Potrebbero riaprirsi le indagini sugli attentati dell’Unabomber italiano
Per via di un nuovo podcast sono state chieste nuove analisi scientifiche su uno dei casi di cronaca più noti degli anni Novanta
Sarà richiesta ufficialmente la riapertura delle indagini per provare a individuare chi fosse il cosiddetto “Unabomber italiano”, cioè l’attentatore che tra il 1994 e il 2006 posizionò oltre 30 ordigni esplosivi in Veneto e Friuli Venezia Giulia. Le bombe non uccisero mai nessuno, ma causarono molti feriti: alcune persone subirono menomazioni agli arti. Inoltre per anni, nelle due regioni colpite dagli attentati, si visse una condizione di paura diffusa: le bombe venivano posizionate nei supermercati, per strada, nelle chiese, nei mercati. Ci furono diversi indagati, al caso lavorarono decine di investigatori della polizia e dei carabinieri e ci fu anche l’intervento dei servizi segreti. Non si arrivò però a nessuna incriminazione e a distanza ormai di 18 anni dall’ultimo ordigno ancora non si sa chi possa essere stato l’autore degli attentati.
La decisione di chiedere la riapertura delle indagini è stata comunicata dal procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, dopo che il giornalista Marco Maisano, autore del podcast Fantasma – Il caso di Unabomber, e due delle vittime delle bombe, Francesca Girardi e Greta Momesso, bambine ai tempi degli attentati, avevano presentato un esposto. La richiesta di riapertura verrà inviata da De Nicolo e dal pubblico ministero Federico Frezza, titolari del fascicolo, al giudice per le indagini preliminari che dovrà prendere una decisione: ci si aspetta però che sia approvata. L’eventuale riapertura delle indagini sarà molto probabilmente a carico di ignoti.
Maisano spiega che «realizzando il podcast con Ettore Mengozzi e Francesco Bozzi ho avuto la possibilità di entrare nel luogo dove sono conservati i reperti a Trieste. In uno degli scatoloni ho trovato un capello che venne rinvenuto in un uovo-bomba posizionato sugli scaffali di un supermercato a Portogruaro, in provincia di Venezia. Inoltre c’erano altri due capelli repertati sul luogo di un attentato a San Stino di Livenza (Venezia) e alcuni peli trovati attaccati con nastro adesivo a un altro ordigno. È dopo aver visto quei reperti che, assieme a due delle vittime, ho deciso di presentare l’esposto».
La speranza è che gli esami del DNA possano oggi portare elementi nuovi. Le tecniche di analisi scientifica si sono molto evolute negli anni. Inoltre, quando vennero chiuse le indagini su Unabomber, non esisteva ancora la banca dati del DNA che venne creata nel 2009 e dove sono raccolti i dati su tutti i reperti biologici prelevati in tutta Italia dalle forze dell’ordine nel corso delle loro indagini. Dice ancora Maisano: «In sei ore, questo il tempo che mi aveva messo a disposizione la procura, ho trovato quelle prove. In quegli scatoloni ci saranno centinaia e centinaia di reperti».
Si tratta di scatoloni e faldoni con testimonianze, rapporti, abiti delle vittime, resti degli ordigni raccolti in dodici anni e in oltre trenta scene del crimine (il numero varia a seconda che vengano attribuite o meno a Unabomber alcune bombe esplose nel 1993).
Le indagini sugli attentati dell’Unabomber italiano, a cui è dedicata anche una puntata del podcast di Stefano Nazzi Indagini, prodotto dal Post, furono lunghe e complesse, spesso anche confuse. Le prime bombe che esplosero, a Sacile, Pordenone e Aviano, non furono collegate tra loro e solo in seguito si iniziò a pensare che si potesse trattare di un unico attentatore. Indagarono cinque procure diverse: Trieste, Pordenone, Udine, Venezia e Treviso, perché in quelle cinque province avvennero gli attentati, senza che ci fosse coordinamento e reale scambio di informazioni. Solo nel 2003 venne creato il pool unico composto da agenti esperti dei carabinieri e della polizia, che però venne smantellato nel 2008 senza che avesse raggiunto risultati concreti.
Ci fu un sospettato, l’ingegnere Elvo Zornitta, abitante ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone. Il suo nome venne fatto durante le indagini da una persona sentita dagli investigatori. Secondo gli inquirenti il suo profilo poteva corrispondere a quello dell’attentatore, contro di lui c’erano alcuni indizi ma nessuna prova concreta. Inoltre, l’esame del DNA a cui vennero sottoposti i reperti trovati su alcuni luoghi delle esplosioni diedero esito negativo. Zornitta rimase indagato comunque cinque anni.
Contro di lui venne anche costruita una prova falsa: venne infatti accertata la compatibilità tra un paio di sue forbici e i tagli su un lamierino di un ordigno rinvenuto in una chiesa a Portogruaro. Si scoprì però che il lamierino era stato manomesso proprio per incastrare Zornitta: la manomissione era avvenuta quando il lamierino era già nelle mani dei tecnici della polizia scientifica. Un poliziotto, Ezio Zernar, venne processato e condannato per quella manomissione. In seguito a questa scoperta, il fascicolo contro Zornitta venne archiviato e il pool smantellato. Le indagini di fatto si chiusero senza che si arrivasse a una soluzione. Recentemente sono stati riconosciuti a Zornitta 300 mila euro di risarcimento per il danno subito dalla lunga inchiesta.
– Ascolta anche: La storia dell’Unabomber italiano, che non è mai stato scoperto
Elvo Zornitta, intervistato dal quotidiano Il Piccolo dopo la notizia della riapertura delle indagini, ha detto che bisogna chiedersi «se le indagini si riaprono in base a nuovi elementi oppure solo per una richiesta. Perché se così fosse, per quale motivo non si è continuato a indagare? Significherebbe che si è perso solo del tempo». Zornitta dice di «aver perso la speranza che lo trovino. Anch’io sono vittima di Unabomber. Non sono rimasto mutilato fisicamente, ma le ferite dell’inchiesta che mi ha travolto sanguinano ancora».
Il suo avvocato, Maurizio Paniz, ha spiegato: «Non ci siamo mai stancati di sollecitare che si cercasse il colpevole perché è importante sapere che la giustizia non si ferma e lascia impunito un delinquente incallito e abile come colui che ha messo a segno tutti quegli attentati».
Alla domanda se sia fiducioso sulla possibilità di trovare un colpevole dopo molti anni, il procuratore capo di Trieste De Nicolo ha risposto: «Onestamente non lo so, ma so che è fondamentale rispettare le vittime che hanno sofferto e che si deve sempre cercare la strada per portare la giustizia. Questo lo so bene».
Se le indagini verranno ufficialmente riaperte tutti i reperti che si trovano altrove verranno portati in procura a Trieste; quindi verrà fatta una ricognizione per capire quali possono essere effettivamente utili, quali esami vennero realizzati allora e quali possono essere fatti oggi in più. Si tratterà quindi di nuove analisi scientifiche: il DNA sui reperti trovati allora verrà confrontato con le tracce biologiche presenti nella banca del DNA. La speranza è che Unabomber sia in qualche modo già stato coinvolto da altre indagini, anche se, spiega Maisano, «in banca dati non deve esserci per forza lui, basta anche un parente. Poi da quello si può risalire a lui».