La raffineria di Priolo e il petrolio russo
Un'inchiesta del Wall Street Journal racconta come il greggio russo raffinato nello stabilimento italiano finisca nelle pompe di benzina statunitensi, nonostante le sanzioni
Dopo le sanzioni decise da Stati Uniti e Unione Europea nei confronti della Russia per l’invasione dell’Ucraina, la raffineria Isab di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, in Sicilia, è finita in una “zona grigia” che da una parte ne mette in discussione l’operatività e il futuro e dall’altra rende lo stabilimento siciliano il problematico fulcro di un possibile aggiramento delle sanzioni.
Su questo secondo aspetto, e su come l’embargo americano al petrolio russo venga legalmente aggirato attraverso la raffineria di Priolo, si è concentrata un’inchiesta del Wall Street Journal. Il quotidiano americano ha scoperto che almeno 5 milioni di barili di greggio raffinato arrivano in vari stati americani dallo stabilimento siciliano. E lo stabilimento negli ultimi mesi, per motivi per certi versi paradossali, si è rifornito per il 93 per cento dalla Russia.
Questo genere di triangolazione è possibile perché, per una consuetudine consolidata da tempo sul mercato internazionale, benzina e altri derivati del petrolio vengono considerati originari del paese in cui vengono raffinati. I derivati del petrolio acquistati a Priolo dalle compagnie americane, prima fra tutte Exxon, sono quindi formalmente italiani.
A complicare ulteriormente la questione c’è lo status della proprietà della raffineria Isab: risulta essere della svizzera Litasco, che però è controllata al 100 per cento dall’affiliata austriaca della Lukoil, a sua volta controllata al 100 per cento dalla Lukoil russa. Lukoil è la seconda azienda petrolifera russa, ma a differenza della statale Rosneft non è interessata dalle sanzioni, né americane né europee, tanto che l’azienda opera ancora, con propri distributori, in undici stati americani.
La compagnia petrolifera statunitense Exxon, fra le principali importatrici dei prodotti raffinati a Priolo, ha confermato al Wall Street Journal di operare senza alcuna violazione delle sanzioni. L’inchiesta mostra comunque come, seppur nei confini della legalità, l’intero processo porti petrolio russo imbarcato da porti russi su navi di compagnie oggetto delle sanzioni americane ad arrivare nelle pompe di benzina statunitensi.
Per evitare la zona grigia in cui è finita la raffineria di Priolo, nonché ogni possibile futura questione legale, dopo l’approvazione delle sanzioni le banche italiane ed europee avevano smesso di concedere credito e garanzie alla raffineria Isab. Prima dell’invasione dell’Ucraina, quest’ultima comprava il greggio da raffinare da produttori di tutto il mondo: una quota tra il 20 e il 30 per cento veniva da Lukoil, la società russa che ha anche ampie attività estrattive, mentre il resto da altri fornitori, soprattutto dal Mar Nero, dal Medio Oriente e dall’Africa.
L’interruzione delle linee di credito non ha più permesso alla raffineria di Priolo di comprare greggio altrove, ma solo dalla Lukoil russa. La necessità economica di mantenere alti i livelli di produzione ha fatto quindi aumentare in modo significativo le importazioni italiane di petrolio russo: una crescita del 143 per cento nel primo semestre del 2022. Un paradosso in un periodo in cui l’Europa tagliava i suoi acquisti per non finanziare la guerra di Putin.
Tutto questo processo, compresa la successiva esportazione del petrolio negli Stati Uniti, è comunque destinato a interrompersi a breve. Il 6 dicembre diventa operativo l’embargo al petrolio russo deciso dall’Unione Europea sei mesi fa, per cui alla raffineria di Priolo resta un ultimo ordine di greggio russo da effettuare nelle prossime settimane. Poi si chiuderà l’anomalia dell’aumentata importazione di materie prime dalla Russia, ma rischia di chiudere anche l’intero stabilimento, per assenza di petrolio da raffinare.
I dipendenti di Isab sono mille, ma indirettamente l’azienda dà lavoro a circa altre duemila persone. Inoltre Isab è importante per tutte le raffinerie che fanno parte del polo petrolchimico, grazie a un costante passaggio di prodotti tra le diverse aziende. Nell’area industriale, che vale il 51 per cento del PIL della provincia di Siracusa, lavorano in totale circa diecimila persone. Il ridimensionamento o la chiusura di Isab avrebbe effetti anche sul vicino porto di Augusta, da cui nel 2021 sono passati 25 milioni di tonnellate di merci, di cui il 70 per cento erano prodotti petroliferi.
Il nuovo governo e in particolare i ministri Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso (rispettivamente di Economia e di Imprese e Made in Italy) hanno cercato di scongiurare questo rischio con una “comfort letter”, un documento ufficiale di rassicurazione legale verso le banche, che sottolinea come Isab e Lukoil non siano soggette alle sanzioni.
L’idea è di garantire un “ombrello legale” alle banche in modo che tornino a fornire prestiti e garanzie per permettere alla raffineria di acquistare petrolio altrove. Se questo non dovesse succedere, sono allo studio altre misure per evitare una possibile chiusura che potrebbe concretizzarsi fra circa un mese. Si è anche ipotizzato un acquisto da parte dello stato, ma la misura sembra complessa e soprattutto non praticabile in tempi utili.
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