Quanto è aumentato il prezzo del latte
Già di molto e potrebbe salire ancora a causa dei rincari dei costi di produzione, che stanno mettendo in difficoltà tutta la filiera
In Italia il prezzo del latte fresco secondo alcuni produttori potrebbe arrivare entro la fine dell’anno a costare non meno di 2 euro al litro al consumatore finale, un livello mai raggiunto. La ragione è ovviamente l’inflazione, ossia l’aumento generalizzato del livello dei prezzi, che in Italia ha raggiunto a ottobre l’11,9 per cento rispetto a un anno fa, ma che su alcuni prodotti, come per esempio il latte, si fa sentire in maniera particolarmente rilevante.
Il latte è uno dei beni di base della spesa delle famiglie e da inizio anno, secondo i dati ISTAT, si sono registrati aumenti nel prezzo al consumatore finale che vanno dal 15 per cento del latte fresco a quasi il 30 per cento di quello a lunga conservazione. Le quotazioni sono spinte in alto dai rincari dei costi dell’energia e dei mangimi per gli allevamenti, che hanno portato la filiera a ridurre la produzione per evitare di operare in perdita. Questo spinge ancora di più al rialzo il prezzo, creando un effetto amplificato che penalizza i consumatori e tutta la filiera
Questi rincari non sono solo in Italia. Secondo le stime dell’Osservatorio del mercato del latte della Commissione europea, il prezzo medio del latte crudo, quello che esce dalla stalla e non ancora lavorato, nell’Unione europea ha superato a settembre il livello record di 53 euro per 100 chilogrammi, in aumento del 42 per cento rispetto a un anno fa.
Con l’inizio della guerra in Ucraina, della conseguente crisi energetica, ma anche a causa della lunga siccità che ha compromesso la disponibilità dei foraggi, i prezzi dei prodotti destinati all’alimentazione del bestiame hanno raggiunto livelli altissimi in Italia: le quotazioni del mais di origine italiana sono passate da 257 euro alla tonnellata di settembre 2021 ai 363 euro attuali, con un incremento del 41 per cento, anche per il cereale di provenienza europea; la farina di soia costa il 29 per cento in più rispetto a un anno fa; i prezzi del fieno sono attualmente superiori del 57 per cento rispetto a ottobre del 2021, a causa dei mancati sfalci primaverili per assenza di pioggia.
Secondo ISMEA, un osservatorio pubblico del settore alimentare, questa dinamica è confermata anche dall’indice dei prezzi delle materie prime per gli allevamenti bovini da latte, che segna un incremento complessivo del 25 per cento nei primi nove mesi del 2022. Il che vuol dire che gli allevatori hanno sostenuto costi di produzione più alti di un quarto. L’aumento è guidato proprio dal costo dei mangimi (in aumento complessivamente del 35 per cento) e dell’energia (ossia elettricità e carburanti) in aumento di oltre il 70 per cento.
L’aumento dei costi ha indotto gli allevatori italiani a frenare la produzione, non solo per contenere le perdite ma anche per far fronte alle difficoltà di approvvigionamento di mangimi. Storicamente gli allevatori italiani hanno sempre dovuto operare con margini di guadagno estremamente ridotti, nonostante tantissimi interventi del settore pubblico a sostegno. E anche con l’aumento del prezzo di vendita, non solo continuano a non guadagnarci, ma talvolta ci perdono. Ed è per questo che molti allevatori stanno riducendo i volumi di produzione.
Dopo due anni in aumento, del 4,5 per cento nel 2020 e del 3,3 nel 2021, nei primi sette mesi del 2022 le consegne di latte hanno decisamente interrotto la crescita, aumentando solo dello 0,1 per cento rispetto agli stessi mesi dello scorso anno.
Queste dinamiche di settore si riversano poi sui consumatori finali. Secondo ISMEA, nei primi nove mesi dell’anno a fronte di un rincaro del 7 per cento per il latte fresco e del 10 per cento per il latte a lunga conservazione (rispetto allo stesso periodo di un anno fa) i consumatori hanno ridotto gli acquisti rispettivamente del 2,3 e del 3,4 per cento.
Ci sono tantissimi dati che mostrano i rincari per il consumatore finale, predisposti per lo più da associazioni di categoria e dei consumatori. Sono spesso diversi, ma tutti mostrano la stessa tendenza: il prezzo del latte al dettaglio sta aumentando, e non di poco.
Tutte le stime sono più o meno concordi nel dire che fino a marzo non si erano rilevati grossi cambiamenti nei prezzi al dettaglio benché le quotazioni alla stalla, sia in Italia che all’estero, risentissero già dei rincari dei costi dei mangimi e di quelli dell’energia. Negli ultimi mesi, però, c’è stato un aumento. Questo significa che, se in una fase iniziale le aziende produttrici e quelle della distribuzione avevano assorbito i rincari non facendo aumentare i prezzi al consumatore, riducendo quindi i propri margini di guadagno, negli ultimi mesi hanno dovuto trasferire parte dei rincari sul prezzo finale.
Tant’è che a inizio settembre Granarolo e Lactalis, i due principali produttori italiani di latte e concorrenti per dimensioni aziendali e per fatturato, avevano pubblicato un comunicato stampa congiunto in cui spiegavano proprio questo: «Nonostante entrambe le aziende abbiano assorbito autonomamente un’inflazione che oscilla tra il 25 e il 30 per cento, dalla primavera il prezzo del latte per il consumatore è cresciuto raggiungendo gli 1,75/1,80 Euro/litro (dato Nielsen) e potrebbe aumentare ulteriormente entro dicembre 2022», fino ad arrivare in media a 2 euro.
Secondo le stime di Coldiretti, a causa dei rincari delle materie prime, circa una stalla su dieci sarebbe a rischio chiusura, proprio perché i rincari delle materie prime sono talmente gravi che gli allevatori si ritroverebbero a operare in perdita anche con l’aumento del prezzo al dettaglio.
Ma i problemi si estendono per tutta la filiera del latte: gli allevatori vendono il latte crudo a quelle aziende che poi lo lavorano, lo confezionano e lo vendono alla distribuzione finale.
L’aumento dei costi dell’energia ha colpito moltissimo le aziende produttrici. Per esempio, per uno stabilimento che lavora il latte il gas è fondamentale: per produrre il latte a lunga conservazione la sterilizzazione del latte crudo avviene con il riscaldamento rapido a una temperatura di almeno 135 gradi, che deve essere mantenuta per alcuni secondi, e viene quindi raffreddato rapidamente a temperatura ambiente. Ma anche il latte fresco pastorizzato segue un procedimento simile, sebbene a temperature più basse. Tali trattamenti fanno in modo che gli eventuali microrganismi patogeni presenti nel latte crudo vengano uccisi. Alle procedure legate direttamente alla lavorazione del prodotto, si aggiungono poi anche altri costi, come quello del packaging, i cui materiali sono molto rincarati.
Alcuni produttori si trovano a dover chiudere gli impianti di lavorazione. È il caso di Latterie Vicentine, che da ottobre ha fermato la produzione di latte a lunga conservazione, quello più “energivoro”, perché richiede una lavorazione più elaborata.
Ma il fermo delle attività è stato annunciato recentemente anche da Latte Trento che, per continuare a fornire latte ai supermercati, ha deciso di bloccare la produzione di Trentingrana, un formaggio trentino, con la chiusura del caseificio di Pinzolo. In un’intervista a Il Dolomiti il direttore di Latte Trento Sergio Paoli ha detto: «Ho dovuto sacrificare alcuni formaggi per salvare il latte. Da 25 anni che sono qui fino a marzo scorso il latte è sempre stato in esubero e in crescita. Dalla primavera scorsa è andato tutto sempre peggio».
In passato esisteva il problema opposto: c’era talmente tanta produzione di latte che il prezzo era così basso che quasi non consentiva agli allevatori di coprire i costi. Esistevano per questo le cosiddette “quote latte”, ossia dei limiti alla produzione fissati a livello europeo per ogni paese membro. Lo scopo era quello di evitare che ci fosse troppo latte sul mercato e che fosse venduto a un prezzo troppo basso, che poi non avrebbe consentito ai produttori di far fronte ai propri costi.
I produttori che, per varie ragioni, volevano sforare il limite consentito potevano farlo, ma pagando poi all’Unione europea una tassa sulla quantità eccedente, che di fatto avrebbe dovuto funzionare da disincentivo. Sebbene il meccanismo potesse potenzialmente funzionare, in vari paesi, tra cui l’Italia, sono stati i governi a pagare con soldi pubblici questi importi sulle quantità in eccesso, sussidiando di fatto il settore e violando così le regole sulla concorrenza. Il meccanismo delle quote fu poi sospeso nel 2015.
Uno spezzone tratto da “Le tentazioni del dottor Antonio” di Federico Fellini, in cui l’attore Peppino De Filippo, nel ruolo del moralista dottor Antonio Mazzuolo, si ritrova ossessionato dal cartellone pubblicitario in cui viene raffigurata Anita Ekberg con un bicchiere di latte in mano e la scritta in alto “bevete più latte”.