Le conseguenze dell’arresto del procuratore capo degli arbitri di calcio
Rosario D’Onofrio ha fatto carriera nell'Associazione Italiana Arbitri nonostante fosse già ai domiciliari per traffico di droga
L’Associazione Italiana Arbitri (AIA) e più in generale i vertici del calcio italiano stanno facendo i conti con l’arresto di Rosario D’Onofrio, fino a sabato procuratore capo dell’AIA, accusato dalla Guardia di Finanza di far parte di una rete che distribuiva grandi quantità di marijuana e hashish tra Spagna e Italia. Secondo alcune intercettazioni, avrebbe avuto un ruolo anche in azioni intimidatorie e violente.
D’Onofrio è stato arrestato a Milano nell’ambito di un’inchiesta che ha coinvolto una quarantina di persone, 39 delle quali attualmente recluse. È accusato in particolare di aver fatto da corriere per l’organizzazione in Lombardia: secondo gli investigatori, per farlo si sarebbe servito anche di alcune sue conoscenze nell’esercito italiano, di cui era stato ufficiale.
Nel marzo del 2020 fu infatti intercettato mentre effettuava alcune consegne tra Milano e la Brianza vestito con una vera divisa dell’esercito, in modo da poter circolare indisturbato nonostante le restrizioni nel primo periodo della pandemia da coronavirus in Italia. Nel maggio dello stesso anno fu arrestato una prima volta proprio mentre smistava quaranta chili di marijuana.
Da allora era stato messo agli arresti domiciliari, ma nonostante questo aveva mantenuto la direzione della procura nazionale arbitrale dell’AIA — l’ufficio che si occupa di vigilare sull’operato degli arbitri di calcio — ricevuta nel marzo precedente. Secondo Repubblica, partecipava alle riunioni della procura grazie ai permessi del giudice di sorveglianza, e in questo modo avrebbe tenuto nascosti all’AIA i procedimenti in corso a suo carico.
Lo scorso ottobre era stato sospeso dall’incarico in attesa di giudizio da parte della Federcalcio (FIGC), ma non per le vicende citate, bensì per omessa indagine su un caso disciplinare. Dopo il recente arresto si è infine dimesso.
Ora l’AIA potrebbe intraprendere azioni legali nei suoi confronti, mentre il presidente della FIGC Gabriele Gravina si è detto «sconcertato». Da questa vicenda stanno nascendo inevitabilmente tanti altri dubbi che tirano in mezzo una parte del mondo del calcio italiano.
L’ex arbitro di Serie A Piero Giacomelli, per esempio, ritiene che D’Onofrio sia il responsabile della conclusione anticipata della sua carriera arbitrale, dato che fu lui a decidere di sospenderlo per un rimborso spese di 70 euro giudicato irregolare. Ma in un’intervista a Repubblica, Giacomelli è andato oltre al suo caso, accusando i dirigenti dell’AIA di essersi serviti di D’Onofrio: «Era il loro grimaldello politico. Comminando sanzioni indirizzava le carriere degli arbitri. Favorendo alcuni e punendone altri decideva a tavolino le classifiche di merito. Una dinamica che, portata al tavolo politico per le elezioni delle cariche, poteva spostare i voti delle sezioni regionali premiate».
D’Onofrio era entrato nella sezione disciplinare dell’AIA nel 2013, quando il presidente dell’associazione era ancora Marcello Nicchi, e nel 2021 era stato nominato a capo della procura arbitrale dal presidente tuttora in carica, Alfredo Trentalange. Lo scorso luglio, mentre era ai domiciliari, aveva inoltre ricevuto un premio per essersi distinto particolarmente nelle sue attività da procuratore dal Comitato nazionale dell’AIA.
La stessa associazione, per conto del presidente Trentalange, si dice «tradita» dal suo ex procuratore capo e parla di «un serio danno d’immagine». Ha inoltre specificato di non avere poteri istruttori per verificare quanto dichiarato dai suoi associati. Nel frattempo Gravina ha chiesto per conto della FIGC «un riscontro sulle modalità di selezione del procuratore capo», dato che la nomina è di esclusiva pertinenza del Comitato nazionale dell’AIA.
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