganizzare la società per far fronte alla crisi climatica e il fatto che venga portata avanti una politica che ignora queste istanze. Purtroppo questo conflitto è ancora poco visibile».
Questa strategia ha dei rischi: le azioni, soprattutto quelle organizzate contro le opere d’arte, possono far concentrare i media e l’opinione pubblica più sugli attivisti che sulle cause che sostengono, alimentando la percezione che rientrino in una forma di attivismo definita “performativa”, animata più dal narcisismo dei manifestanti che da un reale attaccamento alla causa.
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C’è poi un altro possibile limite che riguarda l’efficacia della disobbedienza civile nonviolenta in un ambito dalle implicazioni così estese come i cambiamenti climatici: l’auspicata presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica potrebbe avvenire troppo lentamente perché abbia delle vere conseguenze. Questo timore è alla base di posizioni ancora più radicali sostenute da una minoranza di attivisti, soprattutto nei paesi del Nord Europa dove le organizzazioni ambientaliste esistono da più tempo.
Lo scorso anno l’ambientalista svedese Andreas Malm ha pubblicato Come far saltare un oleodotto (Ponte alle Grazie, traduzione di Vincenzo Ostuni), un saggio che sostiene che il sabotaggio sia una forma accettabile di attivismo e che gli attivisti del clima dovrebbero intensificare le loro campagne abbandonando la disobbedienza civile nonviolenta.
Ultima Generazione, tuttavia, ha fatto della nonviolenza un suo principio e non prevede di abbandonarlo. «Ogni rivoluzione violenta ha portato un peggioramento della democrazia», sostiene Michele. «Il problema è che quando inizierà a mancare il cibo le persone inizieranno ad agire politicamente in maniera violenta. Noi vogliamo mettere in guardia tutti da questi rischi: creiamo disagio senza far male e senza offendere nessuno».
La radicalizzazione della militanza ambientalista sta già in parte avvenendo, soprattutto all’estero: lo scorso aprile gli attivisti di Just Stop Oil danneggiarono pompe di benzina sull’autostrada M25, vicino a Londra. Molte autocisterne furono bloccate con la forza e almeno 275 attivisti furono arrestati. In Italia nell’ultima settimana altri gruppi ambientalisti finora più cauti hanno organizzato azioni più rischiose: Extinction Rebellion ha bloccato un ponte a Bologna, mentre Roma Climate Strike ha fatto irruzione nell’aeroporto di Ciampino per bloccare il terminal dei jet privati.