La mappa delle testimonianze fasciste che sopravvivono in Italia
L'ha realizzata l'istituto nazionale Ferruccio Parri, per aiutare la riflessione storica e politica su cosa farci oggi
Sul territorio italiano sono disseminate tante e varie testimonianze del ventennio fascista. A pochi passi dallo stadio Olimpico di Roma c’è un grande obelisco di marmo bianco, ben visibile, sul quale è scolpito il nome di Mussolini seguito dall’appellativo in latino con cui era solito farsi chiamare, dux: è solo l’esempio più noto e vistoso di una sorta di museo diffuso del fascismo, fatto di monumenti, vie e persino motti fascisti scritti sui muri. Finora avere una dimensione di quanto fossero diffuse queste tracce era quasi impossibile, ma adesso l’istituto Ferruccio Parri ha pubblicato gli esiti del progetto Luoghi del fascismo, che le individua e le raccoglie in una mappa online.
L’istituto fa parte della rete degli istituti per la storia della Resistenza. Fu fondato nel 1949 dallo stesso Parri, partigiano, antifascista, nonché primo presidente del Consiglio ad aver guidato un governo di unità nazionale dopo la Seconda guerra mondiale. Come spiega l’istituto, l’obiettivo della mappatura è «verificare la geografia» delle tracce fasciste, «leggerne la stratificazione storica» per poi farsi un’idea di come la memoria del fascismo sia stata preservata ma anche rialimentata, specialmente «con la rilegittimazione» dell’esperienza fascista che c’è stata negli ultimi decenni.
Le riflessioni prodotte durante lo studio e la raccolta delle testimonianze sono finite in un libro curato dalle storiche Giulia Albanese e Lucia Ceci, I luoghi del fascismo, edito da Viella. Albanese ha anche coordinato l’intero progetto, insieme a un gruppo di lavoro del Parri e a volontari e studiosi indipendenti.
L’idea di mettere a sistema le numerose testimonianze fasciste rimaste in Italia nacque in seguito alla polemica che ci fu nel 2016 sulla costruzione di un museo del fascismo a Predappio, il comune in provincia di Forlì-Cesena dove è seppellito Mussolini. Il lavoro vero e proprio cominciò poi nel 2018, andando avanti con qualche lentezza per via dei pochi finanziamenti a disposizione. L’idea comunque era di terminare la gran parte delle ricerche in tempo per il centenario della marcia su Roma, lo scorso 28 ottobre. Il primo censimento venne fatto anche grazie ai volontari della rete degli istituti per la storia della Resistenza, basandosi sulle conoscenze pregresse degli studiosi coinvolti e su ricerche nei vari archivi comunali.
Scorrendo sulla mappa si possono trovare i luoghi più disparati. Per la maggior parte sono vie intitolate a personaggi che hanno avuto a che fare in vari modi con il fascismo, ma ci sono anche ex Case del Fascio, ex Case del Balilla, iscrizioni con motti fascisti, monumenti ai caduti. Nel sito c’è anche una nota metodologica che chiarisce i criteri utilizzati: sono stati inclusi luoghi e vie che commemorano la storia del regime, la cui intitolazione sia avvenuta tra il 1922 e il 1945; per quanto riguarda le vie e i luoghi intitolati dopo il 1945, sono stati inclusi quelli dedicati a personalità con ruolo attivo e responsabilità politiche, ai caduti nelle guerre fasciste, ai luoghi coloniali (escludendo però quelli legati all’epoca liberale).
Le architetture fasciste generiche, come quelle abbondantemente presenti a Latina e a Sabaudia, non sono state incluse, ma sono state segnalate solamente quelle «che portano il segno esplicito di un messaggio politico-ideologico». Sono stati inclusi anche i monumenti che commemorano esplicitamente la storia del regime ma che sono stati realizzati dopo il 1945, come per esempio il monumento a Rodolfo Graziani di Affile, nel Lazio.
L’istituto Parri ha concepito il progetto come collaborativo e in aggiornamento: chiunque può sottoporre all’esame del comitato scientifico una targa o una via di cui è a conoscenza, e nel caso verrà inclusa.
Secondo Giulia Albanese, che insegna storia contemporanea all’Università di Padova, la mappatura di questi luoghi sta offrendo nuovi spunti di riflessione storica, per esempio sulla loro distribuzione geografica. «Le vie storiche, in particolar modo quelle che si riferiscono alle personalità delle origini del fascismo, sono rimaste più frequentemente nell’Italia meridionale e nei centri minori» dice Albanese. «Questo non significa che complessivamente ce ne siano di meno al Nord, semplicemente la permanenza è stata diversa nelle aree meridionali e complessivamente maggiore fuori dai grandi centri urbani e a Sud».
Un altro dato rilevante è il carattere circoscritto di molte delle iniziative commemorative. «Il lavoro sulla memoria del periodo fascista è essenzialmente locale, e questo aspetto ha limitato per certi versi una riflessione nazionale sulla memoria stessa», spiega Albanese. Iniziative come quelle di Affile o del museo di Predappio, ma anche l’intitolazione di vie e piazze nelle città, spesso provengono dalle amministrazioni locali e il dibattito, anche quando finisce sui giornali nazionali, rimane lì confinato. La mappa nazionale elaborata dal Parri, invece, potrebbe aiutare a sviluppare una riflessione su scala più grande, al di là dei singoli contesti.
C’è anche l’aspetto cronologico delle testimonianze. Per quanto possibile, gli studiosi e le studiose hanno cercato di risalire alla data di costruzione del monumento o di intitolazione della via. Così facendo hanno potuto osservare un evidente aumento di commemorazioni a partire dagli anni Novanta, in varie zone di tutta Italia. Ogni monumento e ogni via fa storia a sé, ma questo dato suggerisce un collegamento con la stagione politica che si aprì proprio in quegli anni con la nascita di Alleanza Nazionale e la destra al governo nei primi governi Berlusconi.
La mappa permette di osservare altre tendenze che potrebbero essere approfondite: Albanese fa l’esempio di Padova, dove «c’è una grande presenza di vie coloniali che risalgono agli anni Cinquanta, molto più che in altre città».
Un ambito ulteriore in cui la mappa potrà fornire nuove prospettive è l’annoso dibattito su cosa fare di tutte queste testimonianze del passato fascista. Quando se ne parla, l’abbondanza di queste tracce viene vista quasi sempre come qualcosa di scomodo, un indizio del fatto che l’Italia non ha davvero “fatto i conti” con il suo passato. Tuttavia gli storici e le storiche ragionano da tempo su questo punto e su cosa significhi realmente “fare i conti col passato”. Al di là delle varie posizioni, c’è un certo consenso sul fatto che la strada preferibile non sia necessariamente rimuovere queste tracce, casomai contestualizzarle, storicizzarle: «Si vogliono lasciare le scritte mussoliniane? Va bene. Ma siano adeguatamente completate» scriveva Gianni Rodari nel 1960, auspicando integrazioni che illustrassero le conseguenze e le sofferenze causate dal fascismo.
«Naturalmente questo discorso è valido per i monumenti degli anni Trenta del Novecento, non per quelli degli anni Dieci del Duemila» precisa Albanese. « Il punto è: che rapporto intratteniamo con la storia di quel periodo? Un processo di risignificazione e storicizzazione, in particolare come fatto in Alto Adige, è certamente la strada giusta, perché coinvolge la comunità e prende atto delle scelte valoriali che ha compiuto l’Italia repubblicana». Albanese si riferisce all’Arco della Vittoria di Bolzano, che fu costruito da Mussolini negli anni Venti e oggi ospita un percorso espositivo che invita a riflettere sulla dittatura fascista e su quella nazista.