Le forze che hanno aiutato Bolsonaro in Brasile
Al ballottaggio di oggi il presidente uscente può contare sull'appoggio di industriali agricoli, autotrasportatori ed evangelici, tra gli altri
Nelle quattro settimane passate dal primo turno delle elezioni brasiliane al ballottaggio previsto per oggi, domenica 30 ottobre, il candidato dell’estrema destra e presidente uscente Jair Bolsonaro sembra aver ulteriormente ridotto il suo svantaggio rispetto a Luiz Inácio Lula da Silva, candidato della sinistra e vincitore del primo turno con circa 5 punti di vantaggio sul rivale. Negli ultimi sondaggi la distanza si è ridotta ulteriormente, ricadendo all’interno del margine di errore: Lula resta favorito, ma sorprese sono possibili.
Bolsonaro sembrava politicamente compromesso dopo la pessima gestione della pandemia: a inizio 2022 veniva indicato lontano anche 18 punti percentuali da Lula. La rimonta è un risultato già considerevole. La sua presidenza è stata contraddistinta da scandali, dimissioni di collaboratori, licenziamenti di ministri e, fino a pochi mesi fa, dalla prospettiva di una recessione economica con inflazione superiore al 10 per cento.
Nonostante questo scenario decisamente poco favorevole a una rielezione, Bolsonaro ha mantenuto un sostegno piuttosto ampio, in netto contrasto con la bassa reputazione di cui gode a livello internazionale. Alla base della rimonta ci sono l’estrema polarizzazione della politica brasiliana, qualche limite nella candidatura di Lula e i segnali positivi arrivati dall’economia negli ultimi mesi.
Ma contano soprattutto il sostegno fedele e in gran misura incondizionato di alcune componenti importanti dell’elettorato e della società brasiliana: il settore agroindustriale e dell’allevamento, quello della sicurezza pubblica e privata, i rappresentanti dei camionisti e dei tassisti, le comunità religiose evangeliche pentecostali. Bolsonaro ha poi un seguito importante in larga parte del mondo industriale e in alcuni stati particolarmente interessati dal business dello sfruttamento del territorio, in testa quelli amazzonici.
La legge elettorale brasiliana non permette di ricevere finanziamenti da aziende o persone giuridiche, ma solo da persone fisiche: la campagna di Bolsonaro è stata finanziata all’80 per cento da queste ultime. Per Lula la percentuale è molto minore, basandosi sulle risorse di un partito più strutturato. Scorrendo l’elenco dei cinque maggiori finanziatori del presidente uscente si trovano due industriali (uno del settore alimentare e uno dell’acciaio), un pastore evangelico, un rappresentante del settore edile e delle infrastrutture. Più in generale, 33 dei 50 maggiori investitori hanno legami con il mondo del business agricolo, secondo un’analisi di Reuters.
Il settore agricolo e dell’allevamento in Brasile è caratterizzato da grandi possedimenti e aziende di notevoli dimensioni, dalle capacità di influenza politica molto rilevanti sia a livello locale che federale. La convergenza con il presidente Bolsonaro è avvenuta per una condivisione di valori molto conservatori, comuni nel Brasile rurale, ma anche per le scelte favorevoli compiute dal suo governo. L’apertura alla liberalizzazione delle armi è stata apprezzata dai possidenti terrieri, così come il superamento di molti vincoli ambientali.
Bolsonaro è poi molto critico, a differenza di Lula, con il Movimento dei Lavoratori Senza Terra (MST), che mette in discussione i tradizionali diritti di proprietà sui campi. Ha inoltre appoggiato i latifondisti di fronte ad alcune rivendicazioni del popolo indigeno e ha garantito che non verranno introdotte tasse sull’esportazione come quelle in vigore in Argentina, una misura temuta soprattutto dai produttori di soia utilizzata come biocarburante.
Il settore agroindustriale vale il 28 per cento del PIL (prodotto interno lordo) brasiliano ed è in modo compatto a favore del candidato di destra: un convoglio di trattori era presente alla tradizionale sfilata militare di Brasilia per i festeggiamenti dell’anniversario dell’indipendenza del Brasile (7 settembre).
Anche altre componenti del mondo industriale sono rimaste fedeli a Bolsonaro, avendo sfruttato durante il suo primo mandato le mancate chiusure delle attività durante la pandemia da coronavirus (che ha causato 685.000 morti nel paese), alcuni investimenti pubblici in infrastrutture, sgravi fiscali, l’alleggerimento delle norme e dei controlli ambientali. Quello del mondo industriale è però un appoggio con molte eccezioni, in particolare nel comparto delle multinazionali, che considerano l’isolamento internazionale del Brasile di Bolsonaro un possibile problema.
Un più facile accesso alle armi e la retorica sul diritto alla protezione personale sono apprezzate dall’affollato comparto della sicurezza, pubblica e privata.
La squadra di governo di Bolsonaro ha un numero di militari ed ex militari senza molti precedenti, e il presidente ha sempre difeso gli agenti di polizia nei numerosi casi di denunce di violenza. In Brasile ci sono oltre 5 milioni e mezzo di dipendenti o ex dipendenti della polizia e dell’esercito: nelle ultime elezioni presidenziali, nel 2017, valevano da soli il 5 per cento dell’elettorato. Fra questi l’88 per cento si definisce di destra o centrodestra, meno del 3 per cento di sinistra. A questi numeri vanno aggiunti i circa 600.000 impiegati nella sicurezza privata. La famiglia Bolsonaro, soprattutto attraverso i tre figli impegnati in politica, ha spesso espresso il proprio sostegno anche alle milizie paramilitari presenti nei quartieri più complessi e spesso collegate a episodi di violenza o al traffico di droga.
Il consenso delle categorie degli autotrasportatori e dei tassisti, storicamente vicine alle posizioni di destra, è stato consolidato con una attiva politica di finanziamento pubblico, con contributi una tantum a fondo perduto per rispondere all’aumento del prezzo dei carburanti. Le misure sono state più numerose negli ultimi mesi, così come quelle destinate alle famiglie più povere: la sinistra ha accusato il presidente di un uso di soldi pubblici a fini elettorali.
L’appoggio e la mobilitazione delle chiese pentecostali è stato poi un elemento fondamentale della rimonta elettorale: le congregazioni religiose condividono con l’estrema destra i valori ultra-conservatori, nonché la demonizzazione di Lula e della sinistra, accusati di voler portare il «demonio» e il comunismo in Brasile. Queste chiese raccolgono ormai un terzo dei fedeli brasiliani e sono molto efficaci nel portare voti anche dai settori della popolazione normalmente più distanti da Bolsonaro.
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Il presidente uscente è poi il candidato di tutto un ampio settore economico legato allo sfruttamento del territorio: commercianti di legname, imprese petrolifere, agricoltori in cerca di nuovi terreni per coltivazioni o allevamento, cercatori d’oro clandestini. L’amministrazione Bolsonaro ha ridotto al minimo le tutele ecologiche e i divieti di trivellazione, permettendo lo sfruttamento economico anche di aree protette e aumentando in modo notevole la deforestazione dell’Amazzonia. Ad esempio nello stato amazzonico di Roraima, al confine con il Venezuela, Bolsonaro grazie alle promesse di legalizzare la ricerca dell’oro e gli insediamenti industriali nei territori indigeni si è garantito un 62 per cento dei consensi, rispetto al 18 per cento di Lula.
Queste componenti costituiscono la base del voto bolsonarista, poi ampliata grazie a un uso intensivo e spregiudicato dei social network (con la diffusione costante di false notizie). L’estrema polarizzazione della politica brasiliana ha ridotto i potenziali consensi di candidati più moderati e creato schieramenti di elettori pronti a dimenticare gli errori del proprio candidato di riferimento, considerato comunque l’unica risposta possibile per evitare la vittoria di quello avverso.
La candidatura di Lula, per quanto forte, ha mostrato limiti nella capacità di rinnovare la propria offerta politica rispetto al passato e si presta agli attacchi del presidente uscente sui temi della corruzione.
Bolsonaro sta infine sfruttando l’attuale parziale rimbalzo economico dopo l’uscita dalla fase pandemica: gli ultimi dati scongiurano la recessione e indicano una crescita del PIL dell’1,7 per cento su base annua. L’inflazione rimane alta, come del resto in gran parte del mondo (con un maggiore peso, però, sul potere d’acquisto delle fasce più povere), ma la disoccupazione è in rapido calo ed è scesa ai livelli più bassi dal 2016.
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