Tutti i problemi del reato sui “raduni pericolosi”
Sono molti, dal testo troppo vago alla sproporzione delle pene previste, e si teme potrà essere applicato anche ad altri eventi
Il nuovo reato sui “raduni pericolosi” è stato introdotto lunedì dal governo Meloni con un decreto legge, e presentato come un’iniziativa per contrastare i “rave party”, cioè le feste di musica techno organizzate senza permessi: la sua introduzione però sta causando molte polemiche dalle opposizioni e sollevando diversi dubbi da parte di giuristi e costituzionalisti. Tra i problemi principali della norma indicati dagli esperti ci sono il fatto che è scritta in modo troppo vago, l’eccessiva durezza delle pene previste e l’opportunità stessa di proibire preventivamente i rave party, dal momento che la possibilità di organizzare raduni è garantita dalla Costituzione.
La nuova fattispecie di reato è stata inserita nel codice penale all’articolo 434-bis, e anche se è stata presentata su molti media come “decreto anti rave” o con altre diciture simili, di fatto nel testo i rave party non vengono mai menzionati. Ai rave party hanno fatto esplicito riferimento la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che hanno giustificato la necessità della norma anche citando quello organizzato lo scorso weekend a Modena, e conclusosi lunedì in modo pacifico dopo un accordo tra i partecipanti e le forze dell’ordine.
Nel testo del decreto, invece, il reato è descritto come «l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica». Il testo che segue per maggiori spiegazioni è molto breve e poco specifico:
consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Per chi «organizza o promuove» il raduno è prevista una pena da tre a sei anni di reclusione e una multa da 1.000 a 10mila euro, mentre per chi partecipa viene solo detto che «la pena è diminuita»: anche in questo caso il testo è piuttosto vago, ma l’interpretazione prevalente lascia pensare che ci si riferisca a una riduzione fino a un terzo rispetto alla pena prevista per gli organizzatori. L’unica condizione molto chiara fissata dalla norma è che il reato si configura solo se al raduno partecipano più di 50 persone.
Dalle opposizioni sono arrivate moltissime critiche, soprattutto da membri del Partito Democratico (PD) e dell’Alleanza Verdi-Sinistra. Uno dei primi a sollevare dubbi, subito dopo la presentazione della nuova misura, è stato Andrea Orlando del PD, che è stato ministro della Giustizia: «Va letta con molta attenzione la norma anti-rave. Al netto delle pene spropositate, potrebbe non valere solo per rave», ha scritto su Twitter. Anche il segretario Enrico Letta l’ha descritta come «un gravissimo errore».
Il problema individuato da Orlando è quello che anche gli esperti definiscono il più preoccupante, cioè il fatto che il testo è abbastanza vago da poter essere applicato anche a molti altri tipi di raduni e manifestazioni che con i rave party non hanno niente a che fare: quelle più volte citate come esempio sono state le manifestazioni studentesche.
La giurista Vitalba Azzollini, che negli ultimi giorni è intervenuta più volte sull’argomento, ha scritto che con il nuovo reato «potrà essere sgomberata qualunque occupazione non autorizzata, pure quella del liceo, se l’autorità reputa ex ante, in modo discrezionale, che potrebbe risultare pericolosa». Il punto sollevato è che la norma non fornisce criteri per misurare la “pericolosità” a cui si fa riferimento, e che quindi potrà essere applicata con una certa discrezionalità. «Serve a dare un potere di sgombero», ha scritto ancora Azzollini.
In un’intervista al Corriere della Sera uscita mercoledì mattina, Piantedosi ha assicurato che l’intenzione sia quella di punire solo i rave party: «Trovo invece offensivo attribuirci la volontà di intervenire in altri contesti, in cui si esercitano diritti costituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento», ha detto.
Molti poi giudicano eccessiva la pena da tre a sei anni di reclusione prevista per gli organizzatori, anche perché quando il massimo della pena è superiore ai 5 anni, il codice di procedura penale (art. 266) ammette l’utilizzo di intercettazioni telefoniche durante le indagini.
Su questo tema c’è stata una certa confusione negli ultimi giorni, dovuta a una frase che secondo i retroscena politici Meloni avrebbe detto durante il Consiglio dei ministri, quando Piantedosi ha presentato il testo che individua la nuova fattispecie di reato. Piantedosi – stando ai retroscenisti, tra cui Francesco Verderami del Corriere – avrebbe citato la possibilità delle intercettazioni, e Meloni avrebbe risposto che non sono necessarie, visto che il reato riguarda per lo più ragazzi giovani e non “mafiosi” o “terroristi”.
Questa presunta dichiarazione di Meloni ha innescato diverse reazioni: anche fosse vero che Meloni non le ritiene necessarie, le intercettazioni sono già previste per un reato come quello configurato dal decreto. Il presidente dell’Unione delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, ha detto per esempio di non capire «perché il premier Meloni abbia voluto rivendicare di non avere dato il via libera alle intercettazioni». Ha poi aggiunto che secondo la sua interpretazione potranno essere adottate non solo nei confronti degli organizzatori, ma anche nei confronti dei partecipanti ai “raduni” descritti dal reato.
Gaetano Azzariti, costituzionalista dell’università Sapienza di Roma, ha detto a Repubblica che «a dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato».
Il reato prevede anche la confisca «delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato», che nel caso dei rave party sono solitamente mezzi di trasporto e attrezzature per mettere in piedi la festa, a partire da grandi casse per la musica: Piantedosi ha detto di puntare molto su questo aspetto come strumento di deterrenza a commettere il reato.
Non è chiaro però quali saranno precisamente gli oggetti di una eventuale confisca: dal momento che la norma pone forti basi per la “prevenzione” del reato, secondo alcuni esperti c’è persino la possibilità che vengano confiscati strumenti come gli account social utilizzati per organizzare il “raduno pericoloso”, facendoli rientrare tra «le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato».
L’ultimo punto critico rilevante che è stato sollevato riguarda il fatto che nel codice penale (art. 633) c’era già un reato che puniva «chiunque invade terreni o fabbricati altrui al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto», e quindi l’urgenza con cui è stata presentata la norma per contrastare i rave party secondo molti non è giustificata. La pena prevista per questo tipo di reato però è più bassa, e può arrivare a 4 anni se i responsabili sono più di cinque.
Rispetto a quello già esistente, l’elemento nuovo introdotto dal reato 434-bis è quello di punire l’invasione anche di edifici e terreni pubblici: si rischia quindi di creare il paradosso per cui a chi organizza un rave party converrà occupare una proprietà privata, anche facendosi pagare dai partecipanti al rave. Anche per questo si è parlato di sproporzione della pena prevista dal nuovo reato.
I rave party invece solitamente sono gratuiti, e per questo motivo nel 2017 una sentenza della corte di Cassazione ne fece rientrare uno tra i raduni garantiti dall’articolo 17 della Costituzione, secondo il quale «i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità». Le autorità possono vietarle solo per «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».
Parlando a Repubblica, l’ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick ha fatto riferimento all’articolo 17 sottolineando che non ci sono riferimenti a «pericoli per l’ordine o per la salute pubblica», come quelli indicati dalla nuova fattispecie di reato. Quest’ultimo cita solo “l’incolumità pubblica”, e forse in modo non casuale, tra quelli ammessi dalla Costituzione.
Nonostante le cautele usate dal governo nel presentare la norma e le molte precisazioni degli ultimi giorni con i continui riferimenti ai rave party, il problema sembra essere soprattutto che all’atto pratico ci saranno molte più libertà per chi deve fare rispettare la legge. Michele Laforgia, avvocato presidente dell’associazione La Giusta Causa, ha detto a Repubblica che «al momento del raduno, il potere e il dovere di intervenire e arrestare i presenti sarà delle forze dell’ordine, con facoltà molto più ampie di quelle già previste dal codice fascista. Un po’ troppo, se l’obiettivo erano solo le feste in campagna».
La nuova norma è già entrata in vigore, e il decreto-legge che l’ha introdotta dovrà essere approvato dalle camere entro 60 giorni a partire da lunedì 31 ottobre: la destra ha un’ampia maggioranza in parlamento che teoricamente permette di approvarla senza dover intavolare trattative con le opposizioni, ma dopo le recenti polemiche il testo potrebbe anche subire alcune modifiche.
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