La polemica sulla figlia di Giorgia Meloni al G20 è stata molto esagerata
La presidente del Consiglio ha ingigantito e travisato alcuni commenti alla sua scelta per farne una questione personale
In questi giorni Giorgia Meloni si è risentita per una presunta polemica intorno alla sua decisione di portare la figlia di 6 anni a Bali, in Indonesia, dove si è svolto il G20 a cui ha partecipato in quanto presidente del Consiglio italiana. Mercoledì pomeriggio in un post su Facebook ha scritto di essersi imbattuta in un «incredibile dibattito sul fatto che sia stato giusto o meno portare mia figlia con me» e di avere «il diritto di fare la madre come ritengo»: solamente che questo dibattito in realtà non c’è stato, almeno non nelle dimensioni suggerite dai toni del post. Nessun esponente dell’opposizione ha criticato il merito della scelta di Meloni di portare con sé la figlia a Bali, e le occasioni in cui se ne è parlato sui media sono state essenzialmente tre, di cui solo una parzialmente critica.
Il “dibattito” a cui fa riferimento Meloni potrebbe essere forse il chiacchiericcio che si è animato sui social network a proposito di due interventi da parte dei media, un articolo di opinione su Repubblica di mercoledì e un commento in televisione del giornalista Furio Colombo, andato in onda sempre mercoledì su La7. Colombo ha criticato duramente Meloni e ha in effetti alluso alla figlia, ma il suo argomento era politico e riguardava le sue posizioni sull’immigrazione: ha detto che «viviamo in una repubblica in cui a certi bambini spetta la top class per Bali e a certi bambini spetta il fondo del mare». Il riferimento alla figlia di Meloni, insomma, era funzionale alla critica delle politiche migratorie del governo, che sta ostacolando lo sbarco delle navi delle ONG nei porti italiani.
"Furio Colombo":
Per queste affermazioni nel suo intervento a #lariachetirala7pic.twitter.com/2N8BWZUmGo— Perché è in tendenza? (@perchetendenza) November 17, 2022
L’articolo di Repubblica, invece, firmato da Claudia de Lillo, ha discusso effettivamente il merito della scelta di Meloni, criticandola. Lo ha fatto in realtà con toni pacati, e principalmente per ragionare in modo più ampio sul ruolo di madre e sugli stereotipi che lo riguardano, come il «beneficio di una maternità intensiva e capillare», e prendendo a modello Meloni in quanto unica leader politica presente in quel contesto: «portando Ginevra al G20 compie un atto femminile, intriso di profonde contraddizioni aspirazionali e identitarie che lei intende pervicacemente tenere insieme». Dice l’articolo nella sua parte più critica:
Ma è vera presenza materna quella condivisa con Modi e Biden o strappata a un bilaterale con Erdogan? Meloni forse è convinta di riuscire a fare tutto, come lo siamo noi, madri prede del rovinoso delirio di onnipotenza, cresciute nel mito supereroico del multitasking, trappola nefasta che, glorificandoci, ci soffoca. Chissà se anche lei, laggiù in Indonesia, è divorata dal senso di colpa di chi si sente sempre al posto sbagliato. Chissà se quando parla con Trudeau vorrebbe essere a spasso con Ginevra.
Anni fa avremmo plaudito a una donna che tiene tutti i pezzi insieme e ostenta la propria maternità mentre governa, perché non c’è imbarazzo ma solo orgoglio nell’essere madri. Oggi abbiamo imparato che la conciliazione, per consentire alle donne di volare, va declinata altrimenti. C’è un tempo del lavoro e c’è un tempo dell’accudimento. Talvolta, per esempio in un G20 a Bali, sono difficilmente sovrapponibili.
Sullo stesso tema c’è stato poi un altro articolo, di Assia Neumann Dayan sulla Stampa, ma con toni di segno opposto: esprimeva solidarietà per Meloni e per le esigenze di conciliare un lavoro impegnativo e il ruolo di genitore («Giorgia – posso chiamarti Giorgia? – io ti capisco. Se non puoi sconfiggere il senso di colpa, portatelo a Bali»). Dagli avversari politici di Meloni invece non sono arrivati commenti o critiche a riguardo.
Sulla base di questi due articoli e dell’intervento di Colombo, quindi, alcuni esponenti della coalizione di destra hanno cercato di spostare sul personale la discussione. Guido Crosetto, ministro della Difesa e tra i fondatori di Fratelli d’Italia, ha scritto su Twitter che cercherà «di coniugare l’impegno istituzionale con la vita privata cui ho diritto», anche se nessuno aveva messo in discussione il diritto di Meloni ad avere una vita privata. Poi è arrivato il post in cui Meloni, parlando con un certo vittimismo di «incredibile dibattito» e rivolgendosi agli «animatori di questa appassionante polemica», ha chiesto retoricamente se avesse il diritto di essere genitore come voleva, sostenendo di voler fare tutto il possibile per l’Italia «senza per questo privare Ginevra [sua figlia, ndr] di una madre».
Tra giovedì e venerdì alcuni commentatori e giornalisti hanno tentato di mettere in evidenza la contraddizione tra la reazione di Meloni e le sue cause. Il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, rispondendo alla lettera di una lettrice ha ribadito come l’intera questione fosse indicativa di una strategia precisa: «Creare con efficacia nemici invisibili, identificare quei nemici invisibili in simboli di una fantomatica sinistra che si vuole combattere, fare di quella sinistra che si vuole combattere il simbolo di una generica sinistra».
Questa strategia funziona così bene, aggiunge Cerasa, da convincere anche gli avversari, che intervengono in difesa di chi si lamenta per gli attacchi di questi «nemici invisibili». Lo ha fatto per esempio il leader di Azione, Carlo Calenda, scrivendo su Twitter: «Ma io dico, si può fare una polemica più idiota di questa. Una madre che lavora e si porta dietro la figlia! Ma saranno fatti suoi. Ma parlate di politica».