Lo sci di fondo sulla neve conservata d’estate
Si sta già facendo a Livigno e a Riale, nel nord del Piemonte, grazie allo snowfarming
di Gabriele Gargantini
Quando non c’è neve sulle piste, chi pratica sci di fondo agonistico si allena con vari sport di resistenza. Il più simile allo sci di fondo — di fatto la sua versione estiva — è lo skiroll: una disciplina con le sue gare, le sue nazionali e le sue regole, nella quale si usano ruote su telaio per andare su asfalto aiutandosi con un paio di bastoni da fondo. Così come lo sci su erba, anche lo skiroll fa capo alla FISI, la Federazione italiana degli sport invernali.
Con l’avvicinarsi della stagione e delle gare di fondo — la cui Coppa del Mondo inizierà a fine novembre in Finlandia e a gennaio farà tappa anche a Milano — agli atleti e alle atlete che lo praticano non basta più lo skiroll: devono iniziare ad allenarsi sulla neve.
Un modo per permettere loro di farlo è lo snowfarming, una tecnica di conservazione della neve artificiale. In Italia ci stanno pensando diverse località dell’arco alpino, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia. E ce ne sono due, Livigno e Riale, che già lo fanno da alcuni anni e sulle cui piste già questo fine settimana qualcuno sta praticando sci di fondo su neve artificiale tenuta da parte durante tutta l’estate.
Lo snowfarming prevede che tra marzo e aprile vengano realizzati enormi cumuli di neve artificiale, che per com’è fatta si conserva meglio di quella naturale. Questi mucchi sono ricoperti poi con uno strato isolante – segatura, cippato di legno o altri materiali isolanti – e con teli in tessuto sintetici, in genere bianchi e riflettenti. L’obiettivo, ovviamente, è proteggere la neve da sole, caldo e vento, così da evitare che si sciolga.
A Riale, nell’Alta Val Formazza, nel nord del Piemonte, lo snowfarming esiste grazie a Gianluca Barp, quarantaseienne imprenditore di origine veneta che lassù gestisce due alberghi e un negozio di prodotti tipici. Barp racconta che venne a sapere dello snowfarming nel 2018, durante una conversazione con Pietro Piller Cottrer, ex fondista vincitore di quattro medaglie olimpiche e al tempo responsabile del settore giovanile della Nazionale italiana di fondo. «Non avevo la più pallida idea di cosa fosse» ricorda Barp «e sul momento mi sembrò una pazzia, anche perché non avevo la forza economica per sostenere una iniziativa di quel genere».
Dopodiché Barp visitò alcune località che già facevano lo snowfarming – per esempio Davos, in Svizzera – e nel 2019, dopo un anno con molta neve, provò a fare qualcosa di simile, seppur inizialmente più artigianale, a Riale: «Per rendermi conto di quanto potevo riuscire a fare, sono salito sul gatto delle nevi e ho cominciato ad accumulare, e dopo una giornata a spinger neve ne avevo messi da parte 2.500 metri cubi».
Barp capì che lo snowfarming «non era impossibile da realizzare» e nel 2020 ci riprovò con neve artificiale protetta con strati isolanti di ovatta e teli “geotessili”, con fibre di alluminio «legati uno all’altro con un sistema di velcri e cuciture a filo», il tutto con un approccio simile a quello usato, più in grande, per cercare di preservare alcuni ghiacciai.
Dopo aver perfezionato una pratica «che ha regole generali ma in cui ognuno deve trovare la propria ricetta», quest’anno Barp, aiutato e supportato dall’amministrazione locale, è riuscito a preservare durante l’estate circa 8mila metri cubi di neve, con una perdita, anche a causa del grande caldo, pari a circa il 40 per cento di quella stoccata.
È difficile quantificare anno su anno i costi, su cui impattano soprattutto le spese per i teli e i macchinari, ma Barp parla, per quest’anno, di una spesa vicina ai 70mila euro.
In questi giorni, a Riale, la neve messa da parte ad aprile con lo snowfarming è stata spostata sulle piste con le ruspe e ha permesso – a circa 1.800 metri di altezza, dove ancora non c’è neve – di completare una pista di fondo ad anello lunga circa due chilometri e mezzo, sulla quale già in questo fine settimana è prevista la presenza di un centinaio di atleti di alcuni comitati regionali e provinciali.
Sempre in questi giorni lo snowfarming ha permesso l’apertura di una pista da fondo anche a Livigno, nell’Alta Valtellina, nel nord della Lombardia. A Livigno, che sta su un altipiano anche noto come “piccolo Tibet”, lo snowfarming è usato dal 2016 ed è sfruttato anche per organizzare, ad agosto, la gara di fondo Trofeo delle Contrade.
A Livigno la neve stoccata tramite snowfarming ha un volume di circa 30mila metri cubi: una parte è stata usata in agosto, una parte (tra il 20 e il 30 per cento) si è sciolta e un’altra parte è servita per realizzare una pista tecnica di circa un chilometro su cui, già in questi giorni, si stanno allenando gli atleti, in genere la mattina presto, quando ancora non fa troppo caldo. Tra gli altri, per preparare la Coppa del Mondo a Livigno a circa 1.800 metri di altezza, c’è anche il norvegese Johannes Hoesflot Klaebo, vincitore di cinque medaglie olimpiche.
Sia a Livigno che a Riale lo snowfarming consente anzitutto agli atleti che praticano sci di fondo di preparare su neve la stagione invernale. Per chi dallo skiroll passa allo sci, l’unica alternativa consiste infatti nel fare fondo oltre i tremila metri, sui ghiacciai, per esempio nella Val Senales, in Alto Adige. Oltre a essere logisticamente più complesso, lo sci di fondo ad alta quota non è però molto adatto, per questioni di preparazione fisica e per come è fatta la neve a quelle altitudini.
I principali beneficiari dello snowfarming sono quindi quelli che praticano fondo a livello agonistico, la cui permanenza in determinate località porta sì un po’ di soldi all’indotto, ma viene anche considerata in termini di promozione turistica.
Come ammette Barp, è impossibile recuperare tutti i fondi investiti nello snowfarming anticipando la stagione di qualche settimana, ma l’iniziativa può comunque portare benefici sul lungo termine. Dice inoltre di aver deciso già ora di riprovarci il prossimo anno, con l’obiettivo di “impacchettare” circa 10mila metri cubi di neve.
Non tutti, però, scelgono di puntare sullo snowfarming. Riccardo Dallio, responsabile del Centro Fondo di Passo Lavazè, sull’altipiano fra Trentino ed Alto Adige, dice che lo snowfarming è effettivamente «ideale se si vuole anticipare il più possibile la stagione e far sì che gli atleti professionisti inizino quanto prima la preparazione su neve», ma che a Lavazè – dove c’è la pista di skiroll più alta d’Europa, lunga tre chilometri e mezzo e con un poligono di undici piazzole per il biathlon – si è deciso «per questioni di costi e benefici, che non ne valga la pena» e che conviene «seguire il ciclo del freddo».
Secondo Dallio, «prima del 15 novembre sarebbe comunque impossibile aprire e lo snowfarming anticiperebbe l’apertura soltanto di circa dieci giorni». Inoltre, sul Passo di Lavazè «è difficile trovare un posto all’ombra per mantenere la neve».
Quando si parla di snowfarming – che i suoi promotori dicono essere comunque più ecologica rispetto all’uso di nuova neve artificiale – c’è poi chi ha una posizione critica legata a questioni ambientali ancor prima che economiche, in particolare quando si parla dell’uso della neve artificiale per competizioni estive.
Qualche tempo fa l’Istituto svizzero per lo studio della neve e delle valanghe aveva chiesto ad alcuni gestori dei comprensori sciistici delle località nell’arco alpino di lingua tedesca e a quelli della penisola scandinava la loro opinione sullo snowfarming: novanta gestori su cento conoscono lo snowfarming, e quattordici tra loro hanno espresso una posizione critica nei confronti della pratica.
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