Una decisione enorme affidata a un sondaggio sbrigativo
La riammissione di Trump su Twitter è stata gestita da Musk con modalità assai superficiali, se rapportata alle potenziali conseguenze
La scelta di Elon Musk di riammettere su Twitter l’ex presidente statunitense Donald Trump ha fatto molto discutere, non solo per le implicazioni di un suo eventuale ritorno sulla piattaforma, ma anche per le modalità stesse con cui è stata presa la decisione. Musk ha annunciato la fine della messa al bando, che durava da quasi due anni, sostenendo di avere fatto la volontà del popolo, consultato attraverso un sondaggio aperto a tutti sulla piattaforma, che ha ricevuto oltre 15 milioni di risposte e in cui i “sì” hanno vinto con il 51,8%, uno scarto minimo.
Il problema è che i sondaggi su Twitter hanno ben poco di scientifico e di statisticamente rilevante, come hanno spiegato vari esperti negli ultimi giorni. Una delle decisioni più importanti mai assunte da Twitter – bandire il presidente di uno dei paesi più ricchi e potenti al mondo – è stata rovesciata in poco più di 24 ore e apparentemente senza grandi valutazioni sugli effetti che potrebbe avere e sul precedente che ha costituito.
Musk, che ha 51 anni ed è una delle persone più ricche al mondo, è proprietario di Twitter da poco più di un mese, dopo avere completato la sua acquisizione per 44 miliardi di dollari. In poche settimane ha licenziato oltre la metà dei dipendenti dell’azienda e ha introdotto alcune novità come un nuovo sistema di verifica a pagamento degli account, che ha dovuto sospendere dopo pochi giorni a causa della confusione che aveva generato.
Ancora prima di acquistare Twitter, Musk aveva sostenuto di voler tutelare il più possibile la libertà di espressione sul social network e di avere di conseguenza qualche dubbio sull’opportunità di mettere al bando alcuni utenti, specialmente se molto in vista e seguiti come Trump. In più occasioni Musk aveva ventilato la possibilità di riammetterlo sulla piattaforma, una volta che ne avesse ottenuto il controllo, dicendo comunque che sarebbe stato necessario qualche approfondimento prime di decidere.
Alla fine della scorsa settimana quella necessità si era trasformata in un sondaggio su Twitter con una formulazione molto semplice, «Riammettere l’ex presidente Trump», e la possibilità di votare sì o no.
Reinstate former President Trump
— Elon Musk (@elonmusk) November 19, 2022
L’iniziativa era accompagnata da un altro tweet riferito all’importanza di fare la volontà del popolo con la formulazione latina: «Vox populi, vox dei» («voce di popolo, voce di Dio»). Al termine del sondaggio Musk aveva annunciato di avere portato nuovamente online il profilo @realDonaldTrump, disattivato l’8 gennaio 2021 dopo l’assalto al Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio precedente, quando Trump aveva incitato i propri sostenitori a protestare sostenendo che la sua mancata rielezione fosse dovuta ai brogli. All’epoca Twitter aveva ritenuto che l’account dovesse essere sospeso in maniera permanente e decisioni simili erano state assunte anche da Facebook.
The people have spoken.
Trump will be reinstated.
Vox Populi, Vox Dei. https://t.co/jmkhFuyfkv
— Elon Musk (@elonmusk) November 20, 2022
Musk ha basato la propria decisione su un sondaggio che ritiene essere rappresentativo semplicemente perché ha ottenuto milioni di risposte, ma ci sono molti elementi che suggeriscono come una consultazione di questo tipo non possa essere considerata affidabile e non dovrebbe essere utilizzata per decisioni così importanti.
Prima ancora dei problemi legati a come funzionano le indagini statistiche e di opinione, c’è un grande problema legato al modo stesso in cui vengono gestiti i sondaggi su Twitter. Il sistema non dà nessuna possibilità di verificare che a ogni voto corrisponda una sola persona, perché un solo individuo può facilmente creare più account utilizzando diversi pseudonimi e nomi di fantasia, con i quali esprimere più di una volta la propria opinione.
Twitter è inoltre esposto da tempo a un serio problema di account automatici (bot), che possono essere utilizzati per condizionare i risultati della funzione per i sondaggi. Come sa bene chi si occupa di fare indagini di opinione, senza una verifica certa dei partecipanti è impossibile costruire qualcosa di statisticamente rappresentativo per comprendere l’orientamento di un certo gruppo di persone o, su temi più grandi, di un’intera nazione.
Un’attività essenziale per la realizzazione dei sondaggi deriva infatti dalla costruzione di un “campione”, cioè dalla selezione di un certo numero di persone che siano rappresentative della popolazione su cui si vuole condurre un’indagine statistica. Facendo un esempio molto semplice, se si chiede ai partecipanti a un festival di musica jazz quale sia il loro genere di musica preferito è probabile che la risposta più ricorrente sia il jazz, ma da questo non si può derivare che in generale la maggior parte della popolazione sia appassionata di jazz. Per i sondaggi si selezionano quindi persone in base a determinate caratteristiche, come genere, età, tipo di impiego e determinate preferenze, in modo da avere un campione equilibrato che rispecchi la popolazione su cui si vuole condurre l’indagine statistica.
Nel caso di Musk, il sondaggio è stato visto soprattutto dalle persone che seguono il profilo Twitter di Musk, che possono essere in parte accomunate da determinati orientamenti e inclinazioni. Musk ha inoltre quasi 120 milioni di follower, eppure al sondaggio hanno partecipato in 15 milioni (non necessariamente tutti follower di Musk). Come avviene spesso con i referendum, è probabile che le persone più motivate a votare fossero quelle che sostengono ancora oggi Trump, e che vedono nel suo ritorno sul social network maggiori opportunità anche per sentirsi nuovamente rappresentate.
Twitter non dà poi la possibilità di avere informazioni più chiare sui sondaggi: il sistema non è trasparente e non è certificato in alcun modo. Non è naturalmente un problema quando un utente vuole chiedere ai propri follower se preferiscano il gelato alla nocciola o al cioccolato, ma può diventarlo quando viene impiegato su larga scala come ha fatto Musk, sostenendo inoltre che sia un sistema democratico di decisione. In una elezione, tutte le persone che possono votare sono avvisate per tempo e possono informarsi prima di compiere la propria scelta. Un sondaggio su Twitter organizzato all’ultimo minuto e della durata di una giornata non offre le stesse possibilità, condizionando inevitabilmente gli esiti della consultazione.
Per correttezza deontologica, o perché è costretto a farlo da leggi specifiche a seconda dei casi e dei paesi, chi organizza i sondaggi accompagna i risultati delle consultazioni con un documento che dà informazioni sulle condizioni in cui è stato effettuato il sondaggio, sul suo livello di affidabilità, i margini di errore ed eventuali altre variabili da tenere in considerazione. È una parte dei sondaggi che viene spesso trascurata anche dai giornali quando se ne occupano, ma che si rivela preziosa non solo per comprendere meglio i risultati di un dato sondaggio, ma anche per ricordare che le consultazioni su base statistica hanno inevitabilmente dei limiti.
Tutte queste precauzioni non esistono in uno strumento tutto sommato semplice ed elementare come quello per fare i sondaggi su Twitter. Il rischio è che le persone che hanno meno familiarità su come funzionano i sondaggi possano prendere per buoni i risultati di consultazioni come quella di Musk, soprattutto se chi le organizza spaccia poi come la «volontà del popolo» una votazione priva di rilevanza statistica.
Vari analisti si sono chiesti quali potrebbero essere le conseguenze in futuro di un approccio di questo tipo, vista la rilevanza che i social network mantengono all’interno delle società. Musk in futuro potrebbe utilizzare lo stesso strumento per chiedere se riammettere persone ancora più controverse di Trump, che i precedenti gestori di Twitter avevano scelto di escludere dalla piattaforma. Scelte così delicate, che inevitabilmente hanno a che fare con la libertà di espressione, sono di solito effettuate da comitati etici esterni che negli anni i principali social network hanno creato, in modo da evitare conflitti di interessi o di cedere a pressioni da particolari gruppi d’interesse. Questi comitati hanno mostrato di avere grandi limiti e di non funzionare sempre al meglio, ma per lo meno hanno consentito di condurre dibattiti più articolati e argomentati rispetto a un voto tramite un tweet.
Nel caso specifico è ancora difficile prevedere quali potrebbero essere le implicazioni nell’avere riammesso Donald Trump sulla piattaforma cui era più affezionato, e che aveva contribuito a renderlo sempre più famoso e apprezzato dai suoi sostenitori politici. Dopo la messa al bando nel gennaio del 2021, Trump si era spostato su una nuova piattaforma che si chiama Truth, un social network vicino alla destra statunitense che non ha mai raccolto un grande successo e che secondo molti osservatori mantiene un minimo di rilevanza solo per la presenza di Trump.
Dopo l’annuncio della riattivazione di @realDonaldTrump, il diretto interessato ha detto di non «vedere alcun motivo» per tornare su Twitter, sostenendo che ormai Truth abbia preso il suo posto per molte persone: «Non credo che faranno ritorno su Twitter». Uno dei motivi per cui Trump non ha ancora pubblicato nuovi tweet, fermi a quelli pubblicati nei giorni successivi all’assalto al Congresso, potrebbe essere legato a qualche forma di esclusiva sottoscritta con Truth per i propri contenuti.
Trump su Truth ha però poco meno di 5 milioni di follower, contro i quasi 88 milioni di Twitter. Non è quindi escluso che possa presto cambiare idea e tornare a pubblicare tweet, soprattutto nel momento in cui inizierà a cercare consensi per le prossime primarie repubblicane per la presidenza degli Stati Uniti, cui ha annunciato la propria candidatura alcuni giorni fa. Le elezioni saranno nel 2024 e non si può escludere che, grazie a una rinnovata presenza su Twitter, Trump ottenga una nuova visibilità dopo essere stato molto meno presente sui social network negli ultimi due anni. Parte del successo che portò alla sua elezione nel 2016 derivò proprio dal costante utilizzo di Twitter e dalla grandissima attenzione riservata dai media a ogni sua dichiarazione sui social, che finì per oscurare quasi tutto il resto della campagna elettorale.
Il problema sottolineato da molti in questi giorni, in sostanza, è che Musk, in quanto uomo tra i più ricchi al mondo e proprietario di una piattaforma diventata centrale nella vita pubblica degli Stati Uniti, abbia potuto decidere in autonomia, e apparentemente in modo sbrigativo e superficiale, una decisione dalle conseguenze potenzialmente enormi. Come ha ricordato di recente l’Atlantic, è una vicenda che offre spunti di riflessione non solo sul ruolo dei social network, ma anche su come questo può cambiare se il loro controllo finisce in mano a chi non ne ha molta esperienza:
Per i giornalisti, ciò significa pensare in maniera più critica a come occuparsi di Musk, magari aprendo un poco gli orizzonti per prendere in considerazione non solo il personaggio, ma le forze più grandi che gli hanno consentito di prendere il controllo di Twitter, e gli effetti delle sue azioni più in generale sul mondo. Per l’utente medio di Twitter, ciò potrebbe significare semplicemente non allarmarsi più di tanto per la decisione di Musk di riammettere Trump. Ci sarà tempo per farlo se, e quando, il più famoso utilizzatore di Twitter riaprirà la sua applicazione.