Chi cura le donne in Afghanistan?
La segregazione di genere da parte dei talebani si scontra con l'esclusione delle donne dalla professione medica
di Claire Parker - The Washington Post
Quando lo scorso anno i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan, quasi un terzo delle tirocinanti della classe di Omeida Momand in un ospedale femminile di Kabul, come riferisce lei stessa, è scappato dal paese lasciando il personale ridotto all’osso. Momand ha deciso di restare e portare a termine l’ultimo di undici anni dedicati alla formazione nella cura delle donne afghane. Di giorno esamina le pazienti ginecologiche e tiene sotto osservazione le madri con gravidanze ad alto rischio in una stanza a volte così affollata che le donne giacciono sul pavimento. I suoi turni di notte sono dedicati all’esecuzione di cesarei di emergenza.
La determinazione di Momand a praticare la medicina nel suo paese d’origine si è allineata, ironia della sorte, agli interessi dei talebani. Nella società islamica fortemente conservatrice che i talebani sperano di creare le donne dovrebbero essere accudite da altre donne, secondo i responsabili. Quindi servono più dottoresse.
Si tratta di un raro caso in cui i talebani promuovono con vigore e pubblicamente l’istruzione e l’occupazione delle donne. La formazione di dottoresse e infermiere rientra nell’obiettivo del movimento di dimostrare che può fornire servizi essenziali mentre costruisce una società strutturata sulla segregazione di genere.
Muhammad Hassan Ghyasi, viceministro della Salute ad interim, ha detto in un’intervista che il suo ministero ha ricevuto «chiare istruzioni dai piani superiori» di conformare le politiche alla rigida interpretazione talebana della sharia, o legge islamica. Una nuova politica sottoposta di recente all’approvazione del leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada, ufficializzerebbe una regola già applicata in alcuni ospedali secondo cui le operatrici sanitarie dovrebbero curare le donne e gli operatori sanitari gli uomini.
Ghyasi ha dichiarato che la politica stabilisce che qualora non sia disponibile una dottoressa qualificata, la paziente potrà consultare un medico. Ma con un sistema sanitario sotto pressione – e la crisi economica aumentata dalle sanzioni occidentali che aggravano fame e malattie – la necessità di professionisti qualificati di entrambi i sessi è più grande che mai.
Lo sforzo dei talebani di estendere l’istruzione medica alle donne, specie nei campi tradizionalmente dominati dagli uomini, è in contrasto con le restrizioni che il governo draconiano impone a donne e ragazze. Da quando hanno preso il potere, i talebani hanno escluso molte adolescenti dalla scuola secondaria e le donne dalla maggior parte delle professioni. Questo autunno le autorità hanno proibito alle aspiranti studentesse universitarie di iscriversi a corsi come giornalismo, ingegneria ed economia.
Sembra scontato che le restrizioni limiteranno anche il numero di donne che nei prossimi anni potranno ricevere una formazione in medicina. Altre normative talebane hanno impedito di fatto alle dottoresse di svolgere il loro lavoro, come quella che impone alle donne di spostarsi in alcune zone esclusivamente accompagnate da tutori.
Ma la percentuale di donne ammesse in diversi istituti governativi di infermieristica, radiologia e altri settori sanitari (almeno il 46 per cento in questo semestre) mostra piuttosto un leggero aumento rispetto ai dati del 2020, secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa che sostiene gli istituti.
Le autorità talebane portano a ulteriore prova del loro impegno nella formazione delle operatrici sanitarie i programmi di specializzazione come quello del Rabia Balkhi Hospital, dove lavora Momand. Il direttore dell’ospedale Seemin Mishkin Mohmand ha parlato del sostegno dato dal ministero della Salute talebano alla sua ambizione di ampliare il programma e offrire una formazione di livello superiore.
Momand si laureerà questo autunno tra i migliori della sua classe e spera di aprire una clinica di ginecologia in una provincia rurale: «Da bambina questa era la mia speranza: diventare medico, servire il mio paese e la mia gente, soprattutto servire le nostre povere donne».
Un sistema sanitario in rianimazione
I bisogni in Afghanistan sono enormi. Il tasso di mortalità materna è tra i più alti al mondo. Secondo Hamida Hamidi, medico al Rabia Balkhi e responsabile dei suoi programmi di formazione, l’aggravarsi della malnutrizione ha contribuito a un aumento delle nascite premature e delle complicazioni in gravidanza.
L’indomani della presa di potere da parte dei talebani il sistema sanitario, che dipende massicciamente da aiuti esteri, è stato vicino a crollare. Lo scorso anno, dopo un taglio di miliardi nei finanziamenti, il CICR e le Nazioni Unite sono intervenuti per garantire uno stipendio a decine di migliaia di operatori sanitari. Alcuni ospedali hanno chiuso ugualmente. Un elevato numero di medici ha lasciato il paese. E con la fine della guerra il volume dei pazienti bisognosi di assistenza è in aumento.
L’ospedale principale di Wardak, una provincia vicina a Kabul, era in prima linea nei combattimenti. Secondo il direttore dell’ospedale, Mohammad Nader Rahmani, dalla fine della guerra il numero dei suoi pazienti è raddoppiato. Come in molte altre zone dell’Afghanistan le famiglie qui preferiscono che le loro donne siano seguite da dottoresse. Ma se le donne costituiscono la maggioranza dei pazienti, rappresentano solo un quarto dei medici dell’ospedale.
L’ospedale, gestito dal Comitato svedese per l’Afghanistan, ha di recente assunto una radiologa, ha detto Rahmani. Ma per via della limitata disponibilità di operatrici sanitarie non si è potuto assumerne altre. L’obiettivo dichiarato dei talebani di creare un sistema sanitario separato ma uguale per uomini e donne rimane un sogno lontano, dicono gli amministratori degli ospedali e gli operatori umanitari internazionali. «È una politica impossibile da attuare a breve termine», dice Rahmani.
Una carenza di specialisti
In Afghanistan, come in molti altri paesi, l’essenziale compito di prendersi cura di madri e bambini è da sempre appannaggio femminile. In altre aree di specializzazione medica le donne rappresentano una netta minoranza, dicono i medici e gli amministratori ospedalieri afghani. Sei anni fa l’Organizzazione mondiale della sanità ha messo in guardia sul fatto che la mancanza di personale sanitario femminile impedisse alle donne afghane di ricevere cure adeguate.
Ma non è sempre stato così. Quando Hamidi frequentava la facoltà di medicina, all’inizio degli anni ’90, il paese disponeva di specialiste in neurochirurgia e urologia, come lei stessa ricorda. Nel 1992 con lo scoppio della guerra civile molte sono fuggite in Occidente. I talebani hanno preso il potere per la prima volta quattro anni dopo, e «tutto è cambiato», dice Hamidi. Le famiglie non vedevano di buon occhio che le loro figlie entrassero in campi medici diversi da quello della salute materna, e questo atteggiamento è sopravvissuto ben oltre il primo governo talebano.
Nell’ospedale di Wardak e in altri gestiti da organizzazioni internazionali la segregazione di genere non è stata ancora applicata, dicono gli amministratori. Inoltre il CICR non ha rilevato segregazione di genere negli ospedali governativi che sostiene, ha dichiarato Lucien Christen, portavoce del CICR per l’Afghanistan.
Un sabato pomeriggio recente una giovane donna di nome Shayma è arrivata in travaglio all’ospedale di Wardak con l’urgenza di un taglio cesareo. Gli unici medici disponibili in quel momento erano uomini. Su insistenza dell’ospedale il marito e il fratello di Shayma hanno autorizzato due medici a eseguire l’operazione insieme a due ostetriche. Se agli uomini fosse stato proibito di operare le donne, «avremmo perso nostra figlia e mio nipote», ha detto la madre di Shayma, Sharifa, che usa solo il nome.
Nonostante la segregazione di genere almeno finora non sia stata applicata nell’ospedale di Wardak, tre attuali o ex chirurghe di ospedali pubblici di Kabul hanno affermato che il personale maschile e quello femminile sono già costretti a lavorare separati.
Una di loro, una tirocinante di Wardak al primo anno, voleva diventare chirurga per aiutare le donne della sua provincia, ma nel settembre 2021 i funzionari talebani hanno vietato alle donne del suo ospedale di coprire i turni di notte e di lavorare nella stessa stanza con i loro colleghi.
«Il problema è che non si possono separare uomini e donne, perché dobbiamo lavorare insieme» ha detto la tirocinante in condizione di anonimato per paura di ritorsioni. «Per questo abbiamo risposto che non volevamo separarci. Ci hanno rimandato a casa e sospeso». A distanza di più di un anno non le è ancora stato permesso di riprendere il suo posto.
Fino all’agosto 2021 Kobra Safi lavorava con le vittime di ustioni come chirurga plastico-ricostruttiva in un ospedale universitario di Kabul. Diversi giorni dopo la caduta di Kabul i funzionari talebani le hanno detto che non poteva più avere contatti con il suo mentore, un chirurgo maschio: «Così è svanito il mio sogno di fare la chirurgia plastica». Due mesi dopo è salita su un volo di evacuazione e ha trascorso quasi un anno ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti, per poi trasferirsi in Canada a settembre.
Politiche controproducenti
Malgrado il governo talebano sostenga di voler estendere la formazione medica alle donne, altre scelte stanno impedendo loro di fornire – o ricevere – assistenza sanitaria. Fouzia Shafique, capo consulente sanitaria di UNICEF in Afghanistan, ha spiegato che in agenzia arrivano sempre più casi, soprattutto dal sud e dall’est del paese, di donne che sono state respinte da strutture sanitarie perché non accompagnate da un tutore. Le operatrici sanitarie, dal canto loro, hanno «notevoli difficoltà» a recarsi al lavoro in alcune zone dovendo trovare un parente disposto ad accompagnarle.
Ghyasi, il viceministro della Salute, ha detto di «non aver visto» segnalazioni di donne allontanate dalle strutture sanitarie, aggiungendo però: «Non lo neghiamo, al momento abbiamo dei problemi».
Anche per le future dottoresse il sentiero si sta restringendo. Le scuole superiori di 24 delle 34 province dell’Afghanistan rimangono inaccessibili alle adolescenti, ha dichiarato a settembre il relatore speciale delle Nazioni Unite Richard Bennett al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
I talebani hanno chiuso la scuola di Wajeha Kazimi, 19 anni, poco prima della fine del suo ultimo anno di superiori. Kazimi è riuscita a diplomarsi comunque e ha passato più di un anno a studiare per l’esame di ammissione all’università in un centro di preparazione di Kabul. A settembre è sopravvissuta a un attacco suicida che ha causato la morte di oltre 50 persone. Kazimi spera di entrare nella sanità pubblica o in pediatria, e all’esame universitario ha indicato medicina come prima scelta: «Abbiamo scelto ricordando i nostri amici uccisi che desideravano diventare medici». Sua sorella di 15 anni resta esclusa dalla formazione ufficiale.
I limiti imposti dai talebani all’istruzione delle adolescenti stanno costando al paese anche alcuni dei suoi migliori medici maschi. Cinque degli otto chirurghi del centro traumatologico di Emergency a Kabul hanno lasciato il paese dopo la presa del potere da parte dei talebani, alcuni per consentire alle loro figlie di continuare gli studi, ha detto il medico coordinatore Dimitra Giannakopoulou. Le organizzazioni umanitarie continuano a esercitare pressioni sulle autorità talebane affinché riaprano le scuole secondarie per il bene della salute pubblica. «Le ragazze devono aver terminato le scuole superiori per iscriversi a un corso di ostetricia, diventare infermiere o fare pratica come vaccinatrici» ha detto Shafique. «E ora ci aspettano due anni senza tirocinanti diplomate e quindi senza nessuno da formare».
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(traduzione di Sara Reggiani)