Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato non vuole “schierarsi” a favore o contro i vaccini
Lo ha detto in tv difendendo la decisione del governo di anticipare il reintegro del personale sanitario non vaccinato
Lunedì sera nel corso del programma di Rai 2 Re Start è intervenuto il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, di Fratelli d’Italia, che tra le altre cose ha commentato la recente decisione del governo di Giorgia Meloni di anticipare al 31 ottobre la fine dell’obbligo di vaccino contro il coronavirus per il personale delle strutture sanitarie. Gemmato ha difeso la scelta del governo e ha invece criticato la gestione della pandemia da parte dei passati governi, definendola «ideologica». Gemmato ha detto che «per larga parte della pandemia l’Italia è stata prima per mortalità e terza per letalità quindi questi grandi risultati non li vedo». A quel punto il giornalista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo lo ha incalzato facendogli notare che senza i vaccini la situazione sarebbe stata molto peggiore. Gemmato ha risposto così:
«Questo lo dice lei, non abbiamo l’onere della prova inversa ma io non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini».
Gemmato, che è un farmacista e che è deputato da due legislature con Fratelli d’Italia, di recente aveva anche detto di essere contrario a incentivare la somministrazione di una quarta dose di vaccino per le persone che non corrono rischi di salute. Secondo Gemmato, nel considerare a chi somministrare i vaccini «si deve fare sempre un bilanciamento costi-benefici» e che «non ha senso farlo nelle persone che evidentemente non muoiono contraendo il virus, men che meno in quest’epoca storica in cui abbiamo il 2% di occupazione di terapie intensive».
Quelle di Gemmato non sono le prime dichiarazioni controverse di membri del governo Meloni a proposito della pandemia da coronavirus. Aveva fatto molto discutere, per esempio, la decisione del ministero della Salute di non rendere pubblici i dati giornalieri sull’andamento della pandemia, ma solo una volta a settimana. La scelta, che non è stata motivata, è stata giudicata da molti sbagliata perché impedisce una corretta comunicazione e la possibilità di tantissimi ricercatori, medici, giornalisti e cittadini di accedere a tutti i dati del coronavirus a livello regionale e provinciale.
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