Qual è la nuova questione sull’ergastolo ostativo

Il governo Meloni ha approvato un decreto legge che di fatto lo conferma, e tra pochi giorni la Corte Costituzionale dovrà valutarlo

La porta di una cella di un carcere
(FRANCO SILVI/ARCHIVIO ANSA/DEF)
La porta di una cella di un carcere (FRANCO SILVI/ARCHIVIO ANSA/DEF)
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L’8 novembre la Corte costituzionale si riunirà e farà le sue valutazioni sul decreto legge approvato dal governo Meloni che ha di fatto confermato il cosiddetto ergastolo ostativo, cioè il tipo di regime di detenzione previsto dall’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario. L’ergastolo ostativo esclude da benefici come la liberazione condizionale, il lavoro all’esterno, i permessi premio e la semilibertà i detenuti condannati all’ergastolo per una serie di reati che non collaborino con la giustizia: che non diventino, quindi, “pentiti”.

La riunione della Consulta (viene chiamata così perché la Corte costituzionale si riunisce a Roma nel palazzo della Consulta) era fissata da tempo ed è questo il motivo per il quale il governo, nel corso del Consiglio dei ministri, ha fatto ricorso a un decreto legge che è un atto provvisorio (il parlamento poi lo deve convertire in legge entro 60 giorni, altrimenti il decreto decade) e che in teoria dovrebbe essere adottato in casi di “necessità e urgenza”. La Corte costituzionale nell’aprile del 2021 aveva giudicato l’ergastolo ostativo in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. 

L’articolo 3 della Costituzione dice, nella prima parte:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

L’articolo 27 dice:

La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

La Corte costituzionale, nell’aprile del 2021, aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo attraverso un’ordinanza, e quindi non un atto definitivo, e aveva previsto un anno di tempo perché il parlamento modificasse la norma secondo le indicazioni date dagli stessi giudici costituzionali. Nonostante una proroga concessa, il parlamento non era riuscito ad approvare la nuova legge nei tempi stabiliti lasciando la questione al nuovo esecutivo.

Il rischio temuto dal nuovo governo era che la Corte costituzionale, riunendosi l’8 novembre e ratificando che il parlamento non aveva riformato la legge, intervenisse con una sentenza di incostituzionalità immediata permettendo quindi a tutte le persone attualmente condannate all’ergastolo ostativo di accedere ai benefici di legge. Si sarebbe trattato di un tipo di sentenza che alcuni organi di stampa definiscono “svuotacarceri”.

Secondo le cifre fornite dal Garante Nazionale delle persone private della libertà nel 2021, in Italia i detenuti per reati ostativi sono 1.259, il 70 per cento degli ergastolani totali. In pratica, le persone detenute che scontano un ergastolo “normale” sono una netta minoranza. La norma dell’ergastolo ostativo, come ricorda il sito Altalex, è definita una “norma contenitore”. 

Dalla sua introduzione ad oggi ha visto un enorme incremento del catalogo di reati in esso contenuto tanto che si è reso necessario suddividere l’articolo in una serie di commi corrispondenti ognuno ad una fascia di reati: ai commi 1 e 1 bis sono elencati i reati di prima fascia ossia quelli di maggiore gravità; la seconda fascia è costituita dalle fattispecie di cui al comma 1 ter, che individua una serie di delitti non necessariamente riferibili alla criminalità organizzata che, pur essendo particolarmente riprovevoli posseggono una gravità inferiore a quella della fascia precedente; infine vi sono al comma 1 quater i reati commessi dai c.d. sex offenders.

La maggior parte dei detenuti condannati all’ergastolo non può quindi usufruire di quei benefici che sono stati introdotti nel nostro ordinamento a partire dagli anni Sessanta. Nel 1962 una modifica di legge incluse i condannati all’ergastolo tra coloro che potevano accedere alla liberazione condizionata, a patto che avessero scontato 28 anni di pena, poi ridotti a 26 con la legge Gozzini del 1986. La legge Gozzini prevede poi che il condannato all’ergastolo possa uscire dal carcere per il lavoro esterno e per i permessi premio “tenendo conto del percorso rieducativo” dopo aver espiato 10 anni di pena, mentre dopo 20 può usufruire della semilibertà. Infine, sempre la legge Gozzini stabilisce che la persona condannata all’ergastolo che dia prova di partecipazione all’opera di rieducazione possa avere, come gli altri detenuti, una detrazione di pena di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata con conseguente riduzione dei termini per l’ammissione ai benefici penitenziari.

L’ergastolo ostativo fa parte delle norme suggerite nel 1991 dal giudice Giovanni Falcone, allora direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia. L’obiettivo era spingere più mafiosi a collaborare con la giustizia e allo stesso tempo creare un forte deterrente. Il citato articolo 4 bis esclude invece dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di reati considerati particolarmente gravi «ove il soggetto condannato non collabori con la giustizia o che la collaborazione sia impossibile o irrilevante»: non si limita quindi al caso dell’ergastolo, vale anche per condanne più lievi, ma la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima solo questa pena.

Il detenuto a cui si applica l’articolo 4 bis deve scontare la pena interamente in carcere: non basta la buona condotta o un ravvedimento personale, l’unico modo per sottrarsi al regime legato a un delitto ostativo è la collaborazione con la giustizia. I sostenitori dell’ergastolo ostativo ritengono che sia ancora essenziale per combattere mafia, terrorismo e criminalità organizzata e per assicurare la cosiddetta “certezza della pena”. I critici, tra cui molti giuristi, sostengono invece che l’ergastolo ostativo sia in contrasto con la funzione del carcere che non dovrebbe essere solo punitiva, ma anche rieducativa. Il carcere, teoricamente, dovrebbe essere un luogo dove ravvedersi per poi tornare persone libere nella società.

La Corte costituzionale è intervenuta sul tema dopo che, in un processo che si stava svolgendo a Roma, la difesa di un imputato aveva sollevato un dubbio di costituzionalità della norma. Il giudice del processo ritenne che la questione fosse dirimente al fine dell’emissione di una sentenza e chiese un pronunciamento della Corte costituzionale. Il processo venne quindi sospeso: la Corte, appunto nell’aprile del 2021, si espresse chiedendo al parlamento di riformare la legge. 

Il contenuto del decreto legge varato dal Consiglio dei ministri è molto simile a quello che era previsto dalla riforma Cartabia e che fu approvato dalla Camera ma non dal Senato. In sostanza, l’orientamento del governo Meloni è piuttosto chiaro: l’ergastolo ostativo va mantenuto. Il decreto legge stabilisce che non sia però la collaborazione del detenuto l’unico strumento per accedere ai benefici di legge. Per usufruirne, il detenuto dovrà dimostrare di aver aderito a specifiche condizioni. Dovrà dimostrare di aver «adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna» o, se questo non sarà possibile, «dimostrare l’assoluta impossibilità di tale adempimento» allegando alla richiesta di usufruire dei benefici «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo» e «alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza».

Per valutare se il detenuto abbia interrotto qualsiasi collegamento con la criminalità organizzata, verrà tenuto conto delle «circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile». Verrà valutato il fatto che il detenuto abbia adottato iniziative nei confronti delle vittime, anche sotto forma di risarcimento.

I detenuti per reati connessi all’associazione di stampo mafiosa, di scambio politico-elettorale di tipo mafioso, violenza sessuale, su minore e di gruppo, tratta illecita di migranti, traffico illecito di sostanze stupefacenti, induzione e sfruttamento della prostituzione minorile e pornografia minorile non potranno comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena, o almeno 30 anni in caso di condanna all’ergastolo.

Di fatto, il decreto legge non porta grandi modifiche per i detenuti sottoposti al regime dell’ergastolo ostativo. Secondo i critici del decreto legge spetterà infatti ai detenuti l’onere di dimostrare il ravvedimento anche senza la collaborazione, rendendo così quasi impossibile accedere concretamente ai benefici penitenziari.

Giorgia Meloni si è dichiarata molto soddisfatta del decreto legge approvato nel primo Consiglio dei ministri. Ha detto, in conferenza stampa:

Abbiamo approvato un primo decreto molto importante per provvedimenti. Se ricordate, nella relazione che ho fatto in Parlamento avevo detto che la lotta alla criminalità organizzata era uno degli obiettivi del governo, e sono contenta che il decreto contenga una norma che va in questo senso, quella sull’ergastolo ostativo, una materia che ci sta a cuore.

L’Unione della camere penali, che rappresenta gli avvocati penalisti italiani, ha detto in un comunicato che il decreto legge «ha evidenti e gravi profili di incostituzionalità e, quanto ai supposti motivi di urgenza, di evidente illegittimità». In pratica, dicono gli avvocati, il parlamento ha avuto un anno e mezzo per legiferare e il fatto che ora si avvicini la data fissata dalla Corte costituzionale, l’8 novembre, «non può certo tramutarsi in una ragione d’urgenza». I penalisti dicono poi che il governo ha inserito “paletti” peggiorativi ai principi sanciti dalla Corte costituzionale. Questo genera un «gravissimo conflitto tra il legislatore ed il giudice delle leggi, un vero atto di ribellione del primo verso il secondo, in spregio degli assetti istituzionali e costituzionali che regolano quel rapporto». 

Il 25 ottobre Carlo Nordio, insediandosi al ministero della Giustizia, aveva detto: «l’esecuzione della pena, che deve essere certa, deve essere proporzionata, deve essere soprattutto equa, perché il primo giudice del giudice è l’imputato o il condannato. Se tu sei troppo blando ti disprezza, se tu sei troppo severo ti odia; se tu sei equo non dico che ti onori, ma certamente rispetta te e l’istituzione. La pena deve essere orientata alla rieducazione del condannato». Aveva poi aggiunto: «La certezza della pena non deve necessariamente coincidere con il carcere». In un’intervista per il libro scritto dal direttore del Foglio Claudio Cerasa, Le catene della destra, Nordio aveva definito l’ergastolo ostativo «un’eresia contraria alla Costituzione» aggiungendo poi che «il fine pena mai non è compatibile al fondo con il nostro stato di diritto».

Eppure il governo di cui fa parte Nordio ha poi approvato un decreto legge ispirato ad altri principi.

La Consulta, come detto, si riunirà l’8 novembre. Dovrà esaminare il decreto legge ed esprimersi in concreto. Dovrà infatti verificare in che modo il decreto legge ha un impatto sul caso per il quale venne chiesto il parere dei giudici costituzionali. Verrà valutato se il decreto legge impatta quindi in modo migliorativo, peggiorativo o neutro su quel caso. Se i giudici valuteranno che il decreto legge non incide sostanzialmente sul caso impugnato, e cioè in pratica non cambia nulla, potrebbero valutare incostituzionali anche le nuove norme. Se invece valuteranno che il decreto legge incide su quella vicenda potrebbero rimandare la questione al giudice che aveva sollevato il caso. Sarà lui a quel punto a stabilire se considerare che la questione dell’incostituzionalità sia stata risolta oppure se sarà necessario ripresentarla.

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