L’estremista che potrebbe decidere le elezioni israeliane
Si chiama Itamar Ben-Gvir ed è un avvocato noto per le sue posizioni violente e razziste
A metà ottobre durante una manifestazione di attivisti palestinesi a Gerusalemme un uomo in giacca e cravatta ha tirato improvvisamente fuori una pistola, l’ha puntata in direzione dei manifestanti e ha chiesto alla polizia israeliana di sparare. Poco prima si era presentato da alcuni attivisti spiegando che era arrivato «il padrone di casa», cioè lui, battendosi la mano destra sul petto.
Durante le manifestazioni di questo tipo la polizia israeliana deve spesso fare i conti con persone su di giri che chiedono di reprimere con maggiore violenza le proteste. L’uomo in giacca e cravatta però non era un esagitato qualsiasi, ma un leader politico che i giornali israeliani e internazionali ritengono possa decidere le elezioni parlamentari che si terranno l’1 novembre, le quinte in appena quattro anni in Israele.
L’uomo è Itamar Ben-Gvir, ha 46 anni ed è il capo del partito Potere Ebraico. Fra poco più di una settimana potrebbe diventare l’alleato più prezioso dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, che si è ricandidato per un nuovo mandato a capo di una coalizione di destra.
🇮🇱🇵🇸Far-right Israeli lawmaker Itamar Ben-Gvir pulled a gun at residents in Sheikh Jarrah, a Palestinian neighborhood in occupied East Jerusalem, on Thursday evening.#Israel #Palestine pic.twitter.com/Gqt9V7309Y
— Daily Middle East (@middleast_daily) October 14, 2022
Ben-Gvir è entrato in parlamento soltanto nel 2021 ma da anni è una delle figure di riferimento dell’estrema destra israeliana. Nato in una famiglia laica, da ragazzo si avvicinò all’estrema destra religiosa e nazionalista durante la Prima Intifada palestinese fra gli anni Ottanta e Novanta, una rivolta popolare che causò scontri e violenze fra il 1987 e il 1993.
Nel 1995 Ben-Gvir ebbe il suo primo momento di celebrità. Si presentò a una tv israeliana brandendo lo stemma della Cadillac del primo ministro Yitzhak Rabin, che stava portando avanti un complicatissimo processo di pace con i palestinesi concretizzato nel 1993 dai cosiddetti accordi di Oslo, molto osteggiati dall’estrema destra israeliana. «Siamo arrivati alla sua automobile, arriveremo anche a lui», disse Ben-Gvir in tv. Il 4 novembre 1995 Rabin fu assassinato da un estremista di destra alla fine di una manifestazione in sostegno agli accordi di Oslo.
In quegli anni Ben-Gvir militava dentro Kach, un’organizzazione estremista fondata dal rabbino americano Meir Kahane, poi dichiarata fuorilegge nel 1994 per le sue posizioni razziste anti-musulmane e i suoi ripetuti incitamenti alla violenza contro i palestinesi. Ancora oggi è considerata un’organizzazione terroristica dall’Unione Europea. «In quel movimento trovai molto amore per il popolo ebraico, molta verità e molta giustizia», ha ricordato Ben-Gvir anni più tardi. Lui stesso aveva posizioni dichiaratamente violente e razziste, tanto che fu giudicato troppo estremista per prestare il servizio di leva obbligatorio di tre anni.
Ancora nel 2007 fu condannato per incitamento al razzismo e per aver appoggiato Kach. Nella sua auto furono ritrovati cartelloni con slogan come «o noi o loro», «la soluzione è espellere il nemico arabo».
Più di recente Ben-Gvir si è trasferito a Kiryat Arba, una colonia israeliana alla periferia della città palestinese di Hebron, e si è costruito una solida carriera da avvocato che lo ha reso famosissimo nella variegata rete di organizzazioni dell’estrema destra israeliana.
Nel 2016 il quotidiano israeliano Haaretz lo descriveva come «l’avvocato a cui rivolgersi per gli estremisti ebraici che sono finiti nei guai con la legge. La lista dei suoi clienti sembra un almanacco dei sospettati nei casi di terrorismo e crimini d’odio nazionalisti». In effetti negli anni Ben-Gvir ha difeso fra gli altri due ragazzi coinvolti nell’omicidio di una coppia palestinese e del loro bambino di 18 mesi a Duma, in Cisgiordania, nel 2015, nonché l’attivista Bentzi Gopstein, noto per dirigere un’organizzazione che cerca di impedire che palestinesi e israeliani sviluppino rapporti personali o di lavoro.
«Non lo faccio per soldi», raccontò Ben-Gvir ad Haaretz: «nel migliore dei casi riesco a coprire le spese per la benzina. Lo faccio perché ritengo un obbligo aiutare queste persone».
Era solo una questione di tempo prima che decidesse di darsi alla politica. Ormai da una decina d’anni l’elettorato israeliano si è spostato molto a destra: sia per l’attività politica di Netanyahu – che ha insistito e lavorato moltissimo da primo ministro sulla questione della sicurezza interna, a costo di trascurare il processo di pace coi palestinesi – sia per la progressiva polarizzazione politica che ha prosciugato l’elettorato dei moderati, spingendoli spesso verso Netanyahu per mancanza di alternative al centro e a sinistra. Appena qualche anno fa Netanyahu escluse che Ben-Gvir potesse fare il ministro in un suo governo, ritenendolo troppo estremista. Oggi invece non può fare a meno del suo sostegno, se vuole tornare primo ministro: e infatti diversi funzionari del Likud, il partito di Netanyahu, hanno fatto sapere che il veto nei confronti di Ben-Gvir non esiste più.
«Oggi Ben-Gvir è la figura più importante della destra israeliana dopo Netanyahu», ha detto al New York Times Nadav Eyal, noto commentatore politico e giornalista televisivo israeliano: «Non è soltanto popolare con l’elettorato conservatore, ma sta guadagnando consensi anche fra le persone che non votano».
Il fatto che sia entrato nella politica ad alti livelli di recente lo ha reso una faccia nuova e attraente per molti elettori. Per rivolgersi a un pubblico più ampio gli è bastato moderare un po’, ma solo un po’, alcune delle sue posizioni più radicali.
Reuters ha notato che Ben-Gvir non auspica più l’espulsione di tutti i palestinesi da Israele, ma solo di quelli che non ritiene «leali» verso lo stato israeliano (che da più di cinquant’anni occupa moltissime zone della Cisgiordania che la stragrande maggioranza della comunità internazionale ritiene spettino ai palestinesi). Un tempo Ben-Gvir aveva definito «abominevoli» le sfilate della comunità LGBT+: oggi sostiene che accetterebbe l’ipotetica omosessualità di uno dei suoi sei figli, ma ribadisce che le leggi dello stato dovrebbero comunque essere guidate da un’interpretazione conservatrice delle norme religiose ebraiche.
In un video elettorale pubblicato una decina di giorni fa su Facebook dalla pagina di Ben-Gvir viene inquadrata a lungo la porta di un appartamento. In sottofondo si sente la voce di una donna che in ebraico racconta con angoscia a suo marito che sul pianerottolo ci sono degli uomini armati di coltelli pronti a uccidere lei e i suoi bambini. Nel video non si dice esplicitamente che gli uomini in questione sono arabi, nota il Wall Street Journal, ma il contesto lo suggerisce ampiamente (il coltello è l’arma più usata dai palestinesi che compiono attacchi terroristici in Israele, perché è più facile da nascondere durante un controllo rispetto a una pistola). «È tempo di tornare padroni di casa», dice una voce fuori campo: «è tempo di Ben-Gvir».
Il suo partito, Potere Ebraico, è stato fondato dieci anni fa e finora vanta una poco invidiabile storia di sconfitte elettorali. Nonostante si sia presentato a sette elezioni, a volte da solo a volte in coalizione con altri partiti di estrema destra, è riuscito a eleggere un solo parlamentare, Ben-Gvir, al settimo tentativo, l’anno scorso.
Ora però i sondaggi prevedono che il cartello elettorale di cui fa parte insieme al Partito Sionista Religioso possa ottenere una dozzina di seggi sui 120 totali del parlamento israeliano: un risultato enorme per due partiti finora ai margini della vita politica israeliana.
Al momento senza il sostegno di Potere Ebraico-Partito Sionista Religioso i partiti di destra alleati del Likud faticherebbero a eleggere i 61 parlamentari necessari per formare una maggioranza di governo. Per questa ragione il recente avvertimento di un funzionario dell’amministrazione statunitense di Joe Biden al quotidiano conservatore Israel Hayom – che ha descritto Ben-Gvir come «una persona che non vogliamo vedere al governo» – sembra destinato a cadere nel vuoto.