Il diritto all’aborto sta vincendo in tutti gli stati americani in cui era previsto un referendum
In California, Michigan, Kentucky e Vermont ci sono già i dati definitivi, mentre in Montana si sta ancora contando
La possibilità di accedere a un aborto sicuro e legale è diventata uno dei temi centrali delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti quando, a fine giugno, la Corte suprema statunitense aveva rovesciato la sentenza Roe v. Wade, demandando a ciascuno stato la competenza di decidere come regolamentare l’interruzione di gravidanza. I politici Democratici candidati al Congresso o in cariche locali hanno puntato moltissimo sul tema in campagna elettorale, concentrandosi anche sul fatto che, dopo la sentenza di giugno, il 56 per cento degli elettori aveva definito la questione dell’aborto “molto importante” per decidere chi votare alle elezioni di novembre.
Gli elettori di cinque stati sono anche stati chiamati a esprimersi direttamente sul tema, votando per le cosiddette “ballot initiative”, ovvero dei referendum popolari che spesso vengono indetti su temi politicamente divisivi, come la legalizzazione delle droghe leggere o, nei primi anni Duemila, il matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Negli stati in cui ci sono già i dati definitivi hanno vinto con ampio margine le misure a favore del diritto all’aborto; in quelli in cui gli scrutini sono ancora in corso, i dati per ora indicano un vantaggio dei sostenitori dei diritti riproduttivi.
Dopo che, da decenni, a proporre iniziative popolari sull’aborto erano principalmente le organizzazioni antiabortiste che volevano restringerne l’accesso, in California, Michigan e Vermont si è votato per inserire, in una forma o nell’altra, la protezione dell’accesso all’aborto nella costituzione statale, in modo da rendere più difficile il passaggio di eventuali leggi future che lo attacchino. In tutti e tre gli stati, la proposta è stata approvata.
Nel Michigan, uno stato in cui un’ampia maggioranza degli elettori è a favore dei diritti riproduttivi, il referendum partiva da una legge del 1931 che vietava l’aborto e che non era mai stata abrogata, dato che la sentenza Roe v. Wade la rendeva comunque inapplicabile. Dopo la nuova sentenza, però, era stato proposto un referendum in cui si chiedeva di inserire nella costituzione statale «il diritto individuale alla libertà riproduttiva, incluso il diritto di prendere e attuare tutte le decisioni relative alla propria gravidanza». La portavoce del Partito Repubblicano nello stato, Elizabeth Giannone, aveva detto che «queste misure rimangono troppo estreme per il Michigan e siamo certi che saranno facilmente sconfitte alle urne a novembre». Il 55,5 degli elettori, però, ha approvato la misura.
In California si è votato per proteggere, in generale, la libertà riproduttiva delle persone «nelle proprie decisioni più intime»: è una formula che include l’accesso all’aborto ma anche quello ai contraccettivi, dato che c’è chi teme che uno dei prossimi obiettivi della frangia più estremista del Partito Repubblicano siano gli anticoncezionali. Il 65,5 per cento degli elettori ha votato a favore.
In Vermont, uno stato talmente favorevole all’aborto che neanche il governatore Repubblicano si è opposto al referendum, il 77,5 per cento dei votanti ha deciso di aggiungere alla costituzione statale una formula secondo cui «il diritto di un individuo all’autonomia riproduttiva personale è fondamentale per la libertà e la dignità di determinare il proprio corso di vita e non può essere negato o violato se non giustificato da un interesse statale imperativo, da raggiungere con i mezzi meno restrittivi possibili».
In Kentucky, invece, è stato rigettato un emendamento che avrebbe vietato nella costituzione statale il diritto all’aborto o il finanziamento a servizi legati ai diritti riproduttivi. Nello stato l’aborto è diventato illegale subito dopo il rovesciamento di Roe v. Wade e l’emendamento, voluto dai Repubblicani, avrebbe reso irreversibile questo divieto.
In Montana si attendono i risultati di uno dei referendum più controversi. Riguarda un progetto di legge che imporrebbe grosse sanzioni penali agli operatori sanitari che non agiscano attivamente per preservare la vita di bambini nati in qualunque fase di una gestazione. Quindi anche quelli nati nel corso dei rarissimi casi di gravidanze interrotte dopo 21 settimane (poco meno di 5 mesi), quando un feto può sopravvivere – per quanto molto difficilmente – al di fuori dell’utero. L’idea dei legislatori del Montana sarebbe di proteggere i bambini nati vivi dopo “aborti falliti”. Ma si tratta di casi di eccezionale rarità, in cui quasi mai è necessario un intervento medico: negli ultimi 12 anni, negli Stati Uniti i bambini nati vivi dopo un aborto fallito sono stati appena 143, e nel 96 per cento dei casi sono morti entro un giorno dalla nascita per malformazioni o complicanze avvenute durante la gravidanza. La legge dunque è scritta in modo confusionario e preoccupa i medici, perché il suo effetto sarebbe quello di limitare le cure palliative per i bambini nati vivi che però non hanno alcuna possibilità di sopravvivere.