La Calabria aspetta ancora i medici cubani
Dovevano arrivare a settembre, per colmare le carenze del sistema sanitario regionale, ma per ora non si è visto nessuno e nel frattempo ci sono state diverse polemiche
Sono passati un centinaio di giorni dalla decisione della Calabria di far arrivare medici provenienti da Cuba per sostenere il deficitario sistema sanitario regionale. L’accordo era stato voluto dal presidente regionale Roberto Occhiuto, ex deputato di Forza Italia, eletto governatore con il sostegno della coalizione di centrodestra a ottobre 2021 e subito dopo nominato commissario straordinario alla Sanità della Regione. I medici cubani sono finiti nel frattempo al centro di un gran numero di discorsi e di polemiche, che hanno coinvolto anche l’Ordine dei medici calabresi, sindacati e opposizioni.
L’arrivo dei medici cubani era inizialmente previsto per settembre, ma al momento nessuno di loro è arrivato in Calabria, e tantomeno ha preso servizio. Un primo gruppo, fra i 40 e i 50 medici, è annunciato in arrivo «a giorni», dopo una serie di ritardi dovuti prevalentemente a questioni burocratiche, ma su cui potrebbe aver influito anche l’uragano Ian che ha colpito a settembre l’isola caraibica.
L’accordo fra la Regione Calabria e la società a partecipazione statale “Comercializadora de servicios médicos cubanos (CSMC)”, firmato a fine luglio, riguarda complessivamente 497 medici e dovrebbe aiutare per i prossimi tre anni il servizio sanitario regionale a rispondere all’ormai cronica assenza di personale medico specializzato.
I medici cubani, dopo una prima fase di tre settimane dedicate allo studio intensivo della lingua italiana e dei regolamenti sui rapporti medico-paziente, dovrebbero prendere servizio a tempo pieno, per 40 ore settimanali. La Regione Calabria li pagherà 4700 euro complessivi, di cui 1200 andranno direttamente ai medici, mentre 3500 saranno versati alla società di intermediazione.
I primi 41 medici che dovrebbero arrivare a breve in Calabria resteranno per le prime tre settimane nel campus dell’Università della Calabria di Arcavacata, vicino a Rende, in provincia di Cosenza: qui svolgeranno la prima parte della formazione, poi un ufficio della CSMC opportunamente aperto a Catanzaro dovrebbe, in collaborazione con la Regione, smistarli nei vari ospedali calabresi: dovrebbero essere affiancati per una prima fase di inserimento da medici italiani, ma anche da alcuni medici di lingua spagnola già operanti in Italia, probabilmente dei medici cubani che hanno già lavorato in territorio italiano.
I 41 medici cubani dovrebbero prendere servizio prevalentemente nella provincia di Reggio Calabria, dove gli organici sono più in sofferenza e in particolare negli ospedali di Locri, Polistena, Gioia Tauro e Melito Porto Salvo.
Il contratto firmato prevede che la Regione provveda non solo alla loro formazione, ma anche a fornire un’assicurazione, un alloggio comprensivo di mobili e servizi, un sostegno nell’apertura di un conto bancario. Sono garantite le ferie nelle festività italiane e in quelle cubane, ed è previsto un periodo di ferie di 30 giorni in patria ogni anno: la Regione pagherà i costi dei viaggi aerei, sia per queste ferie che per i viaggi di inizio e fine contratto. L’operatore medico lavorerà 40 ore settimanali e 173 mensili, con una retribuzione oraria (per quel che riguarda la parte a lui destinata di 1200 euro) di poco meno di 7 euro l’ora. In realtà la retribuzione ufficiale è di 34,5 euro l’ora, ma una parte consistente di questa finisce alla società statale cubana di intermediazione.
Alla Regione ogni medico costerà 56.400 euro l’anno (spese di alloggio e viaggio escluse), circa il 40 per cento in meno rispetto a un medico assunto con contratto a tempo indeterminato. In caso dovessero prendere servizio tutti i 497 medici previsti nell’accordo, la spesa della Regione sarà di 2,3 milioni di euro l’anno, solo per gli stipendi.
Il costo risulta essere inferiore a quello del mercato interno. Ricorrere alle prestazioni di un medico non assunto, ma contrattualizzato a gettone con “prestazione di opera professionale” (senza accordi internazionali) può costare alle varie aziende sanitarie fra i 40 e i 60 euro l’ora e quindi fra i 6000 e i 9000 euro al mese, per un lavoro a tempo pieno. Su tali retribuzioni intervengono molte variabili, dalle specializzazioni dei medici alle richieste e necessità del mercato.
I motivi del ricorso ai medici da Cuba non sarebbero però principalmente economici, secondo quanto detto dal presidente Occhiuto. La carenza di personale nella sanità calabra è stata stimata in oltre 2400 posizioni: riguarda medicina e chirurgia d’accettazione d’urgenza, pediatria, terapia intensiva e rianimazione, chirurgia generale, malattie dell’apparato cardiovascolare, ginecologia e ostetricia, radiodiagnostica, ortopedia e traumatologia. È stata causata dal blocco del turnover negli anni passati, deciso per far fronte all’enorme deficit di bilancio, ma anche da alcuni concorsi andati deserti.
Le pessime condizioni di lavoro e la continua emergenza rendono i posti di lavoro nella sanità calabrese poco appetibili anche per i medici locali, che preferiscono spostarsi in altre regioni: la mobilità è favorita dall’ampia richiesta di personale sanitario specializzato in tutta Italia.
La sanità calabrese è gestita da dodici anni da commissari indicati dal Governo, nel tentativo di risanare una situazione economica disastrosa, con un deficit vicino ai 3 miliardi di euro, ma la cui cifra effettiva non può essere definita, perché nel 2008, quando la Regione chiese per la prima volta aiuto al governo, il Consiglio dei ministri si accorse che non esistevano bilanci ufficiali.
– Leggi anche: La situazione della sanità calabra prima delle elezioni
Oltre un decennio di commissariamento non ha risolto la situazione, ma i necessari e consistenti tagli alla spesa, condizionata da forti infiltrazioni criminali, hanno portato all’impoverimento dell’offerta di servizi ai cittadini, che spesso preferiscono curarsi fuori regione e che di fronte ad emergenze devono fare i conti con ritardi e servizi parziali.
Negli anni di commissariamento, 18 ospedali sono stati chiusi e il ricambio dei dipendenti pubblici della sanità è stato bloccato: non mancano solo medici specializzati, ma anche infermieri, personale ospedaliero, laboratori, consultori, ambulanze. I posti letto, in 20 anni, sono diminuiti quasi del 60 per cento. L’emergenza si è ovviamente aggravata durante il periodo della pandemia.
La nomina del presidente regionale Occhiuto come commissario straordinario ha segnato un cambio di approccio rispetto agli ultimi anni, quando i governatori erano in un certo senso stati deresponsabilizzati rispetto al problema, affidato a vari commissari succedutisi anche con una certa frequenza.
La sanità è diventata la questione centrale a livello politico nella gestione della Regione: Occhiuto ha creato Azienda Zero, un nuovo ente di gestione con «autonomia imprenditoriale». Ha come compiti definiti «la programmazione, la razionalizzazione, l’integrazione e l’efficientamento nonché il controllo direzionale e gestionale dei servizi sanitari, socio-sanitari e tecnico-amministrativi del Servizio sanitario regionale».
Come manager dell’azienda, con ampi poteri, è stato scelto Giuseppe Profiti, 61 anni, di Catanzaro ma che ha svolto una lunga carriera nell’ambito della Sanità soprattutto in Liguria, dove era stato direttore dell’ospedale Gaslini dal 1998 e dove era attualmente consigliere del presidente regionale Giovanni Toti. Dal 2008 al 2015 fu presidente dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, di proprietà del Vaticano: finì in un’inchiesta su fondi pubblici utilizzati per rinnovare l’attico del cardinale Tarcisio Bertone nel 2017, con una condanna in primo grado a un anno per abuso d’ufficio. Profiti ha fatto ricorso in appello: quel processo invece deve ancora svolgersi.
L’accordo per i medici cubani è stato una delle prime misure della nuova gestione: secondo gli annunci di Occhiuto e Profiti seguiranno interventi più strutturali come nuovi concorsi e stabilizzazioni, ma anche altre misure definite “estemporanee” per far fronte all’emergenza.
Le prime iniziative sono state criticate dall’opposizione, che ne contesta una scarsa efficacia a fronte di una grande pubblicità, mentre il ricorso ai medici cubani era stato in un primo tempo fortemente osteggiato dall’Ordine dei medici calabresi. Ordine e sindacati sostenevano che prima si dovessero snellire le procedure di assunzione degli specializzandi delle università locali, anche con contratti a tempo determinato.
La contrapposizione fra Ordine e Regione è stata poi sanata in un incontro, con rassicurazioni su questo punto e fornendo garanzie per i requisiti necessari richiesti ai medici extra-Unione Europea per l’esercizio della professione. È rimasta sempre contraria invece la posizione di alcuni sindacati di categoria, fra cui CIMO-FESMED che ha presentato ricorso al TAR il 27 agosto.
CIMO-FESMED da sempre a fianco dei #medici nella tutela dei diritti e della sicurezza delle cure per i #cittadini. Doveroso ricordare che che in data 27 agosto 2022 è stato depositato il ricorso al TAR per il caso dei medici cubani in Calabria https://t.co/iat0eB2N57 pic.twitter.com/bcCmbkEe59
— CIMO (@cimomedici) September 30, 2022
Un altro motivo di critica all’operazione riguarda la forma di pagamento dei medici e della società cubana che li fornisce. Secondo un rapporto della Human Rights Foundation, organizzazione non profit con sede a New York e presieduta dall’ex scacchista Garri Kasparov, lo strumento delle missioni all’estero dei medici cubani può essere visto come “lavoro forzato” e “traffico di essere umani”. Secondo le accuse dell’organizzazione, la Comercializadora de servicios médicos cubanos, presieduta da Yamila Ramona de Armas Águila (che ha firmato anche l’accordo con la Regione Calabria), oltre a incassare la gran parte dei pagamenti per il lavoro dei medici non metterebbe al corrente i lavoratori della natura e dell’entità del contratto.
Sempre secondo il rapporto, i medici che abbandonano il progetto sono considerati “traditori della patria” e quindi non possono rientrare a Cuba per i successivi otto anni. I medici sarebbero sottoposti a un grande controllo da parte dei supervisori e firmerebbero un contratto che vieta loro di richiedere la cittadinanza del paese in cui sono ospitati, in particolare attraverso il matrimonio con “locali”.
La storia delle missioni all’estero dei medici cubani è iniziata negli anni Sessanta e ha spesso riguardato paesi in via di sviluppo. Durante e dopo l’epidemia di Covid numero e dimensioni delle missioni sono aumentate: oggi i professionisti impegnati in oltre 60 paesi sarebbero fra i 35 e i 50 mila e nel 2021 l’affitto dei medici ha portato nelle casse cubane una cifra stimata intorno ai 6 miliardi di dollari. È diventata una fonte di entrate molto importante, specie in questi anni di contrazione del turismo causata dalla pandemia.
Nella primavera del 2020 missioni di medici cubani avevano lavorato in strutture di Piemonte e Lombardia nei mesi più duri dell’emergenza legata alla pandemia. Recentemente alcuni dei medici cubani impegnati in Italia in quei giorni, quelli della “brigata Henry Reeve”, sono tornati in Italia, a Torino, Novara e Crema (dove avevano operato) per ricevere ringraziamenti ufficiali da sindaci e presidenti di Regione.
Per rispondere ad alcune delle critiche relative allo status dei medici contrattualizzati, durante l’approvazione del contratto da parte della struttura commissariale della Sanità calabrese è stata inserita la richiesta di una dichiarazione di disponibilità di accettazione dell’incarico professionale, da firmare da parte di ogni medico. Si vuole così garantire sia la “libera volontà di partecipazione al programma”, sia l’effettiva conoscenza dei termini economici dello stesso.