Le testimonianze di torture e arresti di massa a Kherson
Hanno riguardato migliaia di cittadini ucraini, rapiti dalle truppe russe: molti sono ancora dispersi, altri raccontano le violenze subite
La liberazione da parte delle truppe ucraine della città di Kherson, avvenuta venerdì, è stata ampiamente festeggiata nelle strade e nelle piazze, anche con la visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky lunedì. Ma in questi giorni stanno anche emergendo nei racconti della popolazione locale testimonianze di arresti di massa, violenze e torture di cui gli occupanti russi si sono resi colpevoli negli scorsi mesi.
Come già successo in passato nelle altre città liberate, e in particolare a Bucha, vicino alla capitale Kiev, e Izyum, nel nord-est del paese, i civili ucraini raccontano di abusi da parte degli occupanti russi e denunciano la scomparsa di decine di persone, di cui non si hanno più notizie dopo un’iniziale detenzione, spesso per motivi sconosciuti. La città di Kherson, capitale regionale della zona sud-orientale, era stata occupata dall’esercito russo nelle prime fasi della guerra, a inizio marzo, ed è stata liberata l’11 novembre quando l’esercito russo ha deciso di ritirarsi oltre la sponda orientale del fiume Dnipro, pressato dalle forze ucraine.
Le autorità ucraine hanno parlato di almeno 600 civili rapiti, molti dei quali ancora scomparsi, mentre il presidente Zelensky ha accusato la Russia di «centinaia di crimini» nei confronti dei civili.
I racconti dei sopravvissuti seguono uno schema ricorrente: le truppe russe normalmente facevano irruzione in casa, gettavano i “sospetti” a terra, dopo averli accusati di nascondere armi. I civili venivano portati, con un sacchetto sopra la testa, verso centri di detenzione temporanea: uno era un ex carcere minorile nel nord della città, l’altro viene descritto come un carcere sotterraneo. Queste prigioni temporanee, che secondo testimonianze potevano ospitare oltre 500 persone, erano luoghi «di terrore e di tortura».
Gli ucraini ritengono che queste strutture fossero gestite da ufficiali della FSB, i servizi segreti russi eredi del KGB sovietico. Qui uomini e donne venivano interrogati, picchiati, terrorizzati dalle urla provenienti dalle altre celle, sottoposti a trattamenti con scariche elettriche. Alcuni venivano poi rilasciati («Gettati fuori dal palazzo mezzi nudi e feriti»), di altri si perdevano le tracce: in parte sarebbero stati trasferiti in prigioni in Crimea e in particolare verso il carcere Sizo di Sinferopoli, ma testimoni raccontano anche di esecuzioni sommarie.
La popolazione interessata da queste incarcerazioni di massa sarebbe stata numerosa: «Stiamo parlando di migliaia di persone», ha detto Oleksandr Samoylenko, capo del concilio regionale di Kherson. I soldati russi cercavano gli uomini con precedenti esperienze militari, chiedendo anche ai vicini di identificarli, ma perseguivano in generale ogni forma di potenziale dissenso, monitorando anche i social network.
Molte testimonianze raccontano di interrogatori, detenzioni e torture scattate per la pubblicazione di post, canzoni e poemi patriottici online. Ma anche un incontro casuale in strada con un militare russo, un tatuaggio nazionalista o qualche sguardo di troppo agli equipaggiamenti militari potevano costare l’accusa di essere una spia o un appartenente alla resistenza locale, che in città è sempre stata piuttosto forte: nei primi giorni dell’occupazione russa si erano tenute proteste in piazza.
Nei giorni della liberazione sono molti i cittadini alla ricerca di parenti o amici dispersi, mentre le autorità temono che nei prossimi giorni possano essere ritrovate fosse comuni, come accaduto a Bucha. Si procederà anche alla ricerca di prove fattuali dei crimini dell’esercito russo: a oggi esistono solo le testimonianze delle popolazione, peraltro simili a quelle di altre zone occupate dai russi, dove una ritirata meno organizzata aveva lasciato segni evidenti di omicidi e violenze indiscriminate.