Gli abusi nella ginnastica ritmica italiana
Tre ex atlete della Nazionale hanno raccontato a Repubblica di avere subito violenze psicologiche e umiliazioni pubbliche, la procura di Brescia ha aperto un'inchiesta
Negli ultimi giorni alcune ex atlete italiane hanno parlato pubblicamente degli abusi fisici e psicologici subiti quando erano adolescenti e frequentavano il centro federale di ginnastica ritmica dell’Accademia di Desio. La prima a raccontare la propria storia è stata l’atleta della Nazionale Nina Corradini. Dopo la sua intervista, hanno parlato pubblicamente anche altre ragazze e donne raccontando esperienze molto simili tra loro. Nel frattempo, la procura di Brescia ha aperto un’indagine e in mattinata il nuovo ministro dello Sport Andrea Abodi ha incontrato il presidente del CONI Giovanni Malagò e il presidente di Federginnastica, Gherardo Tecchi.
Il caso è cominciato il 30 ottobre quando Nina Corradini, che oggi ha 19 anni, ha raccontato a Repubblica le enormi pressioni, le offese e le umiliazioni subite dal 2019 all’interno dell’Accademia per soddisfare i parametri di peso della Nazionale italiana di ritmica. Corradini ha detto innanzitutto di aver voluto raccontare la sua storia per «dare voce a tutte le altre vittime di queste pressioni».
Corradini ha spiegato che veniva quotidianamente pesata con le altre compagne, «in mutande e davanti a tutti, sempre dalla stessa allenatrice», che segnava i dati su un quadernino e dava poi il proprio giudizio: «Cercavo di mettermi ultima in fila, non volevo essere presa in giro davanti alla squadra. L’allenatrice mi ripeteva ogni giorno: “Vergognati”, “mangia di meno”, “come fai a vederti allo specchio? Ma davvero riesci a guardarti?”. Una sofferenza». Il controllo del peso, ha detto Corradini, avveniva dopo la colazione: «Infatti per due anni non l’ho mai fatta. Ogni tanto mangiavo solo un biscotto, ovviamente di nascosto, mentre ci cambiavamo per l’allenamento. Mi pesavo 15 volte al giorno».
Per rientrare nei parametri di peso ha detto anche che, di nascosto, assumeva del lassativo: «Il lassativo mi disidratava e, non mangiando, non avevo più forze. Mi ammalavo, avevo poco ferro nel mio corpo. Una volta sono svenuta a colazione, ma le allenatrici mi hanno fatto andare lo stesso in palestra, pensavano fosse una scusa».
Il giorno dopo questo primo articolo, Repubblica ne ha pubblicato un altro in cui una seconda atleta, Anna Basta, ha raccontato un’esperienza molto simile. Basta è entrata nell’Accademia di Desio nel 2016, quando aveva 15 anni. Ha spiegato di aver avuto dei pensieri suicidi, di aver sofferto di attacchi di panico e di problemi alimentari che sono continuati anche dopo la sua uscita, avvenuta nel 2020. Repubblica scrive che Anna Basta, prima di lasciare l’Accademia, «aveva denunciato tutto “ai piani alti”, ma “nessuno ha mai fatto nulla”».
Oggi, su Repubblica, ha raccontato in modo dettagliato la sua storia anche l’ex campionessa mondiale di ritmica Giulia Galtarossa. Ha detto che «l’esperienza all’Accademia di Desio» le «ha rovinato la vita»: lì, ha cominciato ad avere gravi disturbi del comportamento alimentare che più tardi le sono stati diagnosticati. Ha detto di aver raccontato la propria situazione nel 2012 alle allenatrici e che tutte avevano però «minimizzato il problema».
Ha detto che veniva insultata e umiliata davanti alle compagne al momento del peso e che veniva pesata anche quattro volte al giorno: «Era diventato un problema anche bere mezzo litro d’acqua dopo ore di allenamento. Una volta un’assistente dello staff mi ha urlato in un ristorante, un posto convenzionato con la federazione. Stavo sbucciando una pera. Entra e mi guarda con occhi sgranati, per poi dirmi: “Giulia, tu ti stai mangiando una pera?” Non potevo. Uno o due etti cambiavano la giornata in palestra. Una volta mi hanno dato una dieta e alla fine c’era scritto un messaggio per me: “Abbiamo un maialino in squadra”».
Galtarossa dice infine di aver subito «il lavaggio del cervello»: «Per tanto tempo ho pensato fosse colpa mia e credevo davvero di essere grassa e brutta. L’unica mia colpa invece è essere rimasta in silenzio fino a oggi».
A seguito della denuncia pubblica di Nina Corradini e Anna Basta, la procura di Brescia ha aperto un’inchiesta. Per ora, però, non ci sono molte notizie in merito e non sono stati comunicati i nomi di allenatrici, allenatori o dirigenti eventualmente coinvolti.
Al di là di come andranno le indagini, quello che sembra emergere, come già avvenuto in passato nel mondo dello sport fuori dall’Italia, è un problema sistemico e che non ha a che fare con alcuni singoli casi isolati. Le testimonianze di Corradini e Basta hanno infatti dato modo a molte altre ginnaste, e non solo della Nazionale, ma anche di categorie inferiori e di altre discipline, di raccontare la loro storia.
Dopo l’intervista di Nina Corradini, la Federginnastica ha pubblicato un comunicato stampa: «Non tolleriamo alcuna forma di abuso (…). Sono state date disposizioni perché siano immediatamente informati la Procura Federale e il Safeguarding Officer», un organo indipendente della Federazione con competenze specifiche, psicologiche e legali, in materia di abusi e molestie e che avvierà ora una propria indagine interna.
Oggi si è infine svolto un incontro tra il nuovo ministro dello Sport e dei Giovani, Andrea Abodi, il presidente del CONI Giovanni Malagò e il presidente della Federginnastica, Gherardo Tecchi. Dopo l’incontro Abodi ha detto che «quello che emerge andrà valutato» dal tribunale di Brescia e dal tribunale federale, e che «di sicuro il confine tra il rigore e lo sconfinamento è una linea sottile. L’allenamento della ginnastica presuppone una preparazione fisica di un certo tipo. Ma le cose bisogna dirle agli atleti nel modo giusto, altrimenti si va oltre».
Malagò ha detto che è «giusto fare chiarezza e verificare tutto» perché «la salvaguardia degli atleti è al primo posto. Ma il movimento è sano, serio e rispettoso delle regole».
L’associazione Assist, che lotta per i diritti delle donne nello sport, ha a sua volta commentato dicendo che il rischio è che quanto sta accadendo venga raccontato «come una brutta eccezione». Per evitarlo, «al di là delle indagini doverose delle procure sportive e della procura della Repubblica» il ministero dello Sport dovrebbe istituire «un tavolo permanente di lavoro dove siano coinvolte realtà terze e indipendenti» che rappresentino i diritti delle atlete e che abbiano competenze ed esperienza in tema di contrasto alla violenza di genere.