In Israele si vota per l’ennesima volta
Saranno le quinte elezioni in quattro anni, e non è chiaro se ne uscirà una maggioranza stabile
Martedì primo novembre si terranno le elezioni parlamentari in Israele, le quinte negli ultimi quattro anni. La politica israeliana è da sempre estremamente frammentata per via della grande eterogeneità della società israeliana, cristallizzata in una legge elettorale che prevede un sistema proporzionale puro. A ogni elezione in parlamento finiscono una decina di partiti, quasi tutti assai litigiosi. La situazione si è poi complicata negli ultimi anni per una progressiva polarizzazione del dibattito politico e per la figura estremamente divisiva dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, capo informale della destra, tuttora sotto processo per corruzione.
Come le quattro che le hanno precedute, si teme che anche le elezioni del primo novembre genereranno un parlamento paralizzato, in cui sarà possibile formare una maggioranza di governo solo dopo forzature e acrobazie politiche.
Le elezioni erano state indette a giugno dopo un anno di vita del primo governo non guidato da Benjamin Netanyahu degli ultimi 12 anni. Il primo ministro Naftali Bennett, un nazionalista di destra, era sostenuto da una maggioranza molto eterogenea che andava dalla sinistra di Meretz a vari partiti di destra, passando per i principali partiti centristi e Ra’am, un partito moderato che rappresenta gli arabi israeliani. Bennett si era dimesso a giugno dopo varie polemiche e tensioni interne alla sua maggioranza. Da allora è in carica un primo ministro per gli affari correnti, Yair Lapid, leader del partito di centro che a meno di sorprese sarà il secondo più votato alle elezioni del primo novembre, Yesh Atid.
Rispetto alle ultime elezioni, le novità sembrano essere due: l’aumento di consensi per un cartello elettorale di due piccoli partiti di estrema destra, Potere Ebraico e il Partito Sionista Religioso, e le divisioni dei partiti che rappresentano gli arabi israeliani, che potrebbero ottenere meno seggi del solito.
Potere Ebraico e il Partito Sionista Religioso stanno guadagnando voti soprattutto grazie al leader di Potere Ebraico, Itamaer Ben-Gvir. È un avvocato di 46 anni molto noto nel mondo della destra israeliana, prima come attivista di destra e poi come difensore di nazionalisti ebraici che hanno compiuto omicidi e violenze contro i palestinesi.
Il fatto che sia entrato nella politica ad alti livelli di recente – è stato eletto in parlamento nel 2021 – lo ha reso una faccia nuova e attraente per molti elettori. Per rivolgersi a un pubblico più ampio gli è bastato moderare un po’, ma solo un po’, alcune delle sue posizioni più radicali. Reuters ha notato che Ben-Gvir non auspica più l’espulsione di tutti i palestinesi da Israele, ma solo di quelli che non ritiene «leali» verso lo stato israeliano (che da più di cinquant’anni occupa moltissime zone della Cisgiordania che la stragrande maggioranza della comunità internazionale ritiene spettino ai palestinesi). Un tempo Ben-Gvir aveva definito «abominevoli» le sfilate della comunità LGBT+: oggi sostiene che accetterebbe l’ipotetica omosessualità di uno dei suoi sei figli, ma ribadisce che le leggi dello stato dovrebbero comunque essere guidate da un’interpretazione conservatrice delle norme religiose ebraiche.
«Oggi Ben-Gvir è la figura più importante della destra israeliana dopo Netanyahu», ha detto al New York Times Nadav Eyal, noto commentatore politico e giornalista televisivo israeliano: «Non è soltanto popolare con l’elettorato conservatore, ma sta guadagnando consensi anche fra le persone che non votano». Al momento senza il sostegno di Potere Ebraico-Partito Sionista Religioso e la dozzina di parlamentari che dovrebbero eleggere secondo i sondaggi, i partiti della destra tradizionale faticherebbero a raccogliere i 61 parlamentari necessari per formare una maggioranza.
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Il raggiungimento della maggioranza da parte dei partiti di destra dipenderà anche dall’eventualità che alcuni partiti che rappresentano gli arabi israeliani riescano a superare la soglia di sbarramento, fissata dalla legge elettorale al 3,25 per cento. Se questi partiti non riusciranno a superarla i partiti medio-grandi, fra cui vari partiti di destra, otterranno una quota più ampia di seggi.
Gli israeliani musulmani di origine araba sono circa 1,8 milioni, circa il 20 per cento degli abitanti totali di Israele. Spesso tendono a votare per partiti che rappresentano i propri interessi, che fino a pochi anni fa si riunivano in un’unica alleanza trasversale per aumentare le possibilità di superare lo sbarramento. Ancora nel 2020 i partiti di Ta’al e Balad (sinistra), Hadash (sinistra radicale) e Ra’am (conservatori islamisti) si erano presentati in un unico cartello elettorale. L’anno successivo Ra’am si presentò da sola, mentre quest’anno anche Balad si è sganciata dalla vecchia alleanza per tensioni con gli altri due partiti legati alla composizione delle liste elettorali. Nessuno di questi partiti è mai riuscito a incidere significativamente nelle politiche dei governi israeliani, nemmeno sostenendoli ufficialmente come ha fatto Ra’am per l’ultimo governo Bennett.
Un’analisi citata dal Guardian stima che l’affluenza fra gli elettori arabi israeliani potrebbe scendere al 40 per cento, contro una media nazionale vicina al 70 per cento. Nel parlamento uscente i partiti che rappresentavano gli arabi israeliani controllavano 13 seggi. Al momento sembra possano ottenerne in tutto 7-8.
Il partito più votato alle elezioni a meno di enormi sorprese dovrebbe comunque risultare il Likud di Netanyahu, che ha impostato una campagna elettorale sul ritorno di un governo che abbia come principale priorità la sicurezza interna dopo mesi di attacchi palestinesi nei confronti di civili e militari israeliani (a cui Israele ha reagito con estrema forza, uccidendo soltanto nel 2022 almeno 125 militanti e civili palestinesi). Come dall’inizio dei suoi guai giudiziari, Netanyahu respinge le accuse nei suoi confronti spiegando che si trattano di un grande complotto dei suoi avversari nella politica e nella magistratura.
Secondo una media dei sondaggi messa insieme dal quotidiano Haaretz i partiti di destra alleati del Likud, compresa l’alleanza fra Potere Ebraico e il Partito Sionista Religioso, dovrebbero ottenere circa 60 seggi su 120. Gliene mancherebbe uno solo per formare una maggioranza: nel caso finisse così potrebbero cercare di convincere a entrare nella maggioranza due partiti di centrodestra che stanno facendo campagna contro il Likud e Netanyahu, per cercare di sottrargli voti: Unità Nazionale, guidato dal ministro della Difesa uscente Benny Gantz, e Israel Beitenu.