Cercare funghi è più pericoloso di quanto si possa pensare
Ogni anno decine di persone muoiono o si fanno molto male per via di una storica e generale sottovalutazione dei rischi
Sabato 15 ottobre a Fonzaso, in provincia di Belluno, una donna di 74 anni è morta dopo essere scivolata in un bosco per circa 200 metri mentre stava cercando funghi. Tre giorni dopo, il 18 ottobre, un fungaiolo di 80 anni è morto a causa di un malore mentre si trovava su un sentiero nella zona di Cravasco, in provincia di Genova. Ennio Fazio, ex sindaco di Ceriale, in provincia di Savona, è morto il 20 ottobre mentre cercava funghi insieme a un amico a Calizzano. Aveva 69 anni.
Un uomo di 73 anni è stato trovato morto il 23 ottobre nei boschi tra contrada Menaspà e Durlo di Crespadoro, in provincia di Vicenza. Lunedì 24 ottobre un uomo di 71 anni è morto dopo aver sbattuto la testa in seguito a una caduta in un bosco a Vetricia, località del comune di Barga, in provincia di Lucca. Sempre lunedì è morto un uomo di 70 anni che si era sentito male sabato a Luignano, una frazione di Sesto ed Uniti, in provincia di Cremona. Martedì 25 ottobre un 72enne è morto a causa di un malore su un sentiero nei boschi di Santa Luce, in provincia di Pisa. Anche lui, come tutti gli altri, cercava funghi.
L’alto numero di incidenti segnalati negli ultimi dieci giorni non è un’eccezione: ogni anno, soprattutto da metà agosto a metà settembre, decine di persone muoiono mentre sono in cerca di funghi nei boschi di molte regioni italiane, prevalentemente nel nord e nel centro.
Cercare funghi, dicono soccorritori ed esperti, è molto più pericoloso di quanto si possa pensare: è un problema storico, sottovalutato, e di cui non si parla molto perché riguarda soprattutto persone anziane e per la limitata rilevanza data alle singole notizie, pubblicate quasi esclusivamente dai giornali locali. Nonostante gli avvertimenti insistenti, gli incontri organizzati dai gruppi micologici per sensibilizzare i fungaioli e le tante guide pubblicate dal soccorso alpino, ogni anno il numero delle morti rimane decisamente elevato a causa di errori comuni, talvolta banali, ripetuti negli anni.
Uno dei motivi per cui il fenomeno è sottovalutato è la mancanza o l’imprecisione dei dati, che sono approssimativi perché spesso gli interventi di soccorso o di recupero sono gestiti da organizzazioni diverse come il soccorso alpino, la Protezione civile, ma anche dalle forze dell’ordine o dalle associazioni locali. In alcuni casi l’attività di ricerca dei funghi viene classificata in modo appropriato, in altri viene considerata come “tempo libero” e per questo è complicato avere stime affidabili.
Il bilancio delle attività del soccorso alpino è una buona base di partenza, anche se non esaustiva. Nel 2021 gli interventi per soccorrere persone in cerca di funghi sono stati 229, il 2,2 per cento dei 10.730 interventi totali. Non è stato diffuso, invece, il numero dei fungaioli morti sul totale dei 455 decessi segnalati dal soccorso alpino.
Qualche dato si può trovare grazie agli archivi delle delegazioni provinciali o regionali. In provincia di Belluno, per esempio, dall’inizio dell’anno ci sono stati 15 interventi di soccorso per aiutare persone che erano in cerca di funghi: 5 sono state trovate illese, 8 con problemi sanitari lievi, una in gravi condizioni e una morta. In provincia di Bergamo negli ultimi due mesi sono state soccorse 19 persone e i morti sono stati 6, mentre nelle province di Como, Lecco, Varese e Pavia i morti sono stati 5. Peraltro i dati non dicono tutto, in quanto è difficile capire quanti siano gli incidenti e i morti sul totale delle persone che vanno in cerca di funghi, cioè non è possibile individuare l’incidenza. Un problema che riguarda anche escursionisti, appassionati di arrampicata e sciatori.
Cercare funghi è pericoloso per via di alcune caratteristiche peculiari di questa attività, come la presunta necessità di avventurarsi nei boschi da soli per non svelare i luoghi di ricerca privilegiati. Per lo stesso motivo cercatori e cercatrici spesso non dicono a nessuno dove vanno, nemmeno ai famigliari, e in questo modo rendono più lunghe e complesse le operazioni di soccorso in caso di incidente.
Un altro dei rischi riguarda il terreno: a differenza degli escursionisti, che seguono i sentieri battuti, in genere quelli indicati dai segnali realizzati con la vernice bianca e rossa, i fungaioli lasciano le vie tracciate per entrare nei boschi in zone più ripide, pericolose, dove è facile scivolare. E per di più lo fanno dopo giornate di pioggia, nelle condizioni più favorevoli per trovare funghi, ma anche più rischiose per le escursioni.
In generale, spiega Alex Barattin, delegato del soccorso alpino nella zona delle Dolomiti bellunesi, in provincia di Belluno e Treviso, le persone che cercano funghi sottovalutano l’ambiente che frequentano. «Un conto è camminare su un altopiano, su un terreno con poca pendenza, un conto è inoltrarsi in un bosco fitto», dice. «La vegetazione sembra coccolarti, proteggerti, invece basta una banale scivolata sull’erba bagnata per prendere molta velocità. Sbattere contro un albero può provocare traumi letali».
Un’altra conseguenza di camminare a lungo in bosco e con lo sguardo rivolto a terra è che è molto semplice perdere l’orientamento. In un pomeriggio, a una velocità relativamente bassa, si possono percorrere sette o otto chilometri. Nel bosco, inoltre, è più complicato percepire la diminuzione della luce e trovarsi a una certa distanza dall’auto dopo il tramonto, con il buio, rende il rientro più difficile soprattutto per le persone anziane che possono stancarsi più facilmente. La fatica e lo sforzo notevole possono aumentare il rischio di malori. Sicuri in montagna, la guida diffusa dal soccorso alpino, spiega che conviene sempre cercare di ritornare sui propri passi evitando di girovagare o tentare di raggiungere le luci visibili a una certa distanza, spesso ingannevole a causa della prospettiva falsata.
Un altro rischio è dovuto alla scelta dell’attrezzatura. I cercatori di funghi utilizzano spesso i classici stivali verdi, che non proteggono da distorsioni della caviglia. Sono considerate calzature tradizionali e per questo è difficile convincere le persone che è molto meglio indossare scarponi da montagna, come raccomandato da tutte le guide diffuse negli ultimi anni.
I cercatori più esperti, che escono in cerca di funghi più volte durante la settimana, spesso si sentono eccessivamente sicuri e sono a loro volta portati a distrarsi e a fare errori. Pierino Bigoni, membro dell’associazione micologica “Bresadola” di Villa d’Ogna, un paese della Val Seriana, in provincia di Bergamo, dice che non ci si può improvvisare fungaioli. Anche chi va da tanti anni nei boschi deve studiare il territorio, consultare il meteo, fare attenzione all’attrezzatura e prendere misure che possono essere utili in caso di emergenze. «Io oltre agli scarponcini da montagna uso anche le racchette e allo zaino ho agganciato un moschettone a cui appendo il cestino», spiega. «Sembrano particolari insignificanti, invece sono essenziali per non perdere l’equilibrio e farsi male». Nello zaino di Bigoni ci sono anche una mantella, cibo, acqua e un kit di pronto soccorso. In caso di infortuni, anche lievi, è utile avere con sé cerotti, disinfettante, garze sterili e bande elastiche.
C’è poi la questione di riconoscere i funghi commestibili: quelli raccolti andrebbero fatti controllare dall’ispettorato micologico della propria zona per evitare avvelenamenti. Le associazioni di micologi possono determinare la specie, ma non la commestibilità. Affidarsi all’opinione di appassionati o a sistemi di riconoscimento visivo di alcune app non è considerato sufficiente a garantire la sicurezza.
Gli interventi dei volontari del soccorso alpino per recuperare i fungaioli dispersi sono tra i più complessi: sono tecnicamente meno impegnativi rispetto a un recupero su una parete di roccia o in alta montagna, ma più lunghi e incerti. Uno dei problemi principali dovuti alle uscite in solitaria dei fungaioli è che la segnalazione della scomparsa viene fatta a tarda ora, quando le famiglie si accorgono che la persona non è rientrata a casa. I volontari devono iniziare le ricerche durante la notte in territori molto vasti perché spesso i cercatori non lasciano detto dove sono diretti.
Negli ultimi anni la tecnologia ha dato nuovi strumenti ai soccorritori: nella maggior parte delle operazioni vengono utilizzati gli elicotteri anche se in molti casi è ancora essenziale la cosiddetta ricerca “a pettine”, cioè l’impiego di squadre di volontari esperti che battono boschi, pendii e canaloni alla ricerca della persona scomparsa.
Tra le innovazioni più significative c’è un nuovo sistema di tracciamento del segnale telefonico sviluppato e reso disponibile dalla Guardia di Finanza. In sostanza, un macchinario posizionato sull’elicottero riproduce le funzioni di una stazione radio e consente di agganciare il segnale di uno smartphone anche quando non c’è campo. «Con questo sistema l’individuazione è molto veloce, l’importante è che lo smartphone sia acceso», dice Marco Anemoli, responsabile della delegazione che copre le province di Lecco, Como, Varese e Pavia. «Utilizziamo anche droni che montano telecamere termiche, che riescono a evidenziare le emissioni di calore nelle ore notturne. Anche durante la pandemia ci sono stati moltissimi interventi a causa dell’impreparazione delle persone: c’è stata una riscoperta dei luoghi a pochi chilometri da casa, ed è un bene, ma allo stesso tempo c’è una generale sottovalutazione del pericolo».
Altre accortezze che facilitano il lavoro dei soccorritori sono indossare indumenti con colori vistosi, o ancora meglio con inserti di materiale catarifrangente, oppure portare con sé un fumogeno non infiammabile. Esistono anche diverse app che consentono ai soccorritori di rintracciare il percorso fatto dagli escursionisti. La più diffusa si chiama GeoResQ: è un servizio di geolocalizzazione e invio di richieste di soccorso gestito dal soccorso alpino e promosso dal Club Alpino Italiano (CAI). Consente di individuare la precisa posizione geografica, di effettuare il tracciamento in tempo reale del percorso dell’escursione e in caso di necessità l’invio dell’allarme a una centrale operativa.