L’attivista simbolo delle migliaia di prigionieri politici in Egitto
Alaa Abdel Fattah è egiziano-britannico ed è in carcere da anni: durante la COP27 aveva iniziato uno sciopero della fame e della sete
Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi riteneva la COP27, annuale conferenza sul clima organizzata dall’ONU che si è tenuta questa settimana a Sharm el Sheikh, un’occasione per riabilitare l’immagine internazionale dell’Egitto e consolidare il potere del suo regime ospitando i capi di stato più influenti. Ma un altro importante effetto di quest’evento internazionale è stato riportare l’attenzione sulle continue e numerose violazioni dei diritti umani del regime di al Sisi, salito al potere con un colpo di stato militare nel luglio 2013.
Il caso dell’attivista britannico-egiziano Alaa Abdel Fattah è stato quello ad attirare le maggiori attenzioni: in particolare il suo sciopero della fame ha a tratti oscurato gli stessi lavori della COP27 sui media occidentali. Abdel Fattah è diventato il simbolo degli oltre 60.000 prigionieri politici egiziani (secondo la stima dell’ong Human Rights Watch).
Abdel Fattah, ex sviluppatore di software, è stato uno dei leader della rivoluzione egiziana del 2011, che portò alla fine del regime del dittatore Hosni Mubarak. Diventato figura di riferimento delle giovani generazioni egiziane, è uno dei più noti fra i molti attivisti incarcerati per la loro opposizione al regime. Ha passato otto degli ultimi dieci anni in carcere, arrestato più volte per proteste di piazza o critiche al governo in articoli e post sui social. L’ultimo arresto è arrivato nel 2019, per aver denunciato sui social network le violazioni dei diritti dei detenuti nelle carceri egiziane.
Come successo per lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki, Fattah è stato tenuto in carcere senza un processo per due anni. Poi nel dicembre 2021 è stato condannato a cinque anni di prigione per «diffusione di false notizie che mettono in pericolo la sicurezza dello stato». Nel tentativo di aumentare l’attenzione e le pressioni internazionali per il suo rilascio, dopo la condanna Abdel Fattah ha ottenuto la cittadinanza britannica grazie alla madre, nata nel Regno Unito, insegnante di matematica e anche lei attivista contro il precedente regime di Mubarak.
Dallo scorso aprile Abdel Fattah aveva cominciato in carcere uno sciopero della fame parziale, cibandosi solo di latte, miele e tè. Da ottobre aveva smesso di nutrirsi del tutto e in occasione dell’inizio della COP27 ha cominciato anche lo sciopero della sete.
Numerose proteste, marce e appelli nel Regno Unito non hanno sbloccato la sua situazione e la famiglia ha sperato che la conferenza sul clima potesse riportare l’attenzione internazionale sulla sua sorte. La madre e le sorelle (la sorella Sanaa Seif a sua volta ha scontato 18 mesi di reclusione per “incitazione al terrorismo”) sono arrivate in Egitto per sensibilizzare le delegazioni internazionali sul suo caso e per chiedere di incontrare Fattah. Dopo sei giorni dall’inizio dello sciopero della sete, durante i quali non hanno avuto notizie e hanno temuto per la sua vita, hanno ricevuto due lettere in cui l’attivista annunciava di aver ripreso a bere e poi a mangiare, probabilmente dopo un intervento medico coatto. Giovedì la famiglia ha infine potuto incontrarlo, trovandolo in condizioni «seriamente peggiorate».
We just got this letter. Alaa has broken his hunger strike. I don’t know what’s happening inside, but our family visit is scheduled for Thursday and he’s saying to bring a cake to celebrate his birthday. #FreeAlaa pic.twitter.com/tEk02T5hcW
— Sanaa (@sana2) November 15, 2022
Durante i lavori della conferenza e nel corso degli incontri bilaterali il primo ministro britannico Rishi Sunak, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz avrebbero fatto pressioni sul presidente al Sisi per la liberazione dell’attivista. Come già successo con l’Italia per i casi dell’omicidio di Giulio Regeni e dell’incarcerazione di Patrick Zaki, il regime egiziano non ha fatto nessuna apertura, né è sembrato sensibile all’appello di sedici premi Nobel, inviato a inizio novembre.
Il governo britannico, come in passato quelli italiani che si sono succeduti, non ha voluto o potuto utilizzare metodi di pressione più sostanziali: come l’Italia anche il Regno Unito ha rapporti commerciali molto consistenti con l’Egitto.
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