Il social network italiano che anticipò Facebook e fu cancellato per errore
Su Duepuntozero arrivarono a esserci centinaia di migliaia di giovani, della Lombardia e non solo: la più famosa era già Chiara Ferragni
di Marta Impedovo
Chiara Ferragni è stata una delle prime blogger di moda al mondo, è tra le influencer più note a livello internazionale e la più seguita in Italia. Il racconto della sua carriera viene spesso fatto iniziare nel 2009, con l’apertura del blog “The Blonde Salad”, e il suo grande successo viene ricondotto a Instagram, ma Ferragni era diventata popolare online già molto prima, tra il 2005 e il 2006. «C’era questo sito su cui è iniziato tutto, quando avevo sedici, diciassette anni, che era Duepuntozero», ha raccontato in un podcast.
Duepuntozero era un social network che tra il 2004 e il 2009 divenne molto popolare tra i giovani italiani, soprattutto in Lombardia. Per molti versi anticipò Facebook, che negli Stati Uniti nacque nello stesso anno, ma anche Instagram, che sarebbe arrivato solo diversi anni dopo. Prima di essere cancellato per errore e sparire per sempre, arrivò ad avere mezzo milione di utenti e a essere il nono sito più visitato in Italia. L’avevano inventato due ragazzi milanesi, che ai tempi avevano 16 anni, facevano il liceo a Milano e non ci guadagnarono mai niente.
«Sicuramente Duepuntozero è stato precursore di Facebook e di tutto quello che è venuto dopo» ricorda Veronica Ferraro, che cominciò a usarlo molto presto, prima di aprire il blog di moda The Fashion Fruit. Oggi Ferraro è un’influencer con 1 milione e 400mila follower su Instagram e dice che una piccola parte iniziale del suo bacino d’utenti era nata proprio su Duepuntozero. «La dinamica era molto simile a quella di Instagram: ognuno aveva la propria pagina, poteva pubblicare le proprie foto – con certi limiti – e ricevere i like. Flickr, che permetteva di pubblicare foto in alta definizione, ha preso piede subito dopo ma per certi versi era più limitato, poi sono arrivati i blog. Sicuramente Duepuntozero è stato un inizio: Chiara [Ferragni] è nata così. Noi ci siamo conosciute lì e mi ricordo che capitava che le persone ci fermassero per strada».
L’idea di fare Duepuntozero venne a Martino Di Filippo, che allora era un liceale appassionato di informatica, tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004. Aprì il sito insieme a un amico, Andrea Turati: «io gestivo tutta la parte tecnica mentre lui, che allora faceva il pr per una discoteca ed era più estroverso, inizialmente si prese il compito di parlarne e farlo conoscere in giro», spiega Di Filippo. In quello stesso periodo negli Stati Uniti stava nascendo Facebook, ma sarebbero passati quattro anni prima che cominciasse a diffondersi in Italia. Allora i social network più usati dai giovani erano MSN, che però era prevalentemente una chat, e la piattaforma di profili e blog MySpace, nata nel 2003.
Tutto cominciò perché a Milano c’era un negozio, Amedeo D., che esiste ancora oggi, e che ai tempi era molto frequentato e amato dagli adolescenti. «Il sito di Amedeo D. aveva una chat», ha raccontato Di Filippo, «che era frequentata da qualche centinaio di ragazzi e ragazze di Milano, persone con cui parlavo online e che poi mi capitava di incontrare in alcuni luoghi di ritrovo il sabato pomeriggio». Era una chat di solo testo ma era stata realizzata in modo poco professionale, e gli bastò smanettare un po’ per trovare il modo di caricarci delle foto. Quando anche altri cominciarono a imitarlo la cosa sfuggì un po’ di mano, e il negozio fu costretto a intervenire e togliere questa possibilità.
Di Filippo creò quindi un sito parallelo che chiamò Amedeo D. Duepuntozero, dove gli utenti che usavano la chat del negozio potessero tornare a pubblicare le proprie foto. All’inizio il funzionamento era molto rudimentale: gli utenti mandavano a Di Filippo le foto via chat e lui le metteva sul sito. «Mi piaceva l’idea di avere un sito con le foto perché fino a quel momento mi capitava di parlare con tante persone online, ma di non riconoscerle quando le incontravo dal vivo, semplicemente perché non sapevo che faccia avessero» ha spiegato.
Poco dopo un avvocato del negozio gli scrisse intimandogli di cambiare nome alla piattaforma, che così divenne solo Duepuntozero.
A vederlo Duepuntozero ricorda moltissimo Facebook agli inizi, se non altro per l’azzurro usato e la scritta del logo. Quando Di Filippo disegnò il sito non aveva idea di cosa fosse Facebook (anche perché in quel momento non esisteva o era nelle primissime fasi di vita), ma questa somiglianza è meno assurda di quanto si possa pensare. Ai tempi infatti la tecnologia permetteva di fare siti con una struttura molto standard e di usare un numero molto ridotto di caratteri di scrittura: di effetti grafici più innovativi se ne poteva introdurre qualcuno, ma appesantivano di molto il funzionamento dei siti. L’azzurro e il blu inoltre sono colori neutri e rassicuranti, di gran lunga i più utilizzati sul web, sicuramente in quegli anni.
Gli utenti di Duepuntozero potevano costruire un proprio profilo fatto di nickname (prima di Facebook era impensabile usare il proprio nome e cognome online), informazioni personali e fotografie, e pubblicare dei post testuali come su un blog. Il numero di foto che si poteva caricare era limitato quindi per pubblicarne una nuova bisognava cancellarne una vecchia: inizialmente se ne poteva mettere solo una, poi col tempo si arrivò a 24. Si potevano aggiungere gli utenti alla propria lista di amici, ma non era obbligatorio che l’“amicizia” fosse reciproca, quindi di fatto era qualcosa di simile a un “follow” su Instagram. Si potevano lasciare commenti agli altri utenti e mettere i like alle foto, che però si chiamavano “fave”, dall’inglese favourite. Era possibile sapere se gli altri erano online e quando avevano fatto accesso al sito l’ultima volta, ma non esisteva una chat dove gli utenti potessero parlarsi in privato: tutti i commenti erano pubblici e anche i profili.
Il fatto che esistesse un modo per “seguire” gli altri permise a Di Filippo di introdurre una classifica degli utenti con più seguito: quello che veniva chiamato “rank” o “ranking”. È qui che Chiara Ferragni cominciò a distinguersi e, nel giro di un paio d’anni, a diventare molto conosciuta all’interno della community del sito: il suo profilo era sempre tra i primi. «Quando andavi su Duepuntozero in homepage trovavi una specie di bacheca con le attività dei tuoi amici in ordine cronologico: non c’era un algoritmo che decideva cosa mostrare», spiega Di Filippo. «Il grande seguito al profilo di Chiara Ferragni è nato nello stesso modo in cui qualcuno diventa popolare a scuola o in qualsiasi altro gruppo limitato di persone, senza che un algoritmo lo agevolasse: una volta arrivata tra i primi utenti della classifica la cosa si è autoalimentata. Devo dire però che io intervenivo un po’ sulla classifica di popolarità per evitare che fosse troppo sbilanciata».
Inizialmente, quando ancora era usato da poche centinaia o migliaia di persone, l’assistenza agli utenti e la moderazione dei contenuti veniva gestita dai due fondatori, ma poi altri conoscenti vennero coinvolti nel lavoro. Ogni foto infatti veniva approvata manualmente prima della pubblicazione e, proprio come accade con tutti i social network oggi, divenne necessario impostare dei criteri sulla base dei quali decidere cosa approvare e cosa no.
«Ci è capitato di tutto ovviamente, dal ragazzo che provava a pubblicare le foto della ex nuda, a chi scriveva insulti e chi pubblicava foto porno per divertimento», racconta Di Filippo. «C’erano molte foto di nudi femminili più o meno espliciti e ogni volta dovevamo decidere se approvarli o no: mi sembra che alla fine ci affidassimo molto al buon senso, sicuramente i capezzoli erano vietati».
Quando Duepuntozero cominciò ad avere centinaia di migliaia di utenti capitava che ci fossero anche 40mila persone connesse tutte insieme. Il server a cui si appoggiava il sito era di una società che li affittava a poche decine di euro l’anno garantendo traffico illimitato, ma che non aveva mai immaginato di trovarsi a dover gestire un sito simile. «Io ero giovane e non ero consapevole dell’attenzione che richiedeva un social network così trafficato», racconta Di Filippo. «La società che mi affittava il server mantenne la promessa del traffico illimitato e la cifra annuale, ma dovette dedicare un server intero solo a Duepuntozero per evitare problemi di performance».
Facebook cominciò a essere usato in Italia tra il 2007 e il 2008, ma questo non ebbe un impatto negativo su Duepuntozero perché erano di fatto due cose molto diverse. Su Facebook si andava per trovare i propri amici e rimanerci in contatto, mentre Duepuntozero era pensato per «farti gli affari degli altri e ritrovare la ragazza che avevi visto al bar il giorno prima». Da questo punto di vista era molto più simile a quello che è oggi Instagram.
Era molto conosciuto nel nord Italia e gli utenti di Milano non sono mai scesi sotto il 25 per cento del totale. Ma nei suoi ultimi anni si diffuse molto anche altrove: in ordine le città dove era più popolare dopo Milano erano Roma, Bergamo, Torino, Brescia, Genova e Napoli. Gli utenti erano studenti delle scuole superiori e dell’università: le date di nascita andavano dal 1985 al 1993. In meno di tre anni, tra il giugno del 2006 e il febbraio del 2009, Duepuntozero ebbe più di 66 milioni di visite e 1,6 miliardi di pagine viste: la durata media di una visita era di 24 minuti.
Il successo della piattaforma cominciò ad attrarre alcune imprese che volevano sfruttarlo per fare pubblicità, oltre ad alcuni locali milanesi che volevano farsi conoscere tra i giovani, ma non se ne fece mai niente. A un certo punto a Di Filippo arrivò una proposta dalla Manzoni, la concessionaria pubblicitaria del Gruppo Espresso. «Mi offrirono mezzo milione di euro per mettere i loro banner pubblicitari su Duepuntozero per un anno, ma io non accettai», racconta Di Filippo: «qualcuno provò anche a comprarlo, ma a me non è mai interessato guadagnarci dei soldi, lo facevo perché mi piaceva. Anche oggi che ho trent’anni passati e faccio un lavoro tecnico, continuo a dedicarmi alla gestione di community perché mi piace avere a che fare con gruppi di persone da motivare, con cui generare discussioni ed engagement».
Nel 2009 Di Filippo aveva 22 anni, stava finendo l’università e non aveva molta idea di come continuare a gestire un sito di quelle dimensioni. Quello che per lui era sempre stato un hobby cominciava a diventare un lavoro, che si aggiungeva allo studio e ad altri lavori. Decise di mettersi in società con alcune persone poco più grandi che in quegli anni si occupavano di organizzazione di serate a Milano, con l’idea che potessero aiutarlo a rendere tutto il lavoro più strutturato.
«Quando abbiamo provato a mettere in piedi questa società però sono nati i problemi che hanno portato alla fine di Duepuntozero», racconta. Un giorno, poco dopo aver messo online una nuova versione del sito che era stato quasi completamente riscritto, successe un pasticcio e una persona della società cancellò per errore tutte le copie del sito esistenti. Duepuntozero andò offline e Di Filippo si rese conto che riportarlo online avrebbe comportato moltissimo lavoro, così decise di abbandonare l’idea.
Col senno di poi, vedendo l’enorme successo di Facebook in quegli stessi anni, molte persone che conoscevano e usavano Duepuntozero si sono chieste cosa sarebbe potuto diventare se le cose fossero andate in maniera diversa. Indubbiamente Duepuntozero aveva alcune funzionalità estremamente innovative per quegli anni: l’attenzione alle foto e la possibilità di mettere i like per esempio erano molto insolite. Anche l’intuizione di inserire in homepage l’elenco dei prossimi compleanni degli amici arrivò su Duepuntozero prima che su Facebook.
Nel suo podcast Muschio Selvaggio, il rapper Fedez, marito di Chiara Ferragni e a sua volta utente di Duepuntozero da giovane, dà una sua versione della storia: «ha avuto nelle mani Facebook ed è riuscito a non guadagnare un cazzo. Ci vuole del talento» dice riferendosi a Di Filippo.
Citando questa frase, Di Filippo spiega che «nella maggior parte dei prodotti innovativi la quantità di cose copiate o riprese da altro è sempre maggiore rispetto a quella delle invenzioni: vale per tutto e anche per Duepuntozero. Però mi sento di dire che non sono in totale disaccordo sul fatto che Duepuntozero sia stato un Facebook prima di Facebook: la differenza sostanziale stava in come io l’ho vissuta. Non l’ho mai pensato come un business. E mi va anche bene che mi dicano che sono stato scemo a non guadagnarci, perché non era il mio obiettivo».