Ci si aspetta poco dalla COP27
La conferenza sul clima dell'ONU è cominciata oggi in Egitto tra scarso entusiasmo e ambizioni limitate
Domenica è iniziata a Sharm el Sheikh, in Egitto, la COP27, cioè l’annuale conferenza sul clima organizzata dall’ONU. Come le 26 conferenze che l’hanno preceduta, la COP27 ha in generale lo scopo di riunire 196 paesi del mondo perché portino avanti delle iniziative condivise per contrastare il cambiamento climatico e scongiurarne gli effetti più dannosi per l’umanità, evitando di creare ulteriori problemi o ingiustizie.
A seconda di vari fattori – i leader che vi partecipano, la riuscita dei lavori preparatori, l’attenzione della politica internazionale nei confronti delle tematiche – ci sono COP che partono con grandi aspettative, come per esempio quella di Parigi del 2015, quando si raggiunse un grande accordo sulle emissioni, mentre altre sono eventi più defilati. Per esempio l’anno scorso, a Glasgow, le attese erano altissime e furono in buona parte deluse. Alla COP27 di Sharm el Sheikh le aspettative partono già molto basse.
Ogni COP – un nome che sta per Conferenza delle Parti, e le Parti sono i paesi che hanno firmato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, più comunemente indicata con l’acronimo in inglese UNFCCC – ha obiettivi precisi, legati a quanto fatto nelle COP precedenti.
Quest’anno, uno degli obiettivi principali mostra come le ambizioni della COP egiziana siano già ridotte. A Glasgow, un anno fa, l’obiettivo principale riguardava le emissioni, e in particolare la realizzazione di un accordo che consentisse di contenere l’aumento delle temperature globali medie sotto gli 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Questa è la soglia oltre la quale le conseguenze del riscaldamento globale dovrebbero avere effetti gravemente dannosi per l’umanità. Ma a Glasgow non fu possibile trovare un accordo definitivo, e oggi l’obiettivo degli 1,5 °C sembra praticamente irraggiungibile.
Per questo, alla COP egiziana l’obiettivo è diventato contenere l’aumento delle temperature entro 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e «lavorare sodo per mantenere vivo l’obiettivo» degli 1,5 °C.
Tra i temi probabilmente discussi ci saranno accordi per cercare di limitare l’utilizzo di carbone e gas naturale, oltre che per fermare la deforestazione. Ma secondo alcune analisi una delle questioni più dibattute riguarderà la finanza ambientale, cioè la necessità che i paesi con economie più sviluppate sostengano economicamente quelli con economie in via di sviluppo. Questi finanziamenti dovrebbero essere elargiti sia per aiutare i paesi più poveri nella riduzione delle emissioni sia per aiutarli a sostenere i danni e le perdite provocate dai disastri naturali.
Nel 2009 alla COP15 di Copenaghen era stato deciso che i paesi in maggiore difficoltà avrebbero ricevuto 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, ma quest’obiettivo non è mai stato raggiunto. Secondo i paesi in via di sviluppo, inoltre, questa somma è troppo bassa.
Ci sono tuttavia poche speranze che su questa e altre questioni a Sharm el Sheikh si raggiungano accordi significativi. Anzitutto perché non parteciperanno alcuni dei più importanti leader internazionali: ci saranno il presidente americano Joe Biden, il presidente eletto del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva e molti leader europei (tra cui la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni), ma non parteciperanno il presidente cinese Xi Jinping né il primo ministro indiano Narendra Modi, tra gli altri.
La COP27 non piace nemmeno a molti attivisti e agli ambientalisti, soprattutto perché il paese che la ospita, l’Egitto, è una dittatura dove i diritti civili e politici sono sistematicamente violati e repressi, e dove moltissime persone sono in carcere per reati politici o d’opinione. Le violazioni e gli abusi del regime egiziano sono una delle ragioni, per esempio, per cui la famosa attivista Greta Thunberg ha deciso di non essere a Sharm el Sheikh.
A complicare le cose c’è anche l’invasione russa dell’Ucraina, per due ragioni principali. Anzitutto per le ostilità politiche che si sono create tra gli stati, con l’Occidente che sta cercando di isolare diplomaticamente la Russia per spingerla a rinunciare alla sua guerra di invasione: durante alcuni recenti lavori di preparazione in Germania, per esempio, la delegazione russa è stata boicottata appena ha cercato di prendere la parola.
L’altra ragione, ben più grave, riguarda la crisi energetica provocata dalla Russia come conseguenza della guerra. A causa dell’invasione russa, i prezzi delle fonti d’energia si sono alzati enormemente e gli approvvigionamenti si sono fatti più scarsi e difficili da trovare per molti paesi. Questo ha rallentato l’adozione di fonti d’energia rinnovabili, e anzi ha portato molti paesi, soprattutto tra i più poveri, a tornare a ricorrere a fonti più inquinanti come il carbone.
– Leggi anche: Cosa sarà il cambiamento climatico, visto dall’Egitto