Ci sono altre mummie preistoriche come Ötzi sulle montagne?
Un gruppo di ricercatori internazionali pensa che ci siano buone probabilità, al Museo Archeologico di Bolzano non sono d'accordo
Il ritrovamento di una mummia di più di 5.300 anni sulle Alpi tra Italia e Austria, nel 1991, fu un evento straordinario non solo per la gran quantità di informazioni che abbiamo ottenuto studiandola, ma anche perché non è si più ripetuto. Si è sempre pensato che fosse perché le circostanze della morte e della conservazione del corpo di Ötzi, come è nota la mummia, furono un caso del tutto eccezionale, probabilmente irripetibile.
Ora però un gruppo di ricercatori norvegesi, svizzeri e austriaci contesta quest’idea, e in un articolo pubblicato sulla rivista The Holocene sostiene che «le probabilità di trovare un altro corpo umano preistorico, in un contesto topografico simile a quello del giogo di Tisa, devono essere maggiori di quanto creduto in precedenza, dato che non serve una serie di eventi speciali per la conservazione di questo tipo di reperti, e dato che molte zone simili sono ora caratterizzate [per via del riscaldamento globale] da intensi fenomeni di fusione del ghiaccio».
Per capire le argomentazioni dell’articolo è bene sapere che i reperti archeologici emersi dai ghiacci non vengono trovati dentro o sotto i ghiacciai. Infatti qualunque cosa cada nel crepaccio di un ghiacciaio, oppure venga abbandonata sulla sua superficie, per esserne poi assorbita, viene inevitabilmente stritolata e distrutta col passare del tempo: i ghiacciai sono enormi fiumi di ghiaccio e si muovono incessantemente, per quanto lentamente. I ritrovamenti avvengono invece in quelli che sono chiamati con le espressioni in inglese “ice patches” o “cold ice fields”: banchi di ghiaccio e neve perenni che invece sono stabili. Di solito si trovano in zone pianeggianti isolate o all’ombra della cima di una montagna, e possono essere spessi qualche decina di metri.
Sui ghiacciai possono essere trovati degli oggetti, ma relativamente recenti: i resti umani più antichi mai rinvenuti risalgono al 17esimo secolo (peraltro non mummificati, ma scheletrizzati), più di frequente sono stati trovati alpinisti o soldati della Prima guerra mondiale.
Proprio perché i ghiacciai distruggono ciò che si trova nel loro “percorso” o cade al loro interno, nei primi tempi dopo il ritrovamento di Ötzi era stato ipotizzato che la mummia si fosse conservata perché la conca di roccia di 3 metri per 7 dove era stata trovata avesse mantenuto stabile il ghiaccio che conteneva, mentre un ghiacciaio “scorreva” al di sopra. Secondo gli autori dell’articolo pubblicato su The Holocene però non andò così.
Il primo firmatario è il norvegese Lars Pilø, uno dei maggiori studiosi della cosiddetta “archeologia dei ghiacciai”, l’ambito di ricerche di fatto sviluppatosi a partire dal fortuito ritrovamento di Ötzi. Lui e i suoi colleghi pensano che possa essere solo questione di tempo prima di trovare altri resti umani molto antichi nel ghiaccio perché, basandosi su un’analisi della conca rocciosa in cui fu trovata la mummia, e su una ricostruzione dei fenomeni storici di movimento e fusione di ghiaccio e attorno ad altri ghiacciai alpini nelle vicinanze, ritengono che Ötzi si sia conservato in un cold ice field che non si muoveva, cioè in un contesto analogo a quello dove sono state fatte tutte le altre scoperte archeologiche dei ghiacci degli ultimi decenni. Non si sarebbe insomma conservato in circostanze straordinarie, ma comuni per questo tipo di reperti.
– Leggi anche: Il ritiro dei ghiacci ci può insegnare delle cose sul nostro passato
Andreas Putzer, archeologo e curatore del Museo Archeologico dell’Alto Adige, dove Ötzi è conservato, è però molto scettico su queste conclusioni. «Si trovano corpi umani in alta quota solo in due casi», ha spiegato: «Se c’è stato un incidente, oppure se, come nel caso di Ötzi, la persona è stata uccisa. I ritrovamenti di oggetti dimostrano che i passi di montagna erano utilizzati dall’uomo anticamente, ma i proprietari di quegli oggetti ci rimanevano solo in caso di incidenti mortali o se uccisi».
Secondo Putzer, la teoria di Pilø e dei suoi colleghi sul cold ice field non inciderebbe sulla probabilità di trovare altre mummie, che invece è soprattutto legata all’occasionalità di morti in alta montagna avvenute in solitudine. Putzer riconosce che è vero che gli ice patches sono i luoghi in cui la probabilità di trovare oggetti preistorici è più alta, «ma questo non vuol dire che ci siano anche i proprietari degli oggetti».
Putzer contesta anche un altro aspetto dell’articolo su The Holocene. I suoi autori lamentano il fatto che le primissime teorie sulla morte e la mummificazione di Ötzi «siano ancora raccontate anche dopo che pubblicazioni scientifiche successive al 1995 ne hanno ripetutamente sottolineato l’implausibilità»: in realtà sia l’esposizione sulla mummia al Museo di Bolzano, sia la guida scritta dall’ex direttrice Angelika Fleckinger, sono aggiornate con le scoperte che si sono succedute negli anni. Ad esempio, quella che Ötzi morì alla fine della primavera o all’inizio dell’estate, e non in autunno come inizialmente ipotizzato: lo si sa dal 2003. «L’unica novità di cui parlano questi ricercatori è che il ghiacciaio, dove si trova il luogo di ritrovamento, non sarebbe mai stato in movimento», ha detto Putzer.
C’è però anche un aspetto su cui la ricostruzione su The Holocene si discosta da quella del Museo di Bolzano: secondo Pilø e gli altri Ötzi non sarebbe morto nel punto in cui poi fu ritrovato, ma il suo corpo sarebbe stato trasportato nella conca dall’acqua di fusione della neve e del ghiaccio su cui morì.
«Secondo noi è improbabile perché diversi oggetti sembra che siano stati depositati nella conca dall’uomo stesso», ha detto Putzer: «Soprattutto il suo arco che era appoggiato a una roccia in posizione verticale: è impossibile secondo noi che le acque dello scioglimento del ghiaccio abbiano trasportato l’arco fino alla posizione in cui è stato ritrovato migliaia di anni dopo. Questo non è spiegabile. La mummia stessa inoltre pesa 15 chili: per trasportare 15 chili ce ne vuole di acqua».
Le ricerche sulla mummia comunque sono ancora in corso. In particolare stanno proseguendo le analisi genetiche, rese sempre più approfondite grazie al continuo progresso in questo campo. Al Museo di Bolzano inoltre hanno intenzioni di fare nuove datazioni al radiocarbonio e di dendrocronologia per ricostruire ancora meglio la storia di Ötzi. «E la Sovrintendenza continua a sorvegliare la zona del ritrovamento e altri passi alpini in cui il ghiaccio si sta sciogliendo», ha concluso Putzer: «Magari spunterà anche un’altra mummia, anche se secondo me è poco probabile».