Cos’è la legge di bilancio, spiegato bene
Il governo sta per approvare quella del prossimo anno: una guida su cos'è e perché è importante
Durante l’autunno il governo italiano è sempre impegnato in un fitto calendario per la scrittura e l’approvazione della legge di bilancio, una misura importantissima che indica come lo stato intende reperire e spendere soldi nell’anno successivo.
Sembra un provvedimento molto tecnico ma non lo è. Anzi, è forse uno dei più politici e identitari di un governo, perché è in questo momento che emergono quali sono le priorità economiche della maggioranza. Per esempio: con la legge di bilancio per il 2019 il governo composto da Lega e Movimento 5 Stelle introdusse quota 100 e il reddito di cittadinanza, ossia le proposte economiche che più di tutte avevano attirato l’attenzione degli elettori e che avevano assicurato ai due partiti un ottimo risultato alle elezioni politiche del 2018, e che ancora oggi sono ricordate come le più significative di quel governo.
La legge di bilancio, in sintesi, è il bilancio dello stato e stabilisce quali misure economiche saranno introdotte nell’anno successivo, cioè come saranno spesi i soldi pubblici. La legge di bilancio per il 2022 valeva circa 32 miliardi di euro, ma non vuol dire ovviamente che la spesa complessiva dello stato sia stata questa: la spesa pubblica per il 2022 era stimata a oltre 900 miliardi e il valore della legge di bilancio indica solo gli interventi aggiuntivi alla legislazione vigente, ossia allo stato delle cose.
Il provvedimento deve indicare anche come intende finanziare queste misure, ossia le cosiddette coperture di bilancio. Semplificando, le coperture di una spesa possono essere reperite in tre modi: riducendo un’altra spesa, aumentando le entrate, ossia le tasse, oppure aumentando il debito pubblico.
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La legge di bilancio è la misura economica più importante per il governo in carica, che arriva solo alla fine del cosiddetto “ciclo di bilancio”, un insieme di appuntamenti europei e nazionali che dura in pratica tutto l’anno.
La crisi finanziaria del 2008 ha messo in luce tutte le debolezze della finanza e soprattutto dell’economia di molti paesi dell’Unione europea, causando la crisi dei debiti sovrani del 2011: quelli considerati più vulnerabili e con alto debito pubblico furono presi di mira dalla speculazione finanziaria e la risposta dei governi fu lenta, poco coordinata a livello europeo e spesso inefficace.
Da allora i paesi dell’Unione europea iniziarono a coordinare maggiormente le politiche economiche, in modo che ci fosse una coerenza complessiva. Proprio nel 2011 fu quindi introdotto il meccanismo del “semestre europeo”, che non dura precisamente un semestre, ma più o meno: gli stati membri approvano i loro bilanci nella seconda metà dell’anno sulla base delle raccomandazioni e degli obiettivi strategici fissati a livello europeo durante la prima metà.
Si può dire, grossomodo, che il “semestre europeo” occupa la prima metà dell’anno, mentre la seconda metà è dedicata a quell’insieme di procedure necessarie per l’approvazione della legge di bilancio da parte dei parlamenti dei singoli paesi, e viene chiamata “semestre nazionale”. In realtà però la divisione temporale è tutt’altro che rigida, e i due “semestri” si allungano, si accorciano o si sovrappongono, a seconda delle esigenze.
L’obiettivo generale è quello di sottoporre alle istituzioni europee le politiche economiche degli stati prima che queste vengano approvate in via definitiva dal parlamento. La procedura è piuttosto complessa: qui ne faremo una sintesi, ma per chi vuole approfondire è disponibile un documento della Camera dei deputati che spiega più nel dettaglio come funzionano le cose.
Il “semestre europeo” prevede che nella prima parte dell’anno i capi di stato e di governo dei paesi membri si diano in sede europea degli obiettivi di politica economica: per esempio, il PIL (Prodotto Interno Lordo) dovrà crescere di una certa cifra, le disuguaglianze si dovranno ridurre entro certi limiti, bisogna fare qualcosa per la disoccupazione e via così.
Ad aprile di ogni anno, gli stati membri iniziano quindi a delineare i loro obiettivi per gli anni successivi. Per esempio, il governo italiano lo fa nel Documento di Economia e Finanza, il cosiddetto DEF, che delinea il quadro macroeconomico entro cui pensa di muoversi nel prossimo futuro, indicando quindi gli obiettivi di crescita del PIL e dell’andamento del debito pubblico. Il governo presenta il DEF sia al parlamento italiano sia alla Commissione europea. Il DEF non è una bozza di legge di bilancio ma rappresenta solo le stime del governo sui vari parametri di finanza pubblica e indica quindi la situazione economica generale in cui opererà.
La Commissione europea delinea poi le proprie raccomandazioni per ciascun paese, sulla base dei loro obiettivi (per esempio quelli contenuti nel DEF italiano) e delle loro peculiarità e vulnerabilità. Per esempio, ogni anno la Commissione raccomanda all’Italia di impostare un percorso credibile di riduzione del debito pubblico.
A questo punto il “ciclo di bilancio” entra nel vivo della politica dei singoli paesi, e si passa al cosiddetto “semestre nazionale”.
Entro il 27 settembre di ogni anno il governo italiano aggiorna il DEF con una specifica Nota di aggiornamento, che rivede gli obiettivi prefissati ad aprile, sulla base di un contesto economico che nel frattempo potrebbe essere cambiato e delle raccomandazioni della Commissione. Entro il 20 ottobre viene poi presentato al parlamento il vero e proprio disegno di legge di bilancio. Da lì inizia la discussione parlamentare, che porta all’approvazione del bilancio dello stato entro il 31 dicembre di ogni anno.
Il dialogo con le istituzioni europee resta però costante anche in questa fase e si intreccia con le procedure nazionali. Per esempio, entro il 15 ottobre i governi devono presentare alla Commissione europea e all’Eurogruppo (la riunione dei ministri dell’Economia dei paesi che adottano l’euro) il Documento programmatico di bilancio, un documento riassuntivo di ciò che conterrà la legge di bilancio, che deve essere sottoposto all’approvazione della Commissione. Tale documento viene trasmesso anche alle Camere e deve essere coerente con le raccomandazioni elaborate dalla Commissione europea. La Commissione deve dare il suo parere entro il 30 novembre.
È ormai una prassi, dunque, che anche nel “semestre nazionale” prima di arrivare all’approvazione definitiva della legge di bilancio ci sia una serie di richieste di chiarimenti e negoziati tra il ministero dell’Economia e la Commissione europea.
Queste scadenze possono adattarsi tuttavia alle dinamiche della politica: per esempio, il governo guidato da Giorgia Meloni si è insediato solo alla fine di ottobre, e quindi è tutto slittato in avanti di qualche settimana, con il consenso della Commissione europea.
L’unica data perentoria è quella del 31 dicembre: se la legge di bilancio non viene approvata entro la fine dell’anno, il rischio è che si entri nel cosiddetto esercizio provvisorio. È uno scenario piuttosto serio, che parte dal presupposto che lo stato non possa prelevare o spendere denaro senza una specifica legge che lo autorizzi. Per evitare il rischio che la pubblica amministrazione si blocchi, che non possa più pagare stipendi o erogare le pensioni, la Costituzione regola, seppur vagamente, l’esercizio provvisorio con due condizioni.
La prima è che, se non si approva la legge di bilancio, il parlamento deve comunque approvare una legge per dare il via all’esercizio provvisorio: non c’è quindi nessuna procedura automatica che si può eseguire senza voto delle camere. La seconda è che l’esercizio provvisorio non può durare più di quattro mesi, al termine dei quali la vera legge di bilancio deve essere approvata.
Questa speciale procedura prevede che la spesa pubblica sia permessa “per dodicesimi”, nella misura di tanti dodicesimi quanti sono i mesi dell’esercizio provvisorio (un dodicesimo se dura un mese, due dodicesimi se dura due mesi e via così). Per esempio: se la legge di bilancio prevede che nell’anno si potranno spendere 120mila euro e l’esercizio provvisorio durerà 4 mesi, allora durante tale periodo si potranno spendere al massimo 40mila euro (120mila diviso 12 e moltiplicato poi per la durata dei mesi dell’esercizio provvisorio, ossia 4). Solo alle spese obbligatorie non si applica questo limite, come nel caso del pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici.
Benché sia per sua natura una misura straordinaria, in realtà dal 1948 l’esercizio provvisorio è stato approvato 33 volte. L’ultima nel 1988, quindi è facile intuire quanto fosse la regola in quegli anni. Da allora però è diventata l’eccezione, ma è sempre stato usato come spauracchio per accelerare la discussione parlamentare e uscire dallo stallo sulla legge di bilancio.
Rispetto alla prima Repubblica, i legami sempre più stretti con le istituzioni europee, l’enorme debito pubblico accumulato e la volatilità dei mercati finanziari hanno reso il ricorso all’esercizio provvisorio uno scenario che in molti ritengono saggio evitare.
Il timore è che il ricorso a questo strumento mostri un paese particolarmente instabile e inaffidabile, e fornisca agli investitori e ai partner internazionali un’immagine di mancanza di serietà. Col risultato dell’aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato italiani e l’aumento del cosiddetto spread, ossia la differenza con i tassi dei titoli di stato tedeschi, considerati dal mercato privi di rischio.
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