Chi ebbe più morti nella Seconda guerra mondiale dopo l’Unione Sovietica?
Non è la Germania né il Giappone: se non lo sapete non è colpa vostra ma del modo sbilanciato in cui la studiamo in Europa
Le chiamiamo guerre mondiali per un motivo: tutte le zone del pianeta, per via di alleanze o interessi locali, vi parteciparono militarmente. Eppure, da noi, gli eventi, le battaglie e i personaggi che più frequentemente vengono citati studiando quei periodi storici sono europei, al limite statunitensi, in minima parte russi e giapponesi. Il motivo è abbastanza ovvio, da sempre la storiografia ha aderito al punto di vista di chi l’ha fatta, che fossero gli antichi Romani o gli Europei contemporanei: che quasi sempre scrivendo la storia hanno mantenuto una netta prospettiva eurocentrica.
Ma se un’attenzione maggiore alla nostra storia può avere senso nei programmi delle scuole primarie e secondarie, dove non ci sarebbe tempo né modo per affrontare tutta la storia antica e moderna del mondo, per quanto riguarda le guerre mondiali lo scarso interesse verso alcune zone geografiche – l’Asia o il subcontinente indiano – significa non comprendere appieno il fenomeno nel suo insieme, che ha avuto una dimensione e un impatto appunto mondiali.
L’eurocentrismo non è certo un apparato concettuale nuovo, è oggetto di critica da almeno ottant’anni e la sua elaborazione teorica iniziò proprio dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sintetizzando, è quell’insieme di credenze che vede nell’Europa il miglior modello di sviluppo e progresso possibile, considerandola portatrice dei valori più giusti e universali. La tendenza a credersi il centro del mondo è propria di molte culture, non solo di quella europea, ma nel caso dello studio della Seconda guerra mondiale ha prodotto un certo scarto tra quello che crediamo di sapere e quello che realmente successe.
Un esempio perfetto in questo senso è il ruolo della Cina, che viene a volte dimenticato o persino ignorato dai più, nonostante i cinesi abbiano combattuto insieme agli alleati contro Giappone e Germania nazista (e di conseguenza anche contro l’Italia). La maggior parte delle persone se dovesse indovinare quali paesi ebbero più morti tra civili e militari nella Seconda guerra mondiale con ogni probabilità risponderebbe l’Unione Sovietica, forse la Germania o la Polonia. Più difficilmente penserebbe alla Cina, che in realtà è il secondo paese ad aver avuto più morti dopo l’Unione Sovietica: almeno 14 milioni, secondo alcune stime addirittura 20.
A livello accademico c’è una certa contezza di queste lacune, tanto che esistono progetti di ricerca proprio per colmarle: dal 2015, per esempio, il ricercatore dell’Università di Leida Ethan Mark ha avviato uno studio chiamato Global Histories of WWII: Imperial Crises and Contested Loyalties, che ha come scopo ampliare la prospettiva sulla Seconda guerra mondiale e persino di cambiare l’interpretazione che ne diamo, aggiungendo un livello di lettura in chiave colonialista.
«Certamente le azioni di Germania e Giappone furono orribili» ha spiegato Mark. «Ma tutto sommato avevano ragione a dire che quello che facevano non era diverso da quello che il resto d’Europa aveva fatto per secoli: colonizzare il mondo. Anche Germania e Giappone volevano sedersi al tavolo, e le popolazioni asiatiche e africane ne erano consapevoli. Per loro non c’era questa netta distinzione tra buoni e cattivi».
In anni recenti la storiografia ha rivalutato il ruolo della Cina nella guerra, mettendo in discussione la visione per cui la guerra fu un semplice conflitto tra stati esacerbato dall’aggressività di Adolf Hitler. Nella zona del mar Cinese orientale, infatti, alla fine degli anni Trenta c’era una crescente tensione tra Cina e Giappone, che si trascinava da decenni. Nel 1937 iniziò la cosiddetta Seconda guerra sino-giapponese, durante la quale avvenne il massacro di Nanchino, in cui morirono tra le 200 e le 300mila persone. Sembrava che il Giappone potesse prevalere in poco tempo, ma l’esercito cinese invece resistette.
Secondo Rana Mitter, storico dell’Università di Oxford, questo passaggio influenzò il corso dell’intera Seconda guerra mondiale. Senza la resistenza cinese del 1937-1938 non ci sarebbe stata l’escalation militare negli anni seguenti. E senza escalation il Giappone non avrebbe consumato ingenti risorse che lo resero vulnerabile all’embargo di petrolio deciso da Franklin Delano Roosevelt, presidente americano, all’inizio degli anni Quaranta. Senza embargo, infine, non ci sarebbe stata Pearl Harbor, l’entrata in guerra degli americani e tutto il resto.
È un punto di vista condiviso anche da altri studiosi, che seguendo una prospettiva globale hanno individuato almeno due cause scatenanti della Seconda guerra mondiale, distinte ma ugualmente importanti: la situazione in Europa e le tensioni tra Cina e Giappone.
Ci sono altri esempi della nostra scarsa conoscenza degli eventi bellici al di fuori dell’Europa. Prendiamo i bombardamenti: la città che nella Seconda guerra mondiale fu colpita dal bombardamento più letale e distruttivo non è Dresda, Amburgo o Londra. Non è neanche Hiroshima, bensì Tokyo. Con l’Operazione Meetinghouse la capitale giapponese venne quasi rasa al suolo nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1945, quando l’aeronautica statunitense sganciò bombe incendiarie e al napalm che uccisero sul colpo circa 100mila persone. Circa un milione di persone rimase senza casa.
Oppure la grandezza degli eserciti: da reminiscenze di studi scolastici potremmo ricordare che negli anni Trenta la Germania nazista avviò un intenso riarmo che portò l’esercito tedesco (la Wehrmacht) a superare i paesi vicini per efficienza e capacità. I più attenti e informati potrebbero anche ricordare le enormi dimensioni dell’Armata Rossa, arrivata a superare i 10 milioni di soldati al suo massimo, nel 1943.
I sovietici però erano composti di reparti di coscritti e soldati regolari. L’armata più grande di soldati volontari non era né europea, né russa, né americana: proveniva dall’India ed era composta di 2 milioni e mezzo di uomini, un numero notevole (si ritiene sia l’armata volontaria più grande della storia). Per avere una dimensione, era più o meno della stessa grandezza dell’intero esercito italiano in quegli stessi anni. L’armata volontaria indiana combatté per l’esercito britannico e tra l’altro ottenne anche importanti vittorie, una proprio contro gli italiani nell’Africa orientale e due contro la temibile Wehrmacht, in Italia e in Tunisia.
Sempre a proposito di dimensioni, c’è un altro “primato” che spetta all’Asia e non all’Europa, stavolta nell’ambito delle battaglie navali. La Battaglia del Golfo di Leyte venne combattuta vicino all’omonima isola delle Filippine nel 1944 da Stati Uniti e Australia contro il Giappone. Parteciparono più di 200mila uomini tra membri dell’equipaggio delle navi e altri militari, e anche per questo, secondo alcuni, potrebbe essere la battaglia navale più grande della storia. Sicuramente è la più grande dell’intera Seconda guerra mondiale.
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