Tutti i risultati delle elezioni americane finora
Chi ha vinto e chi ha perso al Senato, alla Camera, tra i governatori e nei referendum popolari, messo in ordine
Non si conoscono ancora tutti i risultati definitivi delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, in cui si votava per l’intera Camera dei deputati e un terzo del Senato a livello federale, ma anche per i governatori in 36 stati e per i procuratori generali in 30 stati (il procuratore generale è l’importante funzionario che fornisce consulenza giuridica al governo statale).
Il dato più importante finora è che nessuno dei due partiti, Democratici e Repubblicani, ha ancora eletto abbastanza rappresentanti da avere una chiara maggioranza in una delle due Camere, e questa è già una notizia di per sé: nelle settimane precedenti all’elezione, si ipotizzava che i Repubblicani avrebbero potuto vincere agevolmente in entrambe le Camere con una larga maggioranza, creando la cosiddetta “onda rossa” (dal colore storicamente associato al loro partito).
Le cose però sono andate diversamente, e questo è ciò che sappiamo finora, in ordine.
Al Senato
Considerato che in caso di parità in Senato la vicepresidente (oggi la democratica Kamala Harris) può votare e sbloccare lo stallo, per ottenere la maggioranza i Democratici hanno bisogno di 50 seggi, i Repubblicani di 51. Al momento la situazione è 49 seggi a 48 per i Repubblicani, ma è tutto ancora aperto, perché mancano da assegnare i seggi della Georgia, del Nevada e dell’Arizona. Nel Nevada sembra molto probabile che vincerà il repubblicano Adam Laxalt, in Arizona è favorito il democratico uscente Mark Kelly. Per sapere chi la spunterà bisognerà probabilmente aspettare il 6 dicembre, quando si terrà il ballottaggio in Georgia, dove nessuno dei due candidati, il democratico Raphael Warnock e il repubblicano Herschel Walker, ha raggiunto il 50 per cento dei voti. Warnock ha ottenuto il 49,4 per cento mentre Walker il 48,5 per cento.
Se i Democratici dovessero mantenere il controllo del Senato, molto del merito sarebbe di John Fetterman, il Democratico che ha vinto il seggio, molto conteso, della Pennsylvania nonostante un grave ictus che aveva messo in crisi la sua campagna elettorale. Prima delle elezioni, quel seggio era del repubblicano Pat Toomey.
Alla Camera
Alla Camera si votava per eleggere tutti i 435 membri, e sembra che i Repubblicani otterranno la maggioranza (oggi la maggioranza è Democratica): al momento sono stati assegnati 207 seggi ai Repubblicani e 189 seggi ai Democratici. Qualsiasi partito, per avere il controllo della Camera, ha bisogno di almeno 218 deputati.
Il fatto che non ci sia ancora una vittoria molto chiara per i Repubblicani vuol dire che è stata una serata relativamente buona per i Democratici: il partito del presidente in carica normalmente va male – e sicuramente peggio di così – alle elezioni di metà mandato, a maggior ragione se si considera che Joe Biden ha un tasso di apprezzamento molto basso tra gli statunitensi. I Democratici hanno vinto alcuni seggi molto in bilico, che sembrava più probabile andassero al partito di opposizione, come il tredicesimo distretto del North Carolina e il tredicesimo distretto dell’Ohio. Ma, soprattutto, i Democratici non hanno perso alcuni seggi che si temeva sarebbero stati conquistati dai Repubblicani in Virginia e nel Rhode Island.
I Repubblicani sono comunque più vicini a ottenere la maggioranza alla Camera, anche grazie al fatto che quest’anno sono stati modificati i confini dei collegi elettorali, che in alcuni stati (come la Florida) sono stati ridisegnati per favorire principalmente il partito repubblicano. I Repubblicani hanno conquistato diversi seggi che in precedenza erano dei Democratici in Florida, nel New Jersey, in Virginia, nel Tennessee e nel Wisconsin, e sono favoriti anche in alcuni stati dove la gara è molto serrata, come New York.
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I governatori degli stati
Alle elezioni di metà mandato si votavano i governatori in 35 stati americani: non ci sono ancora i dati definitivi di tutti, ma qualcosa si può già dire. Sappiamo già che due stati che in precedenza erano governati dai Repubblicani, il Maryland e il Massachusetts, sono diventati Democratici: i nuovi governatori saranno rispettivamente Wes Moore, uno dei pochissimi governatori afroamericani della storia degli Stati Uniti, e Maura Healey, che sarà la prima governatrice apertamente lesbica.
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Anche tra i Democratici ci sono state varie delusioni, però. Due dei loro candidati più riconoscibili a livello nazionale, anche se non con grandi speranze reali di vittoria, sono stati sconfitti con un certo margine: in Georgia Stacey Abrams ha ottenuto soltanto il 46 per cento dei voti contro il Repubblicano Brian Kemp, mentre in Texas Beto O’Rourke ha perso con il 43,8% contro Greg Abbott, che aveva attaccato fortemente su temi come la regolamentazione delle armi da fuoco (su Beto in particolare non c’erano grandi aspettative).
In Florida, il governatore Repubblicano uscente Ron DeSantis è stato rieletto con un netto vantaggio, vincendo anche dove i Repubblicani andavano male da decenni, come nella contea storicamente Democratica di Miami-Dade. La vittoria di DeSantis non è stata inaspettata, ma è considerata comunque rilevante perché il governatore potrebbe diventare uno dei principali rivali di Donald Trump alle primarie dei Repubblicani in vista delle elezioni presidenziali del 2024.
I risultati dei referendum
In diversi stati si è votato anche su una serie di cosiddette “ballot initiatives”, ovvero dei referendum popolari che solitamente chiedono agli elettori di esprimersi su vari temi.
In cinque stati si è votato sull’aborto, e in tutti i casi ha vinto il fronte che chiede un accesso libero e sicuro all’interruzione di gravidanza. In California, Michigan e Vermont si è votato per inserire, in una forma o nell’altra, la protezione dell’accesso all’aborto nella costituzione statale, in modo da rendere più difficile il passaggio di eventuali leggi future che lo attacchino. In tutti e tre gli stati la proposta è stata approvata.
In Kentucky, invece, è stato rigettato un emendamento che avrebbe vietato nella costituzione statale il diritto all’aborto o il finanziamento a servizi legati ai diritti riproduttivi: nello stato l’aborto era diventato illegale subito dopo il rovesciamento di Roe v. Wade, e l’emendamento, voluto dai Repubblicani, avrebbe reso irreversibile questo divieto. In Montana non è passato un referendum dal testo molto confusionario, che avrebbe imposto grosse sanzioni penali agli operatori sanitari che non agiscano attivamente per preservare la vita di bambini nati in qualunque fase di una gestazione.
Un altro tema su cui diversi stati si sono espressi è stata la schiavitù. Gli Stati Uniti, in teoria, l’hanno abolita nel 1865 con la ratifica del Tredicesimo emendamento, ma nella Costituzione federale e in quella di una ventina di stati è stata inserita un’eccezione che permette di ridurre in servitù involontaria le persone che sono state condannate per un crimine. Da anni esiste un movimento per eliminare questa eccezione, perché centinaia di migliaia di persone incarcerate oggi vengono praticamente costrette a lavorare per poco o nulla, senza che i loro datori di lavoro rispettino alcun tipo di diritto dei lavoratori.
Sull’abolizione di questa eccezione nelle proprie Costituzioni statali si votava quest’anno in Alabama, Louisiana, Oregon, Tennessee e Vermont. L’eliminazione dell’eccezione per i carcerati è stata approvata in tutti questi stati a parte la Louisiana, dove l’opposizione alla misura rimane fortissima nella classe politica a maggioranza Repubblicana.
In quattro stati – Arizona, Connecticut, Michigan e Ohio – si è votato su misure che chiedevano di allargare o restringere le modalità di voto: negli ultimi anni, infatti, molti stati a maggioranza Repubblicana hanno cercato di far passare leggi che limitino l’accesso al voto in diverse circostanze e per diverse categorie, principalmente per rendere più difficile alle persone che tendono a votare di più per i Democratici, come le minoranze.
Per ora sono noti i risultati soltanto del Connecticut, che ha votato a favore dell’introduzione di un sistema di voto per posta e quindi per allargare il diritto al voto, del Michigan, che ha deciso ugualmente di allargare le modalità di voto, e dell’Ohio, dove invece il 77 per cento degli elettori ha votato per restringere l’accesso al voto soltanto ai cittadini statunitensi che si sono registrati per votare almeno 30 giorni prima delle elezioni. In Arizona si votava per aumentare i requisiti necessari per poter votare, ma sembra che la proposta non passerà.
Come accade ormai da anni, lo strumento referendario è stato utilizzato anche per chiedere la posizione degli elettori sulla legalizzazione delle droghe. Questa volta, i cittadini di Arkansas, North Dakota e South Dakota hanno votato contro la legalizzazione della marijuana, mentre Maryland e Missouri hanno votato a favore. Il Colorado ha fatto un passo in più, chiedendo agli elettori di esprimersi sulla legalizzazione dei funghi psichedelici. I risultati non sono ancora ufficiali, ma è piuttosto chiaro che il referendum sia passato e che quindi il Colorado diventerà il primo stato a legalizzarli.
Nel Nevada, poi, si è votato per aumentare il salario minimo statale a 12 dollari l’ora entro l’1 luglio 2024: i risultati non sono ancora definitivi, ma la misura dovrebbe passare.