C’è un accordo tra i paesi della COP27
Verrà istituito un “fondo di compensazione” con cui i paesi ricchi aiuteranno quelli più danneggiati dal cambiamento climatico
Domenica mattina a Sharm el-Sheikh, in Egitto, i quasi 200 paesi che nelle ultime due settimane avevano partecipato alla Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP27) hanno fatto un accordo per istituire un fondo per i paesi più poveri che sono maggiormente esposti agli effetti del cambiamento climatico: il cosiddetto “loss and damage fund”, cioè fondo per perdite e danni. La possibilità di istituire un fondo a questo scopo era discussa e richiesta da alcuni paesi da vari decenni, ma finora non aveva mai portato a qualcosa di concreto.
La COP27 avrebbe dovuto chiudersi venerdì 18 novembre, ma come accaduto in passato i lavori sono proseguiti anche per tutta la giornata di sabato. I negoziati sono andati avanti tutta la notte e l’accordo è stato trovato all’ultimo, nelle prime ore della mattina di domenica. Simon Stiell, segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, ha commentato: «Non è stato per niente facile. Ma questo risultato darà benefici ai più fragili in tutto il mondo».
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L’idea è che siano i paesi che hanno inquinato maggiormente finora a risarcire gli altri, che per lo sviluppo delle proprie attività produttive in futuro non potranno beneficiare delle medesime soluzioni adottate in passato, più economiche di quelle sostenibili ma troppo inquinanti. Per questo le associazioni che si occupano di attivismo ambientalista parlano spesso di “fondo di riparazione”. Il fondo dovrebbe servire per finanziare le attività di mitigazione degli effetti più gravi del cambiamento climatico – come inondazioni, eventi atmosferici sempre più estremi o prolungati periodi di siccità – e offrire risorse per gestire la transizione energetica, cioè il passaggio a fonti di energia meno inquinanti.
L’accordo prevede che un comitato formato dai rappresentanti di 24 paesi si riunisca nel corso del prossimo anno per decidere quali paesi dovranno contribuire e quali potranno beneficiare del fondo. Molte cose sono ancora da definire: l’Unione europea ha insistito molto sul fatto che il fondo non venga usato per fare pagamenti diretti, ma per creare sistemi di aiuto, come per esempio programmi assicurativi.
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I paesi in via di sviluppo, principalmente in Asia, Africa e America Latina, caldeggiavano da tempo l’istituzione del fondo e insistevano sull’ingiustizia di dover subire conseguenze gravi che avevano contribuito a causare solo in minima parte. Durante la COP27 questa richiesta era stata portata avanti da una delegazione di 134 paesi guidata dal Pakistan, che per via delle gravissime inondazioni degli ultimi mesi rappresenta un caso palese di quello che si prevede succederà sempre più spesso in futuro. Sherry Rehman, ministra del cambiamento climatico del Pakistan, ha definito l’accordo «storico».
Invece i paesi più ricchi e sviluppati, cioè buona parte dell’Occidente, avevano sempre respinto questa soluzione, un po’ per non impegnarsi economicamente in un sistema che potrebbe andare avanti decenni, un po’ per il timore di dover ammettere ufficialmente la responsabilità del cambiamento climatico in corso. Nell’ultimo periodo però il governo degli Stati Uniti si era mostrato più disponibile e anche l’Unione europea si era mostrata più aperta alla possibilità di istituire un fondo di compensazione.
Tra le questioni ancora da definire c’è il ruolo della Cina, che è formalmente considerata un paese in via di sviluppo ma è allo stesso tempo il primo paese per emissioni di gas serra, i principali responsabili del riscaldamento globale. E poi c’è il problema di passare da un accordo a un effettivo versamento di denaro all’interno del fondo: già in passato “promesse” di questo tipo avevano fatto fatica a concretizzarsi.
Il confronto tra i paesi nelle ultime settimane si era concentrato, oltre che sull’istituzione del fondo compensativo, anche sull’impegno per ridurre sensibilmente l’impiego dei combustibili fossili, come il carbone, per limitare la quantità di anidride carbonica e altri gas serra immessi nell’atmosfera a causa delle attività umane. Su questo secondo punto non è stata presa nessuna decisione.
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