L’ipotesi del tempo effettivo nel calcio
Degli attuali 90 minuti se ne giocano a fatica 60, ma una modifica sostanziale potrebbe avere un grosso impatto sul gioco
È probabile che le partite di calcio durino 90 minuti per via di un compromesso. Nella seconda metà dell’Ottocento, quando le squadre britanniche giocavano ognuna con le sue regole, capitò probabilmente che prima di una partita tra chi le faceva durare un’ora e chi le faceva durare due ore prevalse la via di mezzo dei 90 minuti, divisi in due tempi da 45 ciascuno. Da allora ogni partita, dalla finale dei Mondiali alla Terza categoria, ha una durata base di 90 minuti, a cui si aggiungono di volta in volta i minuti ritenuti necessari a recuperare le perdite di tempo.
In realtà, però, è piuttosto raro che nelle partite delle competizioni più importanti, per squadre e per nazionali, il pallone sia in gioco per più di un’ora. È il motivo per cui, da ormai qualche anno, saltano fuori discussioni e ragionamenti sull’introduzione nel calcio del tempo effettivo, cosa che prevederebbe di fermare il cronometro quando la palla non è in gioco, come già si fa nel rugby o nel basket, e di cambiare la durata delle partite: dai 90 minuti relativi “più recupero” ai 60 effettivi.
Nella sua storia, anche recente, il calcio ha cambiato tante regole: le sostituzioni che erano tre ora sono diventate cinque, sono solo trent’anni che il portiere non può prendere con le mani una palla passata con i piedi da un suo compagno ed è giusto da qualche anno che esiste il VAR. A differenza di altri sport di squadra, il calcio non ha però mai toccato in modo drastico le sue regole essenziali e le sue dinamiche basilari.
Per il calcio il tempo effettivo sarebbe quindi una svolta senza precedenti, che potrebbe cambiare approcci, risultati e modi in cui le partite sono viste e raccontate. Sarebbe secondo molti “un’opzione nucleare” per eliminare le perdite di tempo e risolvere la mai del tutto corretta compensazione portata dai minuti di recupero decisi arbitrariamente e introdotti già a fine Ottocento quando ci si rese conto che altrimenti i calciatori in vantaggio avrebbero fatto apposta a tergiversare in attesa della fine della partita (forse, stando a certi resoconti, dopo che un portiere buttò apposta la palla fuori dal campo).
Eppure, per quanto drastica e calcisticamente rivoluzionaria sia la soluzione del tempo effettivo, sono in molti a parlarne apertamente, di solito per dire di essere a favore. In Italia lo hanno fatto, tra gli altri, gli allenatori Stefano Pioli e Luciano Spalletti, ma anche Pierluigi Collina – ex arbitro e presidente della Commissione arbitri della FIFA, l’organizzazione che governa il calcio mondiale – il quale ha detto:
«Se oggi guardi le statistiche vedi che ci sono squadre che giocano 52 minuti, squadre che ne giocano 43 e altre che ne giocano 58. Se sommi tutti questi tempi in un campionato la differenza di tempo giocato in un campionato diventa grande. Un’altra cosa sulla quale fare una riflessione è: io spettatore pago un biglietto per vedere, allo stadio o da casa, 90 minuti di calcio ma in certe partite ne vedo di giocati più o meno la metà».
Anche secondo il presidente della FIFA Gianni Infantino «non è accettabile che, se diciamo che il calcio è un gioco sui 90 minuti, poi si gioca solo per 46, 47 o 48 minuti». Più in generale, sono ormai diversi anni che l’IFAB, l’associazione internazionale che può decidere se e come cambiare le regole del calcio, prende in considerazione, quando pensa a come poter eventualmente cambiare certe regole del calcio, la possibilità di valutare il passaggio al tempo effettivo per migliorare e velocizzare le partite.
In un paio di occasioni sono state giocate partite sperimentali che, insieme ad altre possibili nuove regole, comprendevano il tempo effettivo. Una fu nel 2017, su iniziativa dell’ex giocatore Marco van Basten — allora responsabile dell’innovazione tecnologica per la FIFA — e un’altra è stata nel 2021 nel quadrangolare tra squadre giovanili Future of Football Cup (indipendente dal progetto FIFA “Future of Football”).
Nel 2017 il tempo effettivo fu limitato agli ultimi dieci minuti mentre nel 2021 è stato sperimentato all’interno di partite con due tempi da 30 minuti ciascuno, con conto alla rovescia e con il cronometro che veniva bloccato ogni volta che si fermava il gioco. In entrambi i casi il tempo effettivo è stato sperimentato in partite con sostituzioni volanti, rimesse laterali battute con i piedi ed espulsioni temporanee al posto dei cartellini gialli.
Quando si parla di tempo effettivo in Italia, si dice spesso che la Serie A è un campionato in cui si tende a giocare meno rispetto agli altri campionati esteri e ai principali tornei internazionali, in genere in riferimento alle difficoltà che le squadre italiane incontrano da tempo in Champions League.
In realtà, recenti dati elaborati dalla società di analisi Opta dicono che nella Premier League inglese in questa stagione si è giocato in media 55 minuti e 45 secondi, nella Bundesliga tedesca 54 minuti e 31 secondi, in Serie A 54 minuti e 30 secondi e nella Liga spagnola 54 minuti e 28 secondi. Sempre secondo Opta, tra i cinque principali campionati europei quello in cui mediamente si gioca di più (56 minuti e 19 secondi) è la Ligue 1 francese, che di certo non è ritenuta la più competitiva delle cinque.
Di analisi del tempo effettivo si sono occupati in vario modo anche articoli accademici, osservatori e siti specialistici. I risultati ottenuti cambiano di volta in volta a seconda di come i dati sono raccolti e i minuti persi conteggiati. In generale parlano però sempre di una progressiva diminuzione dell’effettivo tempo di gioco, su cui peraltro non sembra aver avuto particolare impatto l’introduzione del VAR, in cui i secondi o talvolta i minuti persi per rivedere un’azione “alla moviola” sono tendenzialmente bilanciati dai successivi minuti di recupero.
Il fatto è che i tempi morti di una partita di calcio sono tanti e vari, e il loro peso cambia a seconda del contesto e del momento. Ci sono quelli legati a normali situazioni di gioco in cui il pallone esce e deve essere rimesso in campo e quelli in cui il gioco si ferma per infortuni, cambi, festeggiamenti prolungati dopo un gol, discussioni, proteste o revisioni al VAR.
Ci sono poi tutti i casi in cui giocatori e squadre che devono difendere un determinato risultato (in genere una vittoria, ma talvolta anche un pareggio) accentuano, rallentano ed esasperano determinate situazioni al fine di far passare più tempo, così che gli avversari ne abbiano meno a disposizione per segnare. Spesso è per provare a limitare casi di quest’ultima categoria che si parla dell’introduzione del tempo effettivo.
Perché mentre è considerato normale che si perda qualche secondo per fare un cambio o prima di una rimessa laterale, si ritiene invece scorretto che il portiere di una squadra in vantaggio rallenti di proposito la ripresa del gioco, che un giocatore finga o simuli un infortunio o che diventi improvvisamente lentissimo quando viene sostituito.
In termini assoluti, tuttavia, questi ultimi casi non sono i più influenti. Come ha detto Collina, «paradossalmente il maggior tempo perso sono i falli laterali o i calci di rinvio, che sono cose ovviamente funzionali al gioco». Collina ha parlato inoltre del tempo perso per «la celebrazione per ogni gol, che mediamente è di un minuto e mezzo» e che quindi, nel caso di tre gol, si avvicina ai cinque minuti, un tempo perso «che nessuno ricorda ma alla fine sono cinque minuti in meno giocati».
Oltre che essere difficile da calcolare, il tempo perso è anche complicato da qualificare, perché dipende da come viene fatto e dal momento della partita in cui avviene.
Senza contare il fatto che non necessariamente più minuti giocati corrispondono per forza di cose a maggiore spettacolarità. Esistono infatti modi totalmente leciti per perdere tempo anche con il pallone in gioco, per esempio portando la palla verso la bandierina dell’angolo sperando di far passare secondi preziosi e magari guadagnare un corner o un fallo di punizione, oppure anche solo passandosela in difesa senza attaccare. A questo proposito, Pioli propose a suo tempo una regola per impedire, come nel basket, che una volta superata la metà campo con la palla una squadra possa tornare indietro.
C’è inoltre chi ritiene che anche il tempo perso di proposito sia parte del gioco: una strategia lecita più che una fastidiosa infrazione, tanto che viene fatta su precise indicazioni, insegnata fin dalle giovanili, ed è una delle opzioni tattiche che si possono selezionare nei vari videogiochi a tema, su tutti Football Manager, ritenuto il più accurato. «Chi perde lo chiama perdita di tempo» ha scritto The Athletic, «ma dal punto di vista di chi sta vincendo è invece una “smaliziata gestione della situazione”».
In una voluta esagerazione, When Saturday Comes ha dedicato addirittura un articolo a come il calcio «ha elevato la perdita di tempo a una forma d’arte» e ha scritto: «Nelle giuste mani, la perdita di tempo ha qualcosa di dadaista. Andando su un campo di calcio per tentare di non giocare a calcio, i creativi della perdita di tempo palesano l’assurdità di provare a cercare significati in un’attività che non ne ha».
Per chi invece pensa che le perdite di tempo, soprattutto quelle fatte di proposito, siano un problema, una possibile soluzione passa per la più frequente e intensa sanzione di chi ci prova, con falli e cartellini gialli e con l’assegnazione di sempre maggiori minuti di recupero. Il fatto è che, specie negli ultimi minuti di una partita, i cartellini gialli sono spesso una punizione troppo debole per dissuadere davvero qualcuno dal perdere tempo.
Per quanto riguarda invece un maggiore tempo di recupero, già ora viene spesso percepito – in genere da chi è in vantaggio – come strano, esagerato e problematico se è superiore a cinque o sei minuti. C’è quindi da chiedersi come verrebbero percepiti quindici o venti minuti di recupero (di fatto un tempo supplementare) e anche come verrebbero giocati.
Tra le tante resistenze al tempo effettivo – argomento di cui in genere parlano volentieri e a favore gli allenatori, ma quasi mai i giocatori – c’è anche quella secondo cui il cambiamento modificherebbe troppo e all’improvviso il gioco. Da un lato forzerebbe infatti i calciatori a giocare effettivamente di più, in un contesto in cui già si dice che giochino troppe partite e con eccessiva frequenza. Dall’altro rischierebbe di stravolgere regole e tradizioni: come si potrebbe, per esempio, paragonare la carriera di un giocatore dell’epoca dei 90 minuti relativi con quella di uno dei 60 minuti effettivi?
Sembra difficile — vista la tendenza del calcio a mantenersi unico e omogeneo — che singoli campionati o magari competizioni femminili o giovanili possano, un po’ per sperimentare e un po’ per cercare di farsi notare, provare in autonomia una novità così grande. Allo stesso tempo sembra però altrettanto difficile che un cambiamento così strutturale possa essere introdotto da un anno all’altro, ovunque e per tutti.
– Leggi anche: Il tempo di reazione dell’atletica ha fatto il suo tempo?