Il governo tornerà alla strategia dei “porti chiusi”?
Sembra di sì: il nuovo ministro dell'Interno ha bloccato due navi delle ong con a bordo decine di migranti, come faceva Salvini anni fa
Martedì due navi gestite da ong con a bordo decine di migranti soccorsi nel Mediterraneo, la Ocean Viking di Sos Méditerranée e la Humanity One di SOS Humanity, sono state scoraggiate informalmente dal nuovo ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, a entrare nei porti italiani per fare sbarcare le persone soccorse. Le due navi trasportano in totale 380 persone, che al momento non si sa dove andranno. Il rischio è che col passare dei giorni le condizioni a bordo peggiorino sensibilmente: nessuna nave può gestire le esigenze di decine di persone, in molti casi ferite o traumatizzate, per più di qualche giorno.
Alle due navi bloccate martedì, Piantedosi ha contestato in una comunicazione interna al ministero di avere compiuto operazioni di soccorso «non in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale». Piantedosi non ha fornito ulteriori dettagli, e al momento nessuna delle due navi ha ricevuto comunicazioni ufficiali dal governo italiano.
Piantedosi non lo ha spiegato esplicitamente, ma la sua strategia ricorda quella dei cosiddetti “porti chiusi” applicata dal primo governo guidato da Giuseppe Conte, con Matteo Salvini ministro dell’Interno, fra 2018 e 2019.
Fu una strategia con una grossa componente di propaganda: le leggi italiane e internazionali non permettono al governo di approvare provvedimenti ufficiali per chiudere i porti a navi che trasportano migranti che intendono chiedere asilo. Gli sbarchi sulle coste italiane continuarono regolarmente. Esisteva ed esiste ancora un’area grigia, che il governo Conte sfruttò soprattutto nei suoi primi mesi di mandato, fatta di divieti e comunicazioni informali rivolte soprattutto alle navi delle ong. Esattamente il tipo di nave che ha bloccato anche il nuovo governo.
Durante i primi mesi di Salvini da ministro dell’Interno, le chiusure dei porti nei confronti delle ong erano decise e attuate in maniera informale, cioè con misure chieste a voce dal ministro e dai suoi collaboratori alle persone coinvolte, senza documenti scritti (e quindi contestabili). In questo modo Salvini sperava di evitare contestazioni e guai giudiziari – che in realtà non ha evitato del tutto, dato che ancora oggi è imputato in un processo per sequestro di persona dei migranti soccorsi dalla nave Open Arms – mentre alle ong veniva fatta pressione per cercare soluzioni alternative, come sbarcare a Malta, ed evitare di mettersi contro il governo italiano.
Le chiusure dei porti decise da Salvini generarono sofferenze per migliaia di persone bloccate per giorni sulle navi delle ong in condizioni spesso disumane fra malattie, situazioni igieniche precarie e scarsità di cibo. E l’atteggiamento di aperta ostilità verso le ong da parte del governo di allora, solo un filo ammorbidito dai suoi successori, portò molte organizzazioni a sospendere o interrompere le proprie operazioni nel Mediterraneo, causando indirettamente la morte di moltissime persone che provavano a scappare dal Nord Africa e dal Medio Oriente.
Al contempo però si trattava anche di un’operazione di propaganda: i porti italiani non erano davvero “chiusi”.
Nel giugno 2019, negli stessi giorni in cui la nave Sea Watch 3 restava bloccata al largo di Lampedusa con 42 persone a bordo soccorse nel Mediterraneo per via di un divieto informale emesso da Salvini, circa 312 persone sbarcarono in Italia con piccole imbarcazioni, a volte aiutate ad arrivare a riva dalla Guardia Costiera. Anche in questi giorni sta succedendo una cosa simile: la Stampa fa notare che tra martedì sera e mercoledì sera soltanto in Sicilia quasi 1.200 migranti sono stati soccorsi dalla Guardia Costiera, che nelle prossime ore li farà sbarcare nei porti italiani.
Secondo i dati del ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 26 ottobre 2022 sono sbarcati in Italia 79.647 migranti, in aumento rispetto ai 52.822 arrivati nello stesso periodo nel 2021. Sono aumenti gestibili per un paese come l’Italia, ma di cui i partiti di destra che ora sono al governo avevano parlato con grande enfasi e toni allarmisti durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre.
Per il governo, le ong sono più facilmente attaccabili rispetto a quanto lo sia la Guardia Costiera, e più facilmente gestibili rispetto ai trafficanti che organizzano a distanza le traversate di piccole imbarcazioni che arrivano autonomamente nei porti italiani. I loro dirigenti e capi missione spesso sono stranieri, le navi battono bandiera straniera – perlopiù per ragioni fiscali – e dal punto di vista mediatico sono finite diverse volte al centro di critiche perché accusate (senza dati a sostegno) di favorire le partenze dei migranti. Da anni le ong lamentano di essere trattate come «capri espiatori» di una questione molto più grande, cioè la gestione dei flussi migratori da parte dell’Italia e dei paesi dell’Unione Europea.
Alle due ong bloccate martedì, Piantedosi ha contestato di non essersi coordinate con le autorità libiche e maltesi nel soccorrere le persone portate a bordo, e ha sottolineato come le operazioni siano avvenute fuori dalla zona SAR (cioè di soccorso in mare) assegnata all’Italia: cioè ha sostenuto che il governo non sarebbe tenuto ad autorizzare l’attracco delle navi nei propri porti. Ha inoltre ipotizzato che lo sbarco potrebbe turbare l’ordine pubblico del paese.
Sono motivazioni assai fragili, adatte a una comunicazione informale ma contestabili sotto diversi aspetti in tribunale, se venissero messe per iscritto in un documento ufficiale.
La prima tesi è assai opinabile. È noto da anni che le autorità marittime di Libia e Malta, competenti per i naufragi che avvengono nelle proprie zone SAR, rispondono a pochissime richieste. Malta è un’isola piccola da mezzo milione di abitanti, e non ha le risorse per occuparsi efficacemente della propria zona SAR, mentre la Libia agisce in modo indipendente dalle leggi internazionali sugli aiuti in mare e sul rispetto dei diritti umani dei naufraghi: soccorre chi vuole e quando vuole. Oltretutto, in un secondo momento, riporta le persone intercettate sulle coste libiche, dove ci sono i trafficanti e i gestori dei centri per migranti e dove le torture e gli stupri sono sistematici. Coordinarsi con le autorità libiche è molto rischioso: se rispondono, potrebbero intervenire nelle operazioni di soccorso e riportare in Libia i naufraghi.
«È vero che abbiamo agito in autonomia», ha detto al Manifesto Francesco Creazzo, portavoce di Sos Mediterranée: «Sono anni che chiediamo il coordinamento alle autorità competenti ma nessuno risponde. Dovremmo lasciare affogare le persone?».
Un’altra motivazione citata da Piantedosi per giustificare il blocco delle due navi riguarda il fatto che le operazioni di soccorso effettuate da Ocean Viking e Humanity One non siano avvenute nella zona SAR italiana. È un fatto però che non c’entra nulla con l’individuazione del porto dove sbarcare le persone soccorse. Tutte le navi che soccorrono delle persone in mare devono rispettare la cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 e le altre norme sul soccorso marittimo, che prevedono che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica a dove è avvenuto il salvataggio sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, a prescindere dalle zone SAR.
L’Italia è l’unico paese che rispetta questi due criteri, e quindi è naturalmente il primo “porto sicuro” per moltissime operazioni di soccorso che avvengono nel Mediterraneo centrale.
Infine, è vero che l’articolo 83 del Codice della Navigazione italiano garantisce al governo la possibilità di vietare il transito e la sosta di navi private nel mare territoriale italiano «per motivi di ordine pubblico», tra gli altri. È l’articolo che evocò l’allora ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, eletto col M5S, quando nel 2018 impedì informalmente ad alcune navi che trasportavano migranti di entrare nei porti italiani, d’accordo con Salvini e Conte. Come nei due casi precedenti però sarebbe difficile difendere un argomento del genere in tribunale: com’è possibile che l’arrivo di 380 persone in condizioni di estrema vulnerabilità metta a rischio l’ordine pubblico di un paese da 60 milioni di abitanti?
«Sappiamo che la legge è dalla nostra parte», ha detto alla Stampa Till Rummenhohl, responsabile delle operazioni di SOS Humanity: «Il divieto di entrare nelle acque territoriali sarebbe una violazione del diritto internazionale e italiano».
Al momento però non è chiaro cosa decideranno di fare le due ong, e soprattutto se il governo italiano interverrà ufficialmente o se continuerà con la strategia di bloccare informalmente l’accesso ai porti alle due navi. In giornata Piantedosi presiederà la sua prima riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, un organo di coordinamento fra il ministero e le varie forze dell’ordine, da cui potrebbe arrivare qualche novità.