La più antica iscrizione in una delle lingue più misteriose d’Europa
Una frase incisa su una mano di bronzo del primo secolo a.C. potrebbe dirci di più sulle origini del basco
Il basco, una lingua parlata in una regione nel nord della Spagna e nell’estremo sud-ovest della Francia, è unico e piuttosto misterioso. È la sola lingua ancora in uso in Europa che non ha parentele evidenti con le altre, la maggior parte delle quali fa parte della famiglia delle lingue indoeuropee. Un reperto archeologico rinvenuto nel 2021 e studiato a lungo negli ultimi mesi, una sottile scultura di una mano in bronzo risalente all’inizio del primo secolo a.C., potrebbe però rivelarci qualcosa in più. Su una delle sue facce è infatti riportata un’iscrizione in proto-basco, un antenato del basco attuale: è la più antica testimonianza scritta della lingua di cui siamo a conoscenza.
L’unicità del basco è dovuta al fatto che è l’ultima lingua che deriva da quelle che si parlavano in Europa prima che nell’alta Età del Bronzo le popolazioni provenienti dalla steppa eurasiatica migrassero nel continente europeo soppiantando gran parte della popolazione locale e portandosi dietro la propria lingua, che oggi definiamo proto-indoeuropeo. Da quella lingua originaria – di cui non abbiamo documenti, e che possiamo ricostruire soltanto a ritroso – discendono il latino e tutte le lingue neolatine, ma anche le lingue proto-germaniche antenate dell’inglese e del tedesco, e poi l’hindi, fuori dall’Europa.
La distanza tra le lingue europee contemporanee e il basco è evidentissima a chiunque visiti città come Bilbao o San Sebastián, sia per i suoni che per la scrittura. Per fare un esempio, la parola italiana “padre”, le cui somiglianze con l’inglese “father” e il tedesco “Vater” sono molto riconoscibili, si traduce con “aita” in basco.
Il basco ha peraltro una profondissima differenza grammaticale con le lingue indoeuropee, che bisogna imparare subito se lo si vuole studiare: è una lingua ergativa, cioè in cui il soggetto di un verbo intransitivo (come “venire”) si esprime come il complemento oggetto di un verbo transitivo (come “salutare”). Se l’italiano fosse ergativo, la forma corretta non sarebbe “(io) vengo e (io) ti saluto”, ma qualcosa che ci suonerebbe come “me vengo e ti saluto”.
A causa della sua estraneità alle altre lingue parlate oggi e a quelle scomparse di cui però abbiamo una vasta documentazione scritta, la storia e l’evoluzione del basco non possono essere ricostruite con metodi comparativi, cioè notando somiglianze e differenze con altre lingue. Non ci si può nemmeno affidare a fonti scritte perché i primi testi in basco di cui disponiamo (scritti con l’alfabeto latino) risalgono al Medioevo. Fino alla scoperta della mano di bronzo si pensava che i vasconi, uno dei popoli da cui discendono i baschi e che era così chiamato (“vascones”) dagli storici romani del primo secolo d.C. come Plinio il Vecchio, non usassero la scrittura. Per questo il ritrovamento, che suggerisce il contrario, è così importante.
La mano di bronzo era stata trovata il 18 giugno 2021 dall’archeologa Leire Malkorra durante gli scavi in un sito sul monte Irulegi, che si trova a circa 10 chilometri di distanza dal centro di Pamplona, capoluogo della regione di Navarra. Questa comunità autonoma spagnola, insieme a quella dei Paesi Baschi, costituisce la parte della regione geografica storicamente abitata dai baschi a sud dei Pirenei.
Tra l’80 e il 72 a.C. quella regione e il resto della penisola iberica erano un territorio conteso tra il generale romano Quinto Sertorio e i suoi avversari Metello Pio e Pompeo in una guerra civile interna alla repubblica di Roma. All’epoca il sito archeologico sul monte Irulegi era un piccolo centro abitato costruito in quella posizione per ragioni difensive, che esisteva da più di un millennio. Fu attaccato e bruciato dalle truppe di Pompeo. Questo atto di distruzione ne determinò la fine, ma ha anche permesso la conservazione di alcuni reperti: le fiamme causarono il crollo degli edifici che lo componevano, preservando in una certa misura il loro contenuto.
Gli scavi in corso iniziarono nel 2018 e sono portati avanti dalla Sociedad de ciencias Aranzadi, un’organizzazione di ricerca in campo scientifico, storico e culturale basca. La mano venne trovata in corrispondenza della soglia di una delle case distrutte, sepolta da uno strato di carbone e mattoni bruciati, insieme a pezzi di ceramica etrusca, monete e ossa di animali domestici. È una mano destra ed è lunga circa 14 centimetri, più o meno la dimensione reale di una mano umana. Inizialmente, prima che venisse ripulita, l’iscrizione presente su una delle due facce non era visibile e per questo era stato ipotizzato che facesse parte di un elmo.
Successivamente è stata trovata l’iscrizione, che è composta da 40 simboli riportati su quattro righe.
I caratteri usati nell’iscrizione appartengono a una scrittura paleo-ispanica, cioè a uno dei sistemi di scrittura usati nei territori degli attuali Spagna e Portogallo prima della diffusione dell’alfabeto latino; probabilmente derivarono dall’alfabeto fenicio, lo stesso da cui discendono l’alfabeto greco e quello latino usato anche per scrivere le parole di questo articolo. Conosciamo però poco questi sistemi di scrittura perché le iscrizioni in lingue paleo-ispaniche che sono giunte fino a noi sono rare e molto brevi, e per questo difficili da interpretare.
Gli epigrafisti che stanno studiando la mano hanno chiamato il sistema di scrittura in questione “vasconico” dal nome dei vasconi. Javier Velaza, professore di filologia latina dell’Università di Barcellona e grande esperto di iscrizioni pre-romane, ha spiegato che il sistema grafico usato sulla mano è simile a un altro noto come sistema iberico, e probabilmente ne venne derivato, ma presenta alcuni caratteri diversi che probabilmente furono ideati per indicare suoni peculiari del proto-basco.
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Un carattere che ad esempio non è presente nelle altre scritture paleo-ispaniche è il simbolo simile alla lettera “T” che compare una volta sulla mano. Finora era stato trovato solo su due monete.
La convinzione che la lingua in cui è scritta l’iscrizione sia proprio questa è dovuta – oltre che alla provenienza del reperto – al fatto che la prima parola dell’iscrizione è molto simile a una parola del basco contemporaneo (che si chiama “euskara” in basco). «Siamo in grado di capire la prima parola, che è “SORIONEKU”», ha detto Joaquín Gorrochategui, professore di filologia indoeuropea dell’Università dei Paesi Baschi, che insieme a Velaza ha analizzato dettagliatamente la mano la scorsa primavera. “Sorioneku” infatti somiglia molto alla parola basca “zorioneko” che significa “di buon auspicio”, o “portafortuna”.
Il resto del testo dell’iscrizione è per il momento indecifrabile, anche se gli esperti pensano che potrebbero aver individuato altre due parole: una “es” che corrisponderebbe all’avverbio di negazione basco “ez”, e una forma che potrebbe essere riconducibile al verbo “egin”, che significa “fare”.
Nell’iscrizione sono presenti dei punti che sono stati interpretati come segni di interpunzione per separare le parole, ma nessuna ricorda i nomi propri baschi – in varie antiche culture europee si usava incidere il nome del proprietario sugli oggetti di valore. Se la mano aveva un qualche significato religioso, come “sorioneku” potrebbe suggerire, è possibile che tra le parole che vi sono scritte compaia il nome di una divinità, o di un luogo con un significato spirituale, ma per ora non è possibile determinarlo perché non sappiamo quasi nulla delle religioni paleo-ispaniche.
Fino alla scoperta della mano si pensava che i vasconi avessero cominciato a usare davvero la scrittura – oltre i pochi simboli trovati sulle monete – solo con l’arrivo dell’alfabeto latino, mentre ora si sa che scrivevano anche prima, con un proprio sistema. La mano di Irulegi rappresenta dunque una scoperta assai importante, anche per il fatto che il testo su essa riportato è relativamente lungo e potrebbe consentire, fra qualche tempo, di ottenere ancora più informazioni sulle origini della lingua basca.
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