Vivere in un furgoncino è più difficile di quanto sembri sui social

Con la pandemia è diventato un desiderio di molti, alimentato da influencer che spesso nascondono gli aspetti più scomodi e precari

Il sogno di una vita on the road su un furgone con cui viaggiare svegliandosi ogni giorno in un posto diverso non è certo nuovo, e risale alla cultura hippie degli anni Sessanta e al successo del leggendario Volkswagen Westfalia, che ha rappresentato un mito per diverse generazioni. Da alcuni anni, questo sogno ha assunto contorni diversi e adattati all’era dei social network: lo stile di vita cosiddetto #vanlife ha guadagnato sempre più adepti e rappresenta oggi un genere a sé di contenuti.

Sono prodotti da influencer che, spesso in coppia, hanno deciso di vivere su un furgoncino o un camper rimaneggiato per avere più comodità possibili: letto, wc e corrente elettrica, ma anche pannelli solari installati sul tetto, una doccia, un po’ di spazio per portare con sé i propri averi e idealmente un angolino per appoggiare il computer e lavorare quando fuori fa brutto tempo.

Spesso i video e le foto che documentano questo stile di vita cercano di trasmettere l’idea che sia possibile per chiunque abbandonare un lavoro d’ufficio poco soddisfacente, un affitto troppo costoso e la monotonia della routine e viaggiare costantemente, spendendo poco e mantenendo una certa comodità, pagandosi da vivere con dei lavoretti da remoto, un sito Internet dove vendere i propri prodotti d’artigianato, o grazie alle sponsorizzazioni di vari marchi sui propri profili social.

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La realtà però è spesso diversa: come sa chiunque abbia viaggiato in camper o abbia passato un po’ di tempo in campeggio, è necessario adattarsi a una serie di scomodità che alla lunga possono diventare difficili da sopportare, esattamente come non è per tutti vivere lontani da casa e senza un luogo fisso in cui stabilirsi. Nonostante la vita in furgone possa essere relativamente economica, sostenerla con lavori da remoto e da freelance non è semplice e può relegare a una condizione di precarietà stressante psicologicamente. La van life, insomma, non è semplice e rosea come viene descritta da molti che la fanno.

Anni fa, in un articolo sul New Yorker dedicato a questa tendenza negli Stati Uniti, Rachel Monroe aveva sottolineato come l’enorme visibilità sui social network fosse una parte centrale del fascino di questo stile di vita: «Attaccare un nome (e un hashtag) al fenomeno ha consentito a persone che altrimenti sarebbero solo vagabondi senza radici di trasformare i loro viaggi in una sorta di prodotto».

Il primo a scegliere il nome #vanlife per questo stile di vita nomade, ma molto visibile sui social network, fu il fotografo statunitense Foster Huntington nel 2011. Da allora, su Instagram i post taggati #vanlife sono diventati quasi 14 milioni. Su TikTok, i video sotto lo stesso hashtag sono stati visti 10,8 miliardi di volte.

I soggetti più frequenti di foto e video sono bellissimi paesaggi e piccoli villaggi visitati durante il proprio viaggio, scene di vita quotidiana di coppie felici che si coccolano sotto al piumone dopo una giornata di avventure, lavori manuali necessari a trasformare il furgoncino nella casa nei propri sogni, e scorci che mostrano camper immacolati, spesso arredati con lucette, piante e cuscini.

I dati mostrano che, nonostante i primi “vanlifer” abbiano cominciato a raccontare la propria vita online più di dieci anni fa, dal 2020 in poi l’idea di acquistare e rinnovare un camper o un furgoncino sia venuta a tantissime persone anche in Italia, che ha storicamente una cultura del camper molto meno sviluppata di altri paesi europei come la Germania.

Nel 2020 il sito Yescapa, specializzato nell’affitto di camper e van, aveva rilevato per la stagione estiva un aumento del 120% nelle prenotazioni rispetto all’anno precedente, sottolineando che nella maggior parte dei casi provenivano da persone che non avevano mai provato a viaggiare con questo tipo di mezzo in precedenza. In quel caso era evidente l’effetto della pandemia, che però è in parte rimasto: di recente il Sole 24 Ore raccontava delle enormi difficoltà dei produttori di camper italiani, che da una parte hanno a che fare con una richiesta senza precedenti, dall’altra non hanno i componenti per produrre tutti i camper che vorrebbero. Così, di fronte a liste di attesa di circa un anno, è cresciuto anche il mercato dei camper usati: dall’1 settembre 2021 al 30 giugno 2022 si sono registrati più di 30 mila passaggi di proprietà, un incremento del 58% rispetto all’anno precedente. Commentando questa tendenza, la direttrice dell’Associazione produttori camper Ludovica Sanpaolesi ha detto che «ormai non si trova più nulla».

Oltre a chi ha scelto il camper per viaggiare qualche settimana durante l’estate, magari per evitare la maggiore possibilità di contagio in treno o in aereo, a crescere è stato anche l’interesse nei confronti della van life come stile di vita. «La community italiana è ancora in fasce. In giro per l’Europa si trova una quantità inimmaginabile di tedeschi, ed è una cultura radicata da più tempo nei loro costumi. Noi siamo forse quelli con meno esperienza in merito. Quando ho iniziato a vivere nel mio van si potevano già vedere alcuni profili italiani dedicati alla van life, ma il vero boom è stato post pandemia», racconta l’amministratore della pagina Instagram @vanlife.italia, che condivide i contenuti di tantissimi vanlifer italiani e ha chiesto di restare anonimo.

«In moltissimi hanno iniziato ad avvicinarsi a questo stile di vita, sia per le vacanze sia come scelta alternativa alla quotidianità. Moltissimi si buttano nell’avventura e aprono un canale YouTube per raccontare i loro viaggi, altri hanno pagine Instagram e Facebook per condividere foto e pensieri».

 

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I motivi che spingono le persone a cambiare il proprio stile di vita in modo così radicale possono essere molto diversi. «C’è chi si prepara da molto tempo ed analizza tutti i vari scenari, c’è chi decide di farlo dopo una delusione sentimentale o lavorativa. C’è chi semplicemente trasla il proprio lavoro su 4 ruote o vuole smettere di pagare affitti e bollette salatissime e decide di prendere questa via. E la gente ha capito che tutto può cambiare da un momento all’altro senza preavviso: in molti sono rimasti senza lavoro, hanno dovuto cambiare abitudini e stravolgere la loro vita a causa del Covid», racconta l’amministratore della pagina.

Anche i modi per mantenersi sono più diversificati di ciò che appare dai social. «In molti immaginano che per vivere o viaggiare per lungo tempo in van si debba per forza essere influencer, youtuber o lavoratori da remoto. In molti ci provano e si buttano nel mondo social proprio per riuscire ad avere una piccola entrata in più, per poter viaggiare più a lungo», dice l’amministratore di @vanlife.italia. «Ma c’è una fetta consistente di persone che usano i social per promuovere la propria attività lavorativa, ad esempio artigianato o lavori manuali svolti a domicilio. Oppure semplicemente i social non li usa, ma è abituata a lavorare stagionalmente, ad esempio tra i filari d’uva o tra le olive, per poi viaggiare nel restante tempo libero con i soldi guadagnati».

Rossella e Michele, coppia barese che racconta la propria vita sulla strada su Instagram (dove hanno 133 mila follower), TikTok (dove ne hanno 126 mila) e YouTube (15 mila), con il nome @vangolden.van, hanno scelto di vivere in un furgoncino per inseguire il sogno di fare il giro del mondo. I due, che hanno rispettivamente 27 e 32 anni, cercavano da tempo un modo di fuggire dalla monotonia della propria vita in Puglia: Michele avrebbe voluto viaggiare con lo zaino in spalla, ma una malattia cronica non glielo permetteva.

Cominciando a cercare il proprio veicolo nel 2019 avevano optato per un vecchio furgoncino degli anni Novanta, comprato con novemila euro e trasformato in una casa su ruote con pannelli solari per la corrente e un grande serbatoio per l’acqua con altri diecimila. I soldi necessari ad allestire il furgone ovviamente cambiano di progetto in progetto: la vanlifer romana Francesca Neri, che gestisce l’account da 21 mila follower @oh_my_van, racconta per esempio di aver sistemato con circa 5.000 euro il suo, che è lungo sei metri e contiene un letto a una piazza e mezza, un frigorifero, un lavandino, un piano cottura e una doccia.

«Nel mio lavoro precedente lavoravo 10 ore al giorno per 600 euro al mese, e dopo tanto tempo il mio corpo ha ceduto per lo stress», racconta Michele di @vangolden.van. «La mia più grande soddisfazione è stato avere il coraggio di dire basta, ora seguo il mio sogno. E mi sono fatto uno schema per capire come fare a campare viaggiando. Quando qualcuno racconta che si è svegliato una mattina e ha detto “mollo tutto e parto”, non è vero quasi mai, a meno che tu non abbia già i soldi. C’è sempre bisogno di qualche mese di preparazione, anche per mettere via i risparmi».

Quando sono partiti, i due avevano messo da parte più o meno cinquemila euro per gli imprevisti e contavano nell’introito di un sito di ecommerce che Michele aveva aperto, oltre che sul lavoro da freelance di Rossella. Oggi hanno deciso di chiudere il sito di ecommerce e di provare a vendere gioielli fatti a mano, prodotti da loro.

«Al momento non guadagniamo chissà quanti soldi: siamo tra i settecento e i novecento euro al mese, ma è quanto ci basta per viaggiare ed essere felici», spiega Michele. «Nella vita quotidiana sono pochi i costi: una piccola cifra per la manutenzione del veicolo che varia a seconda di età del veicolo e quanti chilometri ha, il carburante che dipende da quanto ti sposti ogni mese. L’energia elettrica e l’acqua sono quasi sempre gratuite, ci si può rifornire nelle zone attrezzate. E abbiamo installato i pannelli solari, quindi siamo al riparo dall’aumento dei prezzi del gas, che usiamo solo per cucinare».

Durante il loro primo anno sulla strada hanno vissuto nel furgoncino per 252 giorni consecutivi. Ora si sono fermati per qualche mese per costruirne un altro, più grande ed efficiente, e raccontano i lavori in corso sui propri canali social. Le richieste di sponsorizzazione sono frequenti, ma hanno deciso di accettare solo quelle che sono coerenti con il loro stile di vita minimalista e attento all’ambiente.

Questo non vuol dire che non manchino le scomodità. Rossella, ad esempio, racconta che vivere in furgone le ha insegnato ad adattarsi a condizioni che in precedenza avrebbe considerato estreme: «Abbiamo vissuto a contatto con ragni e a volte topi, ci siamo fatti per quattro mesi la doccia all’aperto, solo con acqua fredda. Ho avuto molte difficoltà ad adattarmi, ma penso che anche questo faccia parte del viaggio».

La scomodità non è il solo limite di questo stile di vita, al di là dell’immagine patinata mostrata sui social. «Le foto più virali sembrano lussuose, ma in realtà sono inscenate. Non rappresentano davvero il modo in cui vivono i campeggiatori. Intanto, non puoi semplicemente parcheggiare il tuo furgone ovunque. Puoi viaggiarci durante il giorno, ma di notte devi essere parcheggiato in un campeggio o in un’area di sosta designata. Questi influencer si dirigono verso un bellissimo tramonto, lo fanno passare per il loro posto dove dormire e poi tornano alla realtà dei campeggi» ha scritto la vanlifer Jennifer Jennings in un sito dedicato alla comunità l’anno scorso.

 

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Questo, sostiene Jennings, porta molte persone a sottovalutare la realtà della vita in furgone. «Molte persone fanno le loro ricerche sulla van life attraverso i social media. Vedono quanto sembra attraente, quanto sono belli i furgoni, quanto sembra facile la manutenzione», continua. Tra i vari pericoli c’è il fatto che il proprio mezzo si rompa durante il viaggio, costringendo chi ci vive a rimanere fermo per settimane se non mesi, in attesa che venga riparato.

Altri sottolineano che stare costantemente lontani dai propri affetti, senza mai rimanere fermi abbastanza da formare nuove connessioni e relazioni, ha un impatto molto pesante sulla salute mentale dei vanlifer che viaggiano soli. Il solo fatto di tenere tutti i propri averi in un furgoncino, poi, li espone a una maggior probabilità di essere derubati.

Natasha Scott è diventata famosa su TikTok per i video in cui denuncia tutte le difficoltà della vita in furgone. «Con l’aumento del costo della vita, penso che molte persone stiano cercando una via di fuga, ed è per questo che la van life è così popolare sui social media. Ma per me ha significato spendere più di quanto avrei mai potuto immaginare per ciò che era effettivamente una vita da senzatetto», ha raccontato Scott su Insider. Tra le cose che ha denunciato c’è la sensazione di pericolo costante che provava come donna che vive in un furgone e il fatto che trovare lavoro come freelance è più difficile di quanto pensasse.

Scott dice di non considerarsi una sprovveduta. «Avevo un lavoro da remoto a tempo pieno, risparmi, lavoretti e una piccola impresa, e ho creato e tracciato un piano con informazioni dettagliate su lavoretti occasionali, lavori freelance e città che trattano bene i nomadi. A pochi mesi dal mio viaggio, però, è iniziata l’inflazione e sono stata licenziata. Mi sono rapidamente iscritta a più piattaforme per freelance, ma quando ho dovuto iniziare a prosciugare i miei conti e vendere i miei effetti personali mi sono resa conto che non era lo stile di vita che mi aspettavo».