Lo sciopero della fame di un anarchico insurrezionalista contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo
Alfredo Cospito, condannato per un attentato che non causò morti né feriti, protesta per una drastica revisione della sua pena
Alfredo Cospito, un anarchico insurrezionalista condannato per reati di terrorismo, ha iniziato uno sciopero della fame nel carcere di Sassari contro il regime di detenzione 41-bis a cui è sottoposto, e contro la prospettiva di essere condannato all’ergastolo ostativo. Cospito, che era già detenuto per il ferimento di un dirigente dell’Ansaldo a Genova, fu condannato in primo e secondo grado per un attentato con due bombe alla caserma dei carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, avvenuto nel 2006 e che non causò morti né feriti. La Corte di Cassazione ha stabilito a maggio che il reato per cui doveva essere giudicato non era strage comune ma strage politica (il reato di tentata strage non esiste) e ha quindi indicato che la pena venga rivalutata.
Cospito era stato condannato in primo e secondo grado a 20 anni di carcere ma con la ridefinizione del reato contestato e il ricalcolo della pena sarà presumibilmente condannato all’ergastolo che, dato il reato, potrebbe diventare ostativo. È una pena senza fine prevista nell’ordinamento penitenziario italiano che “osta” a qualsiasi sua modificazione e che non può essere né abbreviata né convertita in pene alternative, a meno che la persona detenuta decida di collaborare con la giustizia.
L’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario regola il cosiddetto “carcere duro” previsto per una serie di reati gravi – principalmente di mafia o terrorismo – prevedendo un rigido isolamento in prigione e una limitazione dei colloqui con i familiari. Il 41-bis è da tempo al centro di discussioni e dibattiti: chi ne chiede l’abolizione lo considera uno strumento anticostituzionale, in special modo se applicato a detenuti non condannati in via definitiva, e contrario alla finalità rieducativa della pena. Dall’altra parte c’è chi invece sostiene che il 41-bis, inserito nell’ordinamento dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio a Palermo del 1992, sia ancora uno strumento estremamente valido per contrastare le organizzazioni mafiose e terroristiche.
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Cospito è stato riconosciuto colpevole di far parte della Fai-Fri, Federazione anarchica informale – Fronte rivoluzionario internazionale, da non confondere con la Federazione anarchica italiana: entrambe hanno la stessa sigla, Fai, ma mentre la Federazione anarchica italiana condanna la violenza indiscriminata come metodo di lotta, la Federazione anarchica informale invoca la lotta armata contro lo Stato, il capitale e contro il marxismo che viene considerato propugnatore di autoritarismo oppressivo. La Fai a cui aderisce Cospito è composta da cellule in vari paesi e si definisce informale perché non avrebbe struttura gerarchica o associativa.
In Italia la Fai-Fri rivendicò una serie di plichi esplosivi inviati contro istituzioni europee e uno a Romano Prodi, allora presidente della Commissione Europea. Ci furono poi, fino al 2016, attentati contro le forze dell’ordine, sedi di partiti politici, Equitalia, sedi di banche e ambasciate straniere. Il 7 maggio 2012 l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, a Genova, venne ferito alle gambe da colpi di pistola. Per quell’attentato vennero arrestati pochi mesi dopo Cospito, che oggi ha 54 anni ed è originario di Pescara, e Nicola Gai, torinese, entrambi considerati aderenti alla Federazione anarchica informale. I due vennero condannati rispettivamente a 10 anni e otto mesi e a nove anni e quattro mesi di reclusione.
Cospito fu poi processato, con altre 13 persone, per una serie di attentati commessi tra il 2003 e il 2016. In particolare lui e la sua compagna Anna Beniamino, 50 anni, titolare di un negozio di tatuaggi a Torino nel quartiere di San Salvario, erano accusati di un attentato alla scuola allievi carabinieri che all’epoca si trovava nella caserma Dalla Chiesa di Fossano. L’attentato avvenne nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2006: gli ordigni furono due, programmati secondo la tecnica cosiddetta del richiamo: la prima bomba, in un contenitore per la raccolta del vetro davanti alla caserma, esplose alle tre di notte. Dopo mezz’ora esplose un secondo ordigno, più potente, posizionato in un cestino dei rifiuti.
Entrambe le bombe erano state realizzate con una pentola a pressione e un tubo di metallo con dentro 800 grammi di polvere pirica. I giudici, nelle motivazioni della sentenza d’appello, scrissero che solo per mera casualità l’attentato non aveva causato vittime. Il lasso di tempo tra prima e seconda bomba, scrissero i giudici, «sarebbe stato più che sufficiente ad assicurare la presenza sul posto di personale incaricato dei primi rilievi».
L’attentato fu rivendicato dalla Federazione anarchica informale che scrisse queste frasi: «Abbiamo colpito la scuola allievi di Fossano per fargli capire, già da piccoli, quale ammirazione sollevi la loro criminale carriera tra noi sfruttati (…) amiamo distribuire “petardi” sul loro percorso perché 10, 100, 1000 Nassiriya non sia solo uno slogan urlato, ma una realtà non solo nel lontano oriente ma nelle nostre città e nelle nostre valli». Il riferimento era all’attentato che nel 2003 uccise 28 persone in una base dei Carabinieri in Iraq.
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Al processo Scripta Manent, che si svolse a Torino, i giudici riconobbero la Fai come associazione terroristica. Cospito e Beniamino vennero condannati a 20 e 16 anni di carcere secondo l’articolo 422 del codice penale: «Chiunque (…) al fine di uccidere compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con l’ergastolo. Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l’ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni».
La Corte di Cassazione, nel maggio scorso, ha però rinviato il processo alla Corte d’Appello di Torino. I giudici hanno infatti accolto la richiesta del procuratore generale che aveva chiesto di considerare il reato per il quale erano stati giudicati Cospito e Beniamino non “strage comune”, ma “strage politica”. Questo significa che la Corte d’Appello deve ora rideterminare la pena non più in base all’articolo 422 del codice penale, ma in base all’articolo 285: «Chiunque allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con l’ergastolo». Tra i due articoli del codice penale non c’è una differenza solo formale: il 285 prevede la pena dell’ergastolo anche se non sono state causate vittime e la gravità del reato rende probabile l’applicazione dell’ergastolo ostativo.
Contestualmente alla decisione della Cassazione, a Cospito è stato applicato il regime detentivo 41-bis in quanto ritenuto appartenente a un’associazione terroristica. Il 41-bis fu introdotto per impedire ad appartenenti a organizzazioni mafiose di mantenere il contatto con il proprio gruppo criminale all’esterno. Ha detto in un’intervista a Radio Radicale Flavio Rossi Albertini, avvocato di Cospito: «Il 41-bis fu varato contro la mafia stragista, cioè organizzazione verticistiche, strutturate con capacità militare. In questo caso, a 30 anni dalla sua introduzione, un anarchico individualista viene condotto al 41-bis perché avrebbe fatto parte di una organizzazione-non organizzazione. I giudici torinesi hanno ritenuto che all’interno di questo magma ci fosse un nucleo di persone organizzato che si sarebbe incontrato per un bilancio delle loro attività. Da questo elemento i giudici di Torino hanno qualificato la Fai come una vera e propria organizzazione».
L’avvocato ha poi ricordato che da dieci anni Cospito era detenuto in una sezione con una serie di garanzie riconosciute, dalla socialità alla palestra alle letture, all’aria di quattro ore al giorno. «Col 41-bis», ha detto ancora Rossi Albertini a Radio Radicale, «tutto questo è scomparso senza che sia intervenuto nulla di evidente che possa giustificarlo. Cospito ritiene insopportabile questa situazione: la prospettiva è quella di restare in un carcere, con l’ergastolo ostativo, fino alla morte. Ha intrapreso questo sciopero della fame perché è il solo strumento di protesta che ha a disposizione e perché ritiene che non valga la pena vivere in queste condizioni».