Perché le banche centrali aumentano i tassi di interesse
Per tenere sotto controllo l'aumento dei prezzi, ma è un compito molto difficile e che rischia di portare a una recessione
Da mesi le banche centrali di tutto il mondo stanno aumentando i tassi di interesse. Lo fanno per tenere sotto controllo l’inflazione, ossia l’aumento generale del livello dei prezzi, che ovunque sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese. Per esempio, in Italia a ottobre i prezzi sono risultati più alti dell’11,9 per cento rispetto a un anno fa, mentre a settembre nei paesi che adottano l’euro l’aumento era stato in media del 10 per cento.
Sono rincari importanti, che non si vedevano dagli anni Settanta, e sono generati anzitutto dall’aumento del costo dell’energia, causato dalla guerra in Ucraina, ma anche da tutte quelle conseguenze economiche della pandemia che hanno reso più costose e a volte introvabili molte materie prime. Le banche centrali quindi hanno il compito di mettere in pratica un serie di misure per far sì che i prezzi si abbassino, la principale delle quali è l’aumento dei tassi di interesse.
L’inflazione colpisce tutti, perché i redditi e gli stipendi non si adeguano subito al carovita, ma pesa molto di più su chi ha redditi minori, su chi destina la maggior parte delle proprie entrate ai consumi di sostentamento, come spese alimentari, medicine, bollette e così via. L’ISTAT ha calcolato che a settembre l’inflazione per la fascia più povera della popolazione italiana è stata di quattro punti percentuali più alta rispetto alle famiglie più abbienti. Per questo viene chiamata comunemente “tassa sui poveri”, perché con i rincari il loro reddito diventa ancora più basso e spesso si esaurisce.
È l’iniquità di questo fenomeno che rende la lotta all’inflazione così importante.
Questa prerogativa spetta alle banche centrali, ossia le istituzioni finanziarie pubbliche che emettono monete e banconote e a cui fanno capo tutte le decisioni di politica monetaria. Ce n’è una per ogni paese o area che condivide la stessa valuta: i paesi che adottano l’euro (che rappresentano la cosiddetta “Eurozona”) hanno la Banca Centrale Europea, gli Stati Uniti la Federal Reserve, il Regno Unito la Banca d’Inghilterra e così via.
I tassi di interesse sono lo strumento principale a disposizione delle banche centrali per l’indirizzo della politica monetaria, ossia quell’insieme di decisioni che orientano l’andamento della moneta, dei mercati finanziari e soprattutto dell’inflazione. Sostanzialmente sono i tassi a cui le banche centrali prestano alle altre banche e rappresentano quindi il costo del denaro.
Quando vengono ridotti l’obiettivo è stimolare l’economia: bassi tassi di interesse invogliano a prendere a prestito denaro per comprare cose o investire, appunto perché i tassi dei prestiti e dei mutui si abbassano. Per esempio, le persone comprano più case, così si assumono più operai per costruirle o ristrutturarle; questi a loro volta avranno più lavoro e maggiore possibilità di spesa, e così l’economia cresce.
Quando invece i tassi vengono aumentati l’obiettivo è opposto. Si vuole infatti “raffreddare” un’economia che sta crescendo troppo, e che in gergo viene definita “surriscaldata”. È un’economia in cui le persone vogliono consumare molto di più di quanto il sistema riesca a produrre: la domanda supera di molto l’offerta, con un conseguente aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione.
Semplificando molto, con tassi più alti fare investimenti e consumi diventa meno conveniente: per esempio, diventa più costoso chiedere un mutuo per comprare una casa, un prestito per comprare un’auto, o un finanziamento per aprire una nuova impresa. Il risultato è che spesso consumatori e imprenditori rimandano gli investimenti, provocando così un rallentamento dell’economia e dunque una diminuzione dell’inflazione: si compra meno, si investe meno, e i prezzi si abbassano.
C’è però un effetto collaterale: se l’economia si “raffredda” troppo si rischia una recessione, dalla quale poi può diventare complicato uscire. Per questo le banche centrali hanno un compito particolarmente delicato: devono far rallentare l’economia a sufficienza in modo da mettere sotto controllo l’inflazione, ma non troppo. Quest’equilibrio è difficilissimo da raggiungere, perché gli effetti dell’aumento dei tassi si vedono di solito dopo mesi, e non ci sono indicatori affidabili per prevedere come andranno le cose.
Si tratta però di un rischio che le banche centrali devono prendersi, seppur con qualche risvolto polemico del mondo politico, che invece vorrebbe l’economia in eterna crescita. Il controllo dei prezzi è esattamente il motivo per cui esistono questi istituti. Per fare un esempio, lo statuto della Banca Centrale Europea individua come suo obiettivo principale la stabilità dei prezzi e un’inflazione entro il 2 per cento nel medio periodo.
Nelle economie moderne, questi istituti finanziari sono indipendenti, ossia non possono essere messi sotto controllo dalla politica, proprio per evitare il rischio che, in nome di una crescita senza limiti, i cittadini debbano fare poi i conti con un costo della vita che non possono permettersi.