Non si è più saputo niente del giornalista John Cantlie, che fu prigioniero dell’ISIS
Fu rapito dieci anni fa in Siria e divenne famoso perché partecipò alla sua propaganda: la famiglia ritiene che sia morto
Questa settimana ricorrono i dieci anni dal rapimento di John Cantlie, un fotogiornalista britannico che fu fatto prigioniero dallo Stato Islamico (ISIS) in Siria il 22 novembre del 2012 e di cui non si hanno notizie ormai da anni, tanto che perfino la sua famiglia e i suoi amici lo hanno dato per morto.
La vicenda di Cantlie è ancora nota e discussa per un paio di ragioni: anzitutto perché il fotogiornalista fu probabilmente costretto, nel periodo in cui l’ISIS dominava enormi territori in Siria e Iraq, a partecipare alla propaganda del gruppo terroristico, apparendo in video pubblici in cui descriveva in termini positivi le attività del gruppo. In secondo luogo perché, come ha scritto BBC, si ritiene che Cantlie sia l’unico ostaggio straniero dell’ISIS che non è mai stato liberato e della cui uccisione da parte dei terroristi non c’è certezza.
Cantlie – che ha 52 anni, presumendo che sia ancora in vita – è un fotogiornalista con grande esperienza sia all’estero sia in situazioni di conflitto. Prima della Siria, era stato in Afghanistan e sull’Himalaya, tra l’altro. Cantlie entrò in Siria per la prima volta nel luglio del 2012 assieme al fotografo olandese Jeroen Oerlemans, e fu catturato quasi immediatamente da un gruppo di miliziani (non dello Stato Islamico) che operavano nel paese. I due riuscirono però a scappare: durante la fuga, Cantlie fu ferito in maniera non grave da un proiettile. Cantlie e Oerlemans furono poi soccorsi dall’Esercito siriano libero, cioè le milizie della resistenza siriana contro il regime del dittatore Bashar al Assad, e poterono a tornare in Europa.
Dopo un breve periodo nel Regno Unito, Cantlie decise però di tornare in Siria. Lo fece nella seconda metà del 2012, in una data non precisata, e per la seconda volta fu catturato in relativamente poco tempo e fatto prigioniero, assieme al giornalista americano James Foley. Questa volta, furono fatti prigionieri dall’ISIS.
In quel periodo lo Stato Islamico stava espandendo militarmente i suoi domini in un enorme territorio tra Iraq e Siria. I rapimenti di giornalisti e, in alcuni casi più rari, di operatori umanitari divennero un evento relativamente frequente. Per esempio nel 2017, in un anno in cui lo Stato Islamico era già in ritirata, tra Iraq e Siria si trovavano in stato di detenzione da parte di gruppi terroristici 40 giornalisti, la maggior parte dei quali era prigioniera dell’ISIS.
Quasi tutti i giornalisti prigionieri dell’ISIS erano occidentali, anche se negli anni ci sono state alcune eccezioni. La maggior parte di loro fu torturata e maltrattata, ma il loro trattamento finale divergeva molto a seconda del comportamento dei paesi da cui provenivano: i giornalisti europei furono quasi tutti rilasciati perché i governi dei paesi di provenienza accettarono di pagare riscatti altissimi. Al contrario, i giornalisti statunitensi e britannici furono molto spesso uccisi, perché i governi degli Stati Uniti e del Regno Unito, per principio, non pagano riscatti ai rapitori e non trattano con i gruppi terroristici.
Le uccisioni di alcuni di questi giornalisti statunitensi e britannici avvennero in maniera particolarmente cruenta, per decapitazione, e furono filmate e diffuse in tutto il mondo, come propaganda dell’ISIS. Alcuni di quei video, con i giornalisti inginocchiati con indosso una tuta arancione e i terroristi incappucciati, divennero eccezionalmente e tristemente famosi.
È quello che successe per esempio a James Foley, il giornalista americano che era stato catturato assieme a Cantlie: fu decapitato nell’agosto del 2014 in Siria, diventando il primo cittadino americano ucciso dall’ISIS. La sua decapitazione fu filmata e il video caricato online: era intitolato Un messaggio per l’America.
A Cantlie, però, successe una cosa diversa e per certi versi eccezionale.
Nel 2014, poco dopo l’uccisione di Foley (a cui seguì la decapitazione di altri ostaggi) fu pubblicato su YouTube un video in cui Cantlie appariva non come vittima di un’esecuzione ma come il presentatore di uno dei video di propaganda dell’ISIS. Nel video – accuratamente girato e montato – Cantlie introduceva una specie di “rubrica” sulla guerra in Siria e Iraq. Cantlie sosteneva che l’opinione pubblica occidentale era stata «manipolata», e che lui si sarebbe occupato di raccontare «la verità»: cioè la versione dei fatti dell’ISIS.
Il video fu accolto con estremo stupore in Occidente, dove si diede in un certo senso per scontato che Cantlie lo avesse girato perché costretto, anche se lui nel video lo negava, dicendo: «So cosa state pensando: lo fa solo perché è prigioniero, ha una pistola puntata alla testa ed è stato costretto. È vero, sono prigioniero, non posso negarlo: ma dato che sono stato abbandonato dal mio governo e la mia sorte è nelle mani dello Stato Islamico, non ho niente da perdere».
Quel video divenne il primo di una serie intitolata Lend Me Your Ears, “Prestatemi ascolto”, in cui Cantlie cominciò a presentarsi in maniera sempre più decisa non come prigioniero dell’ISIS ma come giornalista integrato nel gruppo terroristico. A un certo punto abbandonò la tuta arancione e cominciò a indossare abiti civili, e a fare video sul campo, in cui presentava la situazione delle operazioni militari dell’ISIS.
Cantlie in tutto girò una quindicina di video per l’ISIS, e scrisse anche degli articoli per Dabiq, la rivista dello Stato Islamico. Per anni c’è stato un notevole dibattito in Occidente su quanto Cantlie fosse costretto a girare quei video e quanto invece fosse complice: non è mai stato possibile dare una risposta davvero esaustiva.
A metà del 2014 gli Stati Uniti e altri alleati occidentali, compresa l’Italia, avviarono una grande operazione militare contro l’ISIS, che prevedeva l’utilizzo dell’aviazione occidentale a sostegno di forze di terra locali, composte in parte dall’esercito curdo e da altri. L’operazione ci mise un po’ di tempo a entrare a regime e ad avere effetto, ma alla fine del 2017 lo Stato Islamico aveva già perso il 95 per cento del territorio che dominava qualche anno prima, e le ultime sacche di resistenza del gruppo furono eliminate completamente tra il 2018 e il 2019.
Cantlie pubblicò il suo ultimo video nel dicembre del 2016, e da allora non si è più saputo niente di lui, nonostante i tentativi della famiglia e del governo britannico di ritrovarlo. Sono circolate varie voci sul suo conto. La più probabile, confermata da alcuni ex combattenti dell’ISIS intervistati nel corso degli anni, è che a un certo punto sia stato ucciso dai suoi carcerieri. Il suo corpo tuttavia non è mai stato trovato, e ufficialmente non è stato dichiarato morto. Ancora nel 2019, il governo britannico sosteneva che Cantlie fosse vivo.
La famiglia di Cantlie tuttavia sembra aver perso le speranze: il 7 novembre del 2022, il giorno del compleanno del giornalista, ha tenuto un funerale simbolico, annunciando che ormai riteneva che Cantlie fosse morto.