L’Indonesia riceverà 20 miliardi di dollari per usare meno carbone
Glieli daranno i paesi più ricchi (Italia compresa) e alcune banche internazionali, ma sono poca cosa rispetto a ciò che servirebbe
Nove paesi ricchi del mondo e l’Unione Europea daranno all’Indonesia 20 miliardi di dollari (equivalenti a 19,4 miliardi di euro) per aiutarla a ridurre la propria dipendenza energetica dal carbone, il combustibile fossile che a cui si devono maggiori emissioni di anidride carbonica (CO2), e a usare di più fonti di energia rinnovabili a partire dal 2030. L’Indonesia ricava il 61 per cento della propria energia dal carbone e nel 2021 è stata il nono paese al mondo per quantità di CO2 prodotta dai combustibili fossili diffusa nell’atmosfera.
L’accordo è stato annunciato alla fine del G20 di Bali, dopo un anno di negoziati. Il nome ufficiale è “partenariato per una transizione energetica giusta”: l’Unione Europea e i paesi ricchi coinvolti – il Canada, la Danimarca, la Francia, la Germania, il Giappone, la Norvegia, il Regno Unito, gli Stati Uniti e pure l’Italia – ne avevano già concluso uno con il Sudafrica, lo scorso anno. Questo però prevede uno stanziamento di risorse economiche più ingente, 20 miliardi di dollari contro 8,5, e tempistiche più rigide per il paese beneficiario per ridurre le emissioni.
I finanziamenti arriveranno per metà dagli stati e per metà da grandi enti finanziari internazionali già impegnati a sostenere progetti di transizione energetica. Da soli l’Unione Europea e i suoi paesi membri che hanno firmato il partenariato (Danimarca, Francia, Germania e Italia) investiranno 2,5 miliardi di dollari. L’Indonesia riceverà i finanziamenti in un periodo compreso tra tre e cinque anni in vari formati: sovvenzioni, prestiti agevolati, prestiti a tasso di mercato, garanzie e investimenti privati. Il partenariato prevede anche successivi finanziamenti, ma non ne specifica l’entità.
Sebbene 20 miliardi di dollari siano finora la somma più grande che i paesi ricchi si sono impegnati a dare a un paese in via di sviluppo per diminuire le sue emissioni di gas serra, sono comunque poco rispetto a ciò di cui avrebbe bisogno l’Indonesia per ribaltare il proprio sistema energetico. Il paese, che è il quarto al mondo per popolazione, con oltre 270 milioni di abitanti, ha molto potenziale per la produzione di energia fotovoltaica, eolica e geotermica, ma il ministro per gli Affari economici, Erick Thohir, ha stimato in 600 miliardi di dollari la somma necessaria per abbandonare l’uso del carbone.
Anche perché in media le centrali a carbone indonesiane hanno tra i 12 e i 13 anni: considerando che una centrale del genere è progettata per funzionarne 45, dismetterle comporterà una grossa perdita di investimenti.
Nonostante questo ci sono vari altri paesi in via di sviluppo che sono forti emettitori di gas serra che vorrebbero stringere partenariati per una transizione energetica giusta (o JETP, acronimo dell’espressione in inglese) con i paesi ricchi: primi fra tutti l’India, il Vietnam, il Senegal e le Filippine.
I finanziamenti dei JETP non sono il tipo di aiuto economico che i paesi in via di sviluppo e più minacciati dal cambiamento climatico stanno cercando di ottenere alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Sharm el Sheikh (COP27), attualmente in corso.
I fondi dei JETP hanno lo scopo di finanziare attività di transizione energetica, dunque la costruzione di impianti per produrre energia da fonti più sostenibili a livello ambientale. Alla COP27 invece si sta parlando di fondi per i cosiddetti “loss and damage”, cioè per rimediare ai danni e alla perdite causate da fenomeni legati al cambiamento climatico, dalla distruzione di infrastrutture a causa di alluvioni e innalzamento del livello del mare alla morte di persone nel corso di disastri naturali.
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