Negli Stati Uniti si vota per le elezioni di metà mandato
Cosa si elegge, come è andata la campagna elettorale finora e cosa ci si aspetta da Repubblicani e Democratici: una guida
Oggi, l’8 novembre, negli Stati Uniti si tengono le elezioni di metà mandato (midterm elections, in inglese), che si chiamano così perché si tengono ogni quattro anni a metà del mandato del presidente in carica. Le ultime furono nel 2018, quando alla presidenza c’era Donald Trump. Quelle di oggi – che in alcuni stati andranno avanti fino alla mattina italiana di mercoledì – si tengono con il Partito Democratico che esprime il presidente, Joe Biden, e che ha la maggioranza in entrambe le camere del Congresso, seppur molto risicata al Senato.
Nelle elezioni di metà mandato, gli elettori sono chiamati a eleggere tutti i 435 membri della Camera dei deputati – il cui mandato dura due anni – e un terzo dei membri del Senato, che invece hanno un mandato di sei anni ma che non vengono eletti tutti nello stesso momento, per far sì che il Senato continui a riflettere gli equilibri politici del paese di elezione in elezione. In questo momento la situazione politica statunitense non è favorevole a Joe Biden, che ha un tasso di approvazione piuttosto basso e viene incolpato dai suoi avversari per il fatto che gli Stati Uniti stanno affrontando la peggiore inflazione dagli anni Ottanta.
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Cosa c’è in ballo a livello federale
Le elezioni di metà mandato sono importanti perché vengono spesso interpretate come un “referendum sul presidente” e possono rendergli molto più difficile il lavoro nella seconda metà del mandato. Storicamente, il partito al governo tende a perdere seggi durante le midterm, e senza una maggioranza alle camere è molto difficile che un disegno di legge voluto dal presidente o dal suo partito venga approvato, a meno di grossi compromessi.
Al momento, sembra improbabile che i Democratici riusciranno a mantenere la Camera dei deputati, mentre è possibile, anche se difficile, che non perdano la maggioranza al Senato.
Ci sono un paio di grossi temi che hanno aiutato molto la campagna dei Democratici negli scorsi mesi, benché i Repubblicani abbiano mantenuto una posizione di vantaggio nei sondaggi e abbiano potuto sfruttare in particolare il tema dell’inflazione. Il primo è stato il diritto all’aborto, e la necessità di difenderlo a livello federale dopo la criticatissima decisione della Corte suprema del paese (a maggioranza conservatrice) che questa estate aveva ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade, di fatto lasciando il potere ai singoli stati di decidere su questa questione. Il secondo è stato il fatto che molti dei candidati scelti dai Repubblicani si siano presentati con posizioni assai estremiste, soprattutto per il loro rifiuto di riconoscere la legittimità dell’elezione di Biden alla presidenza, allontanando in parte l’elettorato più moderato. Non è ancora chiaro, però, se il partito riuscirà a tradurre queste preoccupazioni in voti.
Nel caso molto probabile di una vittoria Repubblicana alla Camera, anche se i Democratici dovessero mantenere la maggioranza in Senato, Joe Biden perderebbe parecchia libertà di movimento nel far approvare le leggi al Congresso, soprattutto in un momento in cui è già molto impopolare. Sarebbe insomma improbabile vedere nei prossimi due anni il Congresso approvare leggi su temi come la transizione ecologica, l’immigrazione, l’ampliamento del diritto di voto, la regolamentazione delle armi, la riforma del sistema sanitario e la protezione del diritto all’aborto, tutte questioni che fanno parte del programma elettorale dei Democratici.
In questo scenario, si complicherebbe anche il lavoro della commissione di inchiesta che sta indagando sull’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, compiuto dai sostenitori dell’allora presidente Donald Trump per cercare di fermare la certificazione dell’elezione vinta da Joe Biden. I Repubblicani hanno già minacciato di chiudere la commissione e di aprirne invece un’altra sulle attività di Hunter Biden, il figlio di Joe Biden, in Cina. Non è la prima volta che Hunter è al centro dell’attenzione dei Repubblicani: alla fine del 2019 finì al centro di una teoria cospirazionista alimentata dai sostenitori di Trump.
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Cosa c’è in ballo a livello statale e locale
Non ci sono soltanto i risultati relativi al Congresso, però, da tenere d’occhio, perché in molti stati americani si vota anche per altro: quest’anno per esempio si eleggerà il governatore in 36 stati e il procuratore generale (l’importante funzionario che fornisce consulenza giuridica al governo statale) in 30 stati.
«Migliaia di persone si candidano per le legislature statali ogni due anni e molte delle campagne sono importanti ma sonnolente, imperniate su dibattiti attorno alle aliquote fiscali, i finanziamenti scolastici e le condizioni di strade e ponti», ha scritto Russell Berman sull’Atlantic. «Ma non quest’anno. Con i negazionisti Repubblicani dei risultati elettorali sulla scheda in diversi stati chiave, molti Democratici credono che la lotta per il potere nelle capitali degli stati questo autunno potrebbe finire per determinare l’esito delle elezioni presidenziali nel 2024».
Molte delle questioni che animano il discorso politico a livello federale, come la legislazione sull’aborto, le leggi che determinano chi può votare e come, o quelle che vietano la discussione di determinati temi nelle scuole, dipendono infatti dalle politiche dei singoli stati.
A ciò si aggiunge il fatto che, in posti come l’Arizona e il Nevada, l’8 novembre si vota per eleggere diversi funzionari che si occupano di elezioni: quelli che controllano i sistemi di voto, i dati degli elettori, collaborano con i funzionari locali per monitorare e segnalare eventuali irregolarità e approvano i risultati definitivi. Per queste delicate posizioni, i Repubblicani hanno candidato diverse persone che credono che Joe Biden abbia vinto le elezioni presidenziali del 2020 grazie ai brogli elettorali.
Donald Trump non è candidato ad alcuna posizione per le elezioni di metà mandato, ma ci sono moltissimi candidati Repubblicani che si rifanno alle sue idee più estremiste, tra cui Mehmet Oz in Pennsylvania e Herschel Walker in Georgia. La loro eventuale vittoria avrà anche conseguenze nel partito: potrebbe determinare un nuovo equilibrio tra l’ala più radicale (che si rifà a Trump) e quella più moderata, e potrebbe influenzare la competizione interna in vista delle primarie per le presidenziali del 2024, per le quali ci si aspetta che Trump annunci presto la propria candidatura.